Nella quarta domenica di Avvento la liturgia ci conduce sulla soglia del Natale, nel punto in cui la promessa di Dio entra definitivamente nella concretezza della storia. È una soglia abitata dal silenzio, dal discernimento, dalla lotta interiore. Ed è proprio qui che incontriamo San Giuseppe.
Il Vangelo non ci presenta un uomo che comprende subito tutto. Al contrario, Giuseppe è posto davanti a una realtà che lo disorienta, che mette in crisi i suoi progetti, la sua idea di giustizia, perfino la sua fede. Maria è incinta, e Giuseppe sa di non esserne la causa. È una situazione che non si risolve con risposte facili né con gesti impulsivi.
È la sfida della realtà, quella che spesso anche noi conosciamo: quando ciò che accade non corrisponde a ciò che avevamo immaginato, e la fede è chiamata a misurarsi con l’incomprensibile. Giuseppe è definito «giusto». Ma la sua giustizia non è rigida, non è legalismo, non è difesa di sé. È una giustizia abitata dalla misericordia e dal rispetto profondo dell’altro.
Prima ancora di ascoltare la parola dell’angelo, Giuseppe ascolta il cuore, riflette, entra in sé. L’Avvento, con Giuseppe, diventa così un tempo di introspezione vera, in cui impariamo che Dio parla anche attraverso il travaglio interiore, attraverso le notti dell’anima.
Ed è proprio nel sonno – luogo biblico della rivelazione – che Giuseppe ascolta la Parola. Non una spiegazione dettagliata, ma una parola essenziale, che chiede fiducia: «Non temere». Dio non gli chiede di capire tutto, ma di fidarsi.
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Qui avviene il passaggio decisivo: Giuseppe non si limita ad accogliere un’idea, ma partecipa al piano divino con la sua vita concreta. Prende con sé Maria, accetta una paternità che non nasce dal possesso ma dal dono, entra in una storia che non controlla, ma che custodisce.
La grandezza di Giuseppe sta tutta in questo: «fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore». Non ci sono parole, non ci sono discorsi. C’è l’obbedienza. Un’obbedienza che non è cieca, ma profondamente credente.
È qui che il Vangelo si intreccia con la seconda lettura, quando Paolo parla dell’«obbedienza della fede». La fede autentica non è solo adesione intellettuale a una verità, ma atto di affidamento, consegna di sé a Dio che guida la storia anche quando i suoi sentieri ci sfuggono.
Giuseppe ci insegna che fare la volontà di Dio non significa rinunciare alla propria umanità, ma lasciarla trasformare. La sua giustizia non consiste nel far valere un diritto, ma nel mettersi a servizio di un disegno più grande. È la giustizia di chi accetta di stare un passo indietro perché il mistero di Dio possa avanzare.
In questo ultimo tratto di Avvento, San Giuseppe ci accompagna come maestro silenzioso. Ci insegna che il Natale non si prepara con l’agitazione, con l’ansia da regalo o da preparativi, ma con l’ascolto; non con il controllo organizzativo, ma con la fiducia in Dio; non con parole altisonanti, ma con gesti concreti di obbedienza quotidiana e carità sincera.
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E ci ricorda che Dio continua a cercare uomini e donne disposti, come Giuseppe, a dire sì non perché hanno capito tutto, ma perché si sono fidati di Lui.
Per gentile concessione di don Luciano Labanca, dal suo sito.
