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don Giovanni Berti (don Gioba) – Commento al Vangelo del 26 Novembre 2023

Commento al brano del Vangelo di: ✝ Mt 25, 31-46

Lo schiaffo del vangelo

“Se non fai il bravo, guarda che passa il vescovo!”

In passato con questa espressione popolare l’adulto, in genere il genitore o un parente, richiamava il piccolo a comportarsi bene, pena una bella sberla! Si tratta dell’antichissimo metodo educativo attraverso la minaccia della punizione, che resiste in tutte le epoche, e si trova in tutte le culture. Ma cosa c’entra il vescovo?

L’espressione fa riferimento al piccolo “schiaffo” che il Vescovo dava nell’amministrare il Sacramento della Confermazione. Dopo aver impresso sulla fronte del cresimando una croce con l’olio del Crisma, il vescovo dava una leggera sberla sulla guancia. Era lo stesso schiaffo dell’antica investitura militare che in questo caso richiamava il cresimato al compito di sentirsi “soldato” di Cristo. La liturgia con il tempo ha sostituito lo schiaffetto con una più evangelica stretta di mano, accompagnata dalle ancor più evangeliche parole “la pace sia con te…”.

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Ma quello schiaffetto del rito di una volta (per fortuna decaduto molto prima anche della mia Cresima), rimane ancora nella memoria dei più adulti, e perdendo il suo significato rituale, è diventato simbolo di punizione, anche divina. Sembra proprio che la minaccia di una punizione sia ancora ben radicata nel nostro modo di sentire e vivere la religione e il rapporto con Dio. Bisogna ammettere che lo stesso brano del Vangelo di Matteo di questa domenica, tende a rafforzare questa convinzione della religione fondata sulla minaccia della punizione e sulla promessa di un premio.

Ma siamo sicuri che sia così? Dio ci attrae a sé con la paura della punizione? Gesù è venuto per mettere in guardia i suoi discepoli e noi che se non facciamo i bravi finiamo male, e se ci comportiamo bene saremo premiati? Gesù parlando ai suoi discepoli alla vigilia del suo cammino di passione, morte e resurrezione, usa un linguaggio forte e legato anch’esso (come in tutte le altre parabole) allor stile oratorio del suo tempo. L’immagine del giudizio finale con pecore e capri divisi, e che è stato rappresentato migliaia di volte nelle raffigurazioni dell’arte, in realtà non ci parla dell’aldilà ma dell’aldiquà, di noi ora che siamo in vita. Non è una immagine che vuole fare paura, ma che vuole colpire per rivelare.

Siamo tentati di fissare la memoria solo sulle ultime parole del brano evangelico “…e se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna”, ma la vera novità, il vero Vangelo, sta in altre parole: “lo avete fatto a me…” e “…non lo avete fatto a me”. Ecco la vera rivelazione del Vangelo, che scardina la religione della minaccia e del premio, ma ci dice il “perché” fare il bene e “perché” non fare il male, e non sta nella minaccia di punizione o nella promessa di un premio.

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Ogni atto di amore che facciamo ha già dentro il premio, nell’istante stesso in cui lo facciamo: è l’incontro con Dio stesso, già ora, in colui a cui facciamo quell’atto d’amore. E ogni atto violento e di male che facciamo è già una punizione, perché arriva a evitare Dio, a non incontrarlo anche se lo abbiamo a portata di mano.

Il Vangelo ci rivela che Dio non è lontano e dietro un alto bancone in stile giudice televisivo, impegnato solo a pigiare il bottone di premio o esclusione, ma è nel mio prossimo, specialmente nel più debole che ha fame, sete, è straniero, povero, ammalato… e Dio è persino in colui che ha sbagliato. Il “perché” della nostra fede non sta nella minaccia, ma è nella possibilità reale e concreta di incontrare Dio! La nostra è una religione della relazione non del conflitto.

Se c’è uno schiaffo valido in questa domenica, è proprio in quelle cinque parole (come le dita della nostra mano): “lo avete fatto a me”, che cambia Dio con noi, e cambia anche le relazioni tra di noi, e può cambiare il mondo…

Se davvero superassimo la logica del premio e della punizione, lasciandola agli show televisivi, ma accogliessimo lo stile dell’incontro con Dio già ora, davvero tutto cambierebbe non solo in cielo ma soprattutto qui sulla terra.

Fonte: il blog di don Giovanni Berti (“in arte don Gioba”)

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