don Giacomo Falco Brini – Commento al Vangelo di domenica 16 Aprile 2023

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LA FEDE NASCE SULLA FEDE DI DIO NELL’UOMO

Aver trovato la tomba vuota (Gv 20,8), aver udito un primo annuncio di incontro con il Risorto (Gv 20,18) non bastò a fugare dubbi e paure tra quelli che vissero più intimamente con Lui (Gv 20,19). Mi piace osservare come la potenza della Resurrezione si fa largo tra gli apostoli della prima ora; come Dio risorga lentamente all’interno della nostra umanità più buia e recondita, fatta di debolezza, paure, incertezze e dubbi. Modalità che già manifesta un amore fedele, profondo, rispettoso e pieno di cura verso la nostra innata fragilità. Gesù viene in mezzo a loro, segno che è lì, al centro delle relazioni tra i discepoli, che si fa incontrare vivo. Del resto lo aveva già detto prima di risorgere: dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro (cfr. Mt 18,20).

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Il primo dono del Risorto a chi ha l’animo in tumulto e in preda alla paura, non può che essere la pace. Nella pace del cuore poi le cose cominciano a vedersi meglio, come in un mare prima agitato che si placa lentamente, permettendo di vedere quel che c’è dentro. Ecco la gioia che prende il sopravvento, ecco allora che cominciano a vedere chi hanno davanti: e i discepoli gioirono al vedere il Signore. E il tutto avviene mentre Gesù mostra i segni tangibili del suo amore vittorioso da cui sgorga la pace (Gv 20,20), ferite di un amore che è andato oltre la nostra più fervida immaginazione. I discepoli non possono sbagliarsi: quei segni identificano la persona di Gesù.

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È importantissimo notare che è Gesù ad andare incontro ai suoi discepoli. È Lui che, risorto, “rilancia” su di loro, rinnovando le sue scelte e la sua fiducia. Hanno fatto pressoché tutti una brutta figura nella sequela, eppure il Signore non li rigetta. Trasmette la sua stessa missione: come il Padre ha mandato me così anche io mando voi. Trasmette il suo potere e il suo stesso Spirito (Gv 20,21-23). Bisogna essere veramente Dio per avere una fede così invincibile nell’uomo. La sua fedeltà è più grande “delle e nelle” nostre infedeltà. Ma in quella prima apparizione comunitaria mancavano due apostoli all’appello. Sappiamo che uno non poteva rispondere per come andarono le cose, come da Sacre Scritture (Giuda Iscariota). L’altro era Tommaso. Il vangelo non ci dice perché non era presente in quella prima apparizione, possiamo solo immaginarlo. Certamente era anche lui sconvolto e deluso, se il testo ci comunica che all’annuncio gioioso degli altri sull’incontro avuto, egli reagì con parole di fede molto condizionata (Gv 20,25). Dobbiamo però ringraziare Tommaso per la sua incredulità. La sua sincera richiesta ci ricorda che con il Signore possiamo, anzi dobbiamo, essere sempre noi stessi. Con le nostre paure, i nostri dubbi, le nostre ritrosie, con la nostra incredulità. Quel che conta è cercare sinceramente Gesù. E questo è innegabile nelle parole di Tommaso.

Gesù ci ama così come siamo: non è una frase preconfezionata, è la realtà. Qui, nel ripresentarsi di nuovo in mezzo ai suoi discepoli, ne abbiamo la prova certa. Viene e subito si rivolge a Tommaso soccorrendolo nella sua incredulità. “Volevi mettere il tuo dito nel segno che hanno lasciato sul mio corpo i chiodi? Eccomi a te, eccoli qui. Volevi mettere la tua mano nel mio fianco, laddove sono stato infilzato con una lancia perché si accertassero della mia morte? Eccoti anche il mio fianco…” Tommaso trasale di gioia e stupore, superando la sua incredulità (Gv 20,28). Pare proprio che la fede nasca sulla nostra incredulità. Inoltre, cosa ancora più importante, la vicenda non è decisiva solo per Tommaso. Perché anche noi, come Tommaso, non c’eravamo il giorno di Pasqua tra i discepoli. Tommaso rappresenta tutti noi credenti delle generazioni successive che non abbiamo avuto apparizioni del Risorto. Forse che ci troviamo in una situazione di svantaggio rispetto ai primi? No, le parole di Gesù a Tommaso sono inequivocabili: perché tu mi hai veduto hai creduto. Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto (Gv 20,29). Perciò anche Pietro nella sua 1a lettera (cfr. la 2a lettura) gli fa eco: voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa (1Pt 1,8). In realtà la fede nella Resurrezione è sostanzialmente uguale per i primi discepoli che l’han vista e per noi che non l’abbiamo visto, anche se i primi dovettero essere “testimoni oculari” per far partire la testimonianza. Perciò Gesù dichiara la beatitudine di quelli che sono venuti dopo, noi che crediamo sulla testimonianza della sua chiesa. Attraverso questa secolare testimonianza e la fede nella Parola e nella Eucarestia, noi siamo in grado di fare la stessa esperienza dei primi: risorgere a vita nuova per il contatto con l’amore incrollabile di Dio per noi. Sì, anche noi possiamo vedere, nella fede, quelle piaghe e quel cuore trafitto che credono ancora nell’uomo.


AUTORE: d. Giacomo Falco Brini
FONTE: PREDICATELO SUI TETTI