don Francesco Pedrazzi – Commento al Vangelo del 18 Giugno 2021

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La Luce che vince le tenebre

Continua la difesa di Paolo nei confronti del proprio ministero e di quello dei veri apostoli, in polemica con i superapostoli, che si vantano di essere i migliori, i più santi, e criticano i loro fratelli. Dinanzi alla tendenza a vantarsi «da un punto di vista umano», Paolo fa ricorso a un tema a lui molto caro, che troviamo anche in altre lettere (cf. Gal 6,14; 1 Cor 2,2; 3,18-21): il vero apostolo non dovrebbe vantarsi di nient’altro che della croce di Cristo, cioè del dono di poter partecipare alle sue sofferenze per la salvezza dei fratelli. Questo è l’unico vanto legittimo, perché è possibile solo in forza dello Spirito Santo (cf. 1Cor 2,14).  

Paolo risponde quindi ai superapostoli adottando ironicamente la loro stessa argomentazione: «Vi vantate? Bene, allora mi vanterò anch’io! E vediamo chi tra noi è migliore!». Ma, lo fa spiazzando completamente i suoi lettori, perché, dopo aver ricordato che «da stolto»  anch’egli potrebbe vantarsi per ragioni umane, inizia un elenco impressionante di tribolazioni, fatiche, avversità, sofferenze di ogni genere vissute per amore di Cristo: «Cinque volte» è stato flagellato, tre volte «battuto con le verghe», una volta lapidato, tre volte ha fatto naufragio»; «viaggi innumerevoli», «pericoli» di ogni genere, anche «da parte di falsi fratelli»; «disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità», oltre alla «preoccupazione» quotidiana per tutte le Chiese.

E conclude: «Se è necessario vantarsi, mi vanterò della mia debolezza!».

In questo modo, l’Apostolo smonta alla radice la vanagloria dei superapostoli, perché – come scrive nel celebre “inno alla carità” (1Cor 13,1-7) – se anche uno potesse fare miracoli strepitosi, parlare come un angelo o fare profezie sul futuro, ma poi fosse privo della «carità», cioè dell’amore umile e paziente, che non si vanta e che tutto sopporta per amore della verità, non sarebbe “NULLA”.

Il problema di fondo è la purezza delle intenzioni. Perché – o meglio – “PER CHI” fatichiamo, operiamo e viviamo? Per noi stessi o per Cristo? Per vanto o per amore?

È in questo senso che il vangelo di oggi invita ad avere un occhio «semplice»: cioè che “non si affanna per molte cose”, che non cerca altro al di fuori di Dio e della sua volontà, sapendo che questa è l’Unica cosa necessaria (cf. Lc 10,42). Viceversa – dice Gesù, – «se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso».

Non possiamo nascondere l’ipocrisia! Chi agisce con un doppio fine, strumentalizza gli altri per i propri interessi, recita una parte per apparire innamorato di Gesù, mentre in realtà è soltanto devoto di se stesso, lascia trasparire questa ipocrisia in tutta la sua persona, che sarà come avvolta da un velo di oscurità. È soprattutto nel tempo delle contrarietà che si rivela se il nostro occhio è semplice o cattivo, se siamo animati dall’Amore di Cristo o dall’amor proprio; perché il discepolo davvero innamorato di Cristo crocifisso “benedice il Signore in ogni tempo”, come si legge nel Salmo di oggi, e non cerca altro vanto che nel prendere parte alle sue sofferenze, per entrare un giorno nella sua gloria.  

Per avere l’occhio semplice esercitiamoci a fissarlo su Gesù, ad esempio attraverso la pratica frequente dell’ADORAZIONE EUCARISTICA. Guardiamo a Lui, il nostro unico Tesoro! Ricordiamo che “dov’è il nostro tesoro, là sarà anche il nostro cuore”. Anche se nel cuore c’è oscurità, guardando a Gesù saremo rischiarati dalla Luce di Dio. Basta un fiotto di luce per diradare le tenebre di una stanza buia!

“Guardiamo a Lui e saremo raggianti!” (cf. Sal 33,6).

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