don Marino Gobbin – Commento alle Letture di domenica 9 Febbraio 2020

La luce risplende nelle tenebre. In Isaia le opere del popolo manifestano la luce di Dio, mentre nel Vangelo i discepoli stessi sono la luce di Dio: essi la possiedono e la loro vocazione è quella di irradiarla. La 2a lettura può essere considerata come un’illustrazione concreta del Vangelo: Paolo, discepolo di Cristo, è luce per le nazioni.

PRIMA LETTURA

Si situa nell’insieme del cap. 58 di Isaia, che descrive il digiuno gradito a Dio. Durante l’esilio, il popolo celebrava con giorni di digiuno le catastrofi che avevano segnato gli inizi della sua rovina. Le generazioni posteriori all’esilio, a poco a poco, ne smarriscono il ricordo. La tradizione tuttavia rimane: i giorni di digiuno sono scritti nel calendario e sono puntualmente osservati, ma soltanto come pratica formalistica, persino contestabile: «Perché digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai?» (Is 58,3). Il «digiuno gradito al Signore» non è il compimento di alcuni gesti meccanici, «piegare come giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto» (58,5). È una lotta contro ogni ingiustizia e un’occasione per ristabilire la giustizia di Dio. Una lotta per far scomparire dal paese «l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio». Un popolo, anch’esso oppresso e liberato, deve sentire l’obbligo di lottare contro tutte le forme d’ingiustizia. Il digiuno ha pure un aspetto costruttivo: è l’occasione per ristabilire la giustizia voluta da Dio, aprendosi alla condivisione con tutti coloro che sono sprovvisti di pane, di vestito e di alloggio. Questa lettura (Is 58,7-10) sottolinea le dimensioni del digiuno; si situa nella prospettiva universalistica del terzo Isaia: riguarda concittadini e stranieri; l’invito al digiuno si rivolge all’insieme del popolo e a ciascuno individualmente. Quest’ultimo aspetto è sottolineato dalla traduzione letterale del v. 7: «Non ritirarti da chi è carne tua», che ricorda Lv 19,18: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» e prepara Mt 25,40: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». Il digiuno conduce a Dio. «Allora la tua luce sorgerà… Allora… il Signore ti dirà: eccomi». Le opere dell’uomo giusto rivelano il volto di Dio. Non si può digiunare per se stessi; condividendo con gli altri, l’uomo che digiuna si pone sullo stesso piano di coloro che sono privi del necessario e così scopre Dio e la sua luce.
Il digiuno è una costante della vita religiosa, e non solo del tempo di Quaresima. È necessario riscoprire il vero «digiuno eucaristico».

SALMO

Salmo tipicamente sapienziale; è nella linea della 1a lettura. La felicità dell’uomo giusto consiste nell’essere a immagine di Dio e disponibile ai suoi simili. Sulle labbra di Cristo, questo salmo assume tutta la sua pienezza.

SECONDA LETTURA

Durante il suo secondo viaggio missionario, Paolo è rimasto un anno e mezzo a Corinto. Ora la comunità è divisa. Paolo le ricorda ciò che desiderava per essa, quale fu il suo progetto missionario, il suo stile di evangelizzazione e la sua testimonianza.
– Il progetto missionario: «Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso».
– Lo stile di evangelizzazione: ad Atene, Paolo era partito dai problemi dei suoi uditori per portarli a Cristo. A Corinto agisce in modo completamente diverso; non fa appello alle qualità e alla pietà dei Greci… Il Vangelo è prima di tutto potenza dello Spirito.
– La sua testimonianza: Paolo si presenta così com’è: con molto timore e trepidazione. Non si serve delle astuzie del mestiere per essere più convincente; è umile servo del mistero di Dio.

VANGELO

L’ultima beatitudine, a differenza delle altre, interpella direttamente i discepoli: «Beati voi…» (vv. 11 e 12). Anche il Vangelo di questa domenica è scritto in questo stile diretto: «Voi siete…».
Le dimensioni del regno, quelle della missione dei discepoli, sono sottolineate da alcune espressioni complementari: «Il mondo, la terra, davanti agli uomini, a tutti quelli che sono nella casa».
Questo Vangelo presenta due metafore, il sale e la luce (la terza, quella della città, sembra secondaria). Sale e luce sono elementi costitutivi della vita umana: senza di essi non ha gusto né splendore.
Il simbolismo del sale è molteplice. Nel mondo semitico significa soprattutto la purificazione e la conservazione. Il sale conferisce valore e qualità a una cosa, purificandola e facendola durare. I sacrifici offerti a Dio vengono salati perché siano segno dell’alleanza duratura, puri e integri. I discepoli, sale della terra, hanno la missione di purificare e di rendere duratura l’alleanza di Dio con gli uomini.
Un altro significato del sale: insieme al pane è espressione di accoglienza, di ospitalità e di amicizia. «Sale e non zucchero» (Doncoeur).
Il tema della luce è molto frequente nelle Scritture: Dio crea la luce, Dio è luce. I discepoli sono i figli della luce… L’aspetto importante in questo Vangelo è l’irradiazione della luce. Fino allora Gerusalemme era la città della luce e tutti i popoli convergevano verso di essa. Ora la luce non è più collegata a un luogo di convergenza: si irradia e si diffonde; non è più un tesoro da mettere «sotto il moggio».

PER ANNUNCIARE LA PAROLA

La luce è indispensabile alla vita

Il sole è fonte e sostegno indispensabile della vita sulla terra; largisce al nostro pianeta un calore inesauribile, è una sorgente enorme di energia che l’uomo non è ancora riuscito a captare pienamente. Dio e la sua luce segnano tutta la storia dell’umanità, dal primo giorno della creazione (Gn 1,3) fino all’ultimo, quando Dio diffonderà la sua luce su tutte le nazioni riunite (Ap 21,24 e 22,5). L’opera di Dio ha una dimensione cosmica come quella del sole. Dio è «luce del mondo», «sol iustitiae», «verrà a visitarci dall’alto un sole che sorge» (Lc 1,78).
L’uomo non può vivere senza luce. Essa assume in lui aspetti interiori di conoscenza, comprensione, abilità… L’uomo vuole vederci chiaro. Nel battesimo viene donata la luce (= illuminazione). L’uomo è nato per questo (è venuto alla luce), e noi preghiamo che dopo la sua morte abbia «la luce eterna». La luce non è una realtà a parte, è nella vita e l’illumina dall’interno. «Io sono la luce del mondo… Voi siete la luce del mondo». La Chiesa prega lo Spirito Santo: «O luce beatissima, invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli» (Pentecoste). Questa luce non si può nascondere, non si può mettere sotto il moggio. «Voi siete la luce del mondo… Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini». La luce, se non può irradiarsi, si spegne.
Come irradiarla? Attraverso l’amore fraterno (1a lettura), attraverso la croce (2a lettura)… Non ci sono tecniche spirituali di irradiazione e di illuminazione. La luce è donata, ma deve essere incessantemente riscoperta. Il mezzo migliore per scoprirla in sé è quello di donarla incessantemente agli altri: un cieco non può guidare un altro cieco (Mt 15,14).
La luce di Dio non è un privilegio dei battezzati. «Voi siete la luce del mondo»: la luce è dovuta a ogni uomo, a tutte le nazioni. «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini». Noi siamo i portatori della luce di Dio. Essa normalmente è percepita a molta distanza, come una città collocata sopra un monte.

Il messaggio dell’apostolo è «salato»

Attualmente, il messaggio parlato ha grande importanza (radio, televisione, stampa). Nella nostra liturgia, l’omelia attira l’attenzione; lo stile e l’espressione sono curati… Ciò è importante, Paolo però sottolinea che nella trasmissione del messaggio cristiano il contenuto supera l’espressione. «Quando venni tra voi, non mi presentai ad annunziarvi la testimonianza di Dio con sublimità di parola o di sapienza» (2a lettura); la fede si fonda sulla potenza di Dio e non sulle tecniche d’espressione. Un modello di predicazione è il discorso di Pentecoste (At 2). Nella liturgia, una brevissima preghiera può ricordare il posto primario di Dio nella proclamazione della Parola: «Il Signore sia nel tuo cuore e sulle tue labbra».
La Parola di Dio ha l’efficacia del sale e i cristiani l’hanno ricevuta: «Voi siete il sale della terra». Il loro messaggio può essere salato oppure insipido. Questo sale è insostituibile: «Con che cosa lo si potrà render salato?». Questo sale non è fatto per essere conservato, si cristallizzerebbe, ma per essere utilizzato, unito agli alimenti e dar loro gusto, sapore e pieno valore. Paolo rivela il sale attraverso la sua parola, Isaia afferma che Dio si rivelerà soltanto attraverso le nostre opere… Paolo, infatti, annuncia l’opera essenziale e unica, l’opera di Dio, Messia crocifisso. In lui si trova la potenza di Dio, il sale della terra (predicare la croce, al giorno d’oggi, non è facile né comune; il problema è tuttavia attuale, i motivi non mancano).
Essere sale della terra è la vocazione e la missione degli apostoli e dei cristiani, non un complimento né un privilegio. Nella loro prima espressione queste parole furono rivolte ai Giudei che avevano la tendenza a rendere insipide le grazie di Dio, facendone dei privilegi personali che difendevano gelosamente.
La parabola del sale ricorda una certa urgenza di essere veri e autentici, altrimenti la gente calpesterà ciò che è insipido. I cristiani possono giungere al punto di togliere ogni gusto e utilità al messaggio di Cristo. Allora «grideranno le pietre» (Lc 19,40).

Fonte

Tratto da “Omelie per un anno 1 e 2 – Anno C” – a cura di M. Gobbin – LDC

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