don Giacomo Falco Brini – Commento al Vangelo di domenica 2 Luglio 2023

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DIGNITÀ E IDENTITÀ DEL DISCEPOLO

Dopo aver ascoltato domenica scorsa gli ordini (non optionals) di Gesù ai suoi primi discepoli, ci ritroviamo oggi al cuore di tutto il discorso che si estende nei capitoli 10-12 del vangelo di Matteo. Tutte le istruzioni di Gesù si possono comprendere solo se l’amore per Lui viene prima di ogni altro amore. La questione del discepolato sta tutta qui. O Gesù è colui al quale si dà il primato nell’amore, oppure non è il Dio in cui dico di credere. Credere e amare non sono verbi separabili. Se mia madre, mio padre, mio figlio o altra persona catalizza maggiormente il mio amore, sono un idolatra come altri: cioè, il mio Dio sarà mio padre, mia madre, mio figlio o un’altra persona.

Che ne dite? Non è forse così? Come è facile essere idolatri! A chi si deve, nella vita, il primato su tutto e tutti? Non è degno di me è un ritornello che ricorre ben 3 volte in un solo versetto (Mt 10,37). Non che uno possa essere degno del Signore per sé stesso, ovvero per il fatto che voglia amare Gesù sopra tutto e tutti. Allora, chi è il suo vero discepolo?

È uno che il Signore stesso rende degno di Lui. È uno che prende la propria croce e lo segue (Mt 10,38). Si tratta di qualcuno che il male della sua vita non lo scarica sugli altri, ma sta imparando a portarlo, anche perché riconosce di esserne un artefice. Nell’espressione la propria croce possiamo racchiudere l’esperienza del male ricevuto o fatto in prima persona. La cosa non cambia, perché il male lo si porta, mai lo si ricambia. Siamo tutti in qualche modo complici del male che c’è nel mondo. Si impara a prendere la propria croce se si segue Gesù, non se si vuole far di Lui un “follower”. Lui è il Maestro che ci insegna a vincere il male portandolo su di sé. Ma non costringe nessuno a seguirlo.

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Infatti, che tipo di Maestro è il Signore Gesù? Cosa impariamo da Lui sulla nostra vita? Che essa non va trattenuta, la vita che abbiamo ricevuto in dono non la si deve conservare, ma regalare. Se uno vuol salvare a tutti i costi (soprattutto facendola pagare agli altri! …) la propria vita, non ha capito un bel niente di essa, è ancora preda di quel grande imbroglione che è il diavolo. È schiavo della paura di perderla, mentre è proprio perdendola a causa di Gesù che uno la trova! (Mt 10,39)

Una possibile chiave di volta sta in questa considerazione: o Gesù è un impostore in quel che dice, o lo è satana, il principe di questo mondo. Non si può rimanere neutrali davanti alla parola del Signore. Chi non vuol decidere ha comunque deciso. Il discepolo è colui che ha preso la sua decisione e si gioca la sua vita sulla parola di Gesù. Dunque chi vive per sé stesso sembra un vincente, invece è un perdente. Chi vive per Gesù risulterà un perdente in questo mondo, in realtà è un vincente.

Il mistero della vita si dipana tra qualcosa che passa e muore e qualcosa che invece non passa perché risorge: se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove (2Cor 5,17). Queste parole di Paolo rivelano l’unità “ontologica” che si stabilisce tra discepolo e Maestro. Al punto da far chiarire al Maestro che accogliere i suoi discepoli significa accogliere Lui. E qualunque gesto di accoglienza (anche solo un bicchiere d’acqua) riservato a uno di questi piccoli perché è un discepolo avrà sempre una conseguenza, ovvero una ricompensa (Mt 10,40-42).

Il discepolo sarà riconosciuto, nell’accoglienza, per alcune qualità della sua persona: perché è profeta, perché lo si crede giusto, ma soprattutto perché è piccolo. Insomma alla lunga, chi comincia ad assomigliare a Gesù lo si può riconoscere. Se lo si accoglie come tale, si fa esperienza della fedeltà delle promesse del Maestro. Parafrasando un altro celebre passo della Bibbia potremmo dire: “chi trova un discepolo del Signore, trova un tesoro”.


AUTORE: d. Giacomo Falco Brini
FONTE: PREDICATELO SUI TETTI