Giovanni il Battista attendeva da lรฌ a poco lโirruzione dellโira di Dio. Era convinto che questa dovesse manifestarsi nellโuomo Gesรน di Nazareth, come forza capace di rimettere in ordine il mondo, di separare, di colpire, di purificare. Nei tempi di crisi, da sempre, lโumanitร invoca una figura forte: un messia, un salvatore, un capo. Qualcuno che tagli, che giudichi, che ristabilisca.
Giovanni prende sul serio questa attesa. Le sue parole sono nette, taglienti come la scure di cui parla. Le troviamo allโinizio del vangelo: ยซLa scure รจ posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. Colui che viene dopo di me รจ piรน potente di meโฆ Egli ha in mano il ventilabro, pulirร la sua aia e raccoglierร il suo grano nel granaio, ma brucerร la pula con un fuoco inestinguibileยป (Mt 3, 10ss.). ร lโimmagine religiosa di Dio: forza che separa, setaccia e giudica.
Eppure, Gesรน non sembra rispondere a questa attesa. Proprio per questo Giovanni, dalla prigione, gli manda a chiedere: ยซSei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?ยป. ร come se anche lui, per la prima volta, sentisse vacillare lโimmagine di Dio che aveva da sempre custodito.
Gesรน non risponde con una definizione, nรฉ con una dichiarazione di identitร . Risponde mostrando un movimento: ยซI ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i morti risuscitano, ai poveri รจ annunciato il Vangeloยป. Il divino, se si manifesta, lo fa cosรฌ: passando attraverso la vita che rifiorisce, attraverso corpi che si rialzano, attraverso dignitร che tornano a respirare.
Quando la vita puรฒ emergere, quando la dignitร delle persone viene restituita, quando la creazione tutta intravvede la possibilitร del suo compimento, allora qualcosa di Dio sta accadendo. Il segno non รจ il fuoco che distrugge, ma la vita che si riaccende.
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Dio altro non รจ che vita emergente.
Per questo Gesรน di Nazareth non appare tanto come un Dio che si fa carne, quanto un uomo che incarna ciรฒ che รจ la divinitร : vita portata avanti, respiro che non si arrende, feconditร che genera, umanitร che giunge alla sua pienezza. E ciรฒ che egli vive diventa anche la nostra vocazione piรน profonda.
Il Natale, allora, non รจ prima di tutto la celebrazione di qualcosa che discende dallโalto, ma la memoria che anche noi possiamo vivere โda dioโ, ogni volta che dilatiamo la vita, la nostra e quella degli altri. Ogni volta che facciamo spazio alla luce dentro le pieghe dellโumano.
Forse dovremmo imparare a non attendere piรน la vita dallโalto, ma a riconoscere che siamo chiamati a partorirla. E se di grazia vogliamo parlare, รจ una grazia che prende la forma della responsabilitร . Come scrive Teresa Forcades, la grazia non รจ tanto ยซun fiore da cogliere, quanto un pane da impastareยป.
Dio รจ pane da impastare, carne da incarnare, amore da donare, vita da elargire.
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E cosรฌ il Natale non lo celebriamo accogliendo semplicemente un bambino che ci viene consegnato dallโalto, ma scegliendo di incarnare il bene, diventando, giorno dopo giorno, piรน umani.
Per gentile concessione di don Paolo Scquizzato.
FONTE – CANALE YOUTUBE – FACEBOOK
