L’Avventura dei Discepoli dopo la Risurrezione (Analisi del Capitolo 21 del Vangelo di Giovanni) a cura di don Fabio Rosini.
Ascolta la catechesi (24 minuti) su Radio Vaticana.
Sintesi del podcast.
Questa puntata avvia una nuova “avventura”, chiamata “l’avventura dei discepoli dopo la risurrezione”. Si inizia con delle considerazioni fondamentali. Il Vangelo di Luca presenta la sua opera in due libri per lo stesso destinatario, Teofilo: Il Vangelo e gli Atti degli Apostoli. Gli Atti raccontano “l’avventura della nascita della Chiesa”.
Ci si chiede come gli altri evangelisti abbiano trattato il periodo post-risurrezione. Essi lo hanno affrontato in modo piรน sintetico. I racconti della risurrezione sono pochi e abbastanza concordi, ma poi “tutto quanto รจ lasciato in mano ai discepoli”. Queste “consegne” riassumono in modo embrionale ciรฒ che i discepoli vivranno nella storia dopo la risurrezione.
Ad esempio, il Vangelo di Marco ha due finali. Il finale originale termina al capitolo 16, versetto 8. Quello successivo, dal versetto 9 in poi, ha un linguaggio radicalmente diverso e parla di ciรฒ che รจ avvenuto dopo la risurrezione, del mandato di evangelizzazione e di ciรฒ che diventa “l’evento germinale della Chiesa”. Tuttavia, il finale dal versetto 9 รจ “estraneo alla mano di Marco”. Marco termina con le donne a cui viene comandato di dire ai discepoli di tornare in Galilea, ma loro non dicono niente per paura. Questo finale implica che il lettore deve tornare in Galilea, all’inizio del Vangelo, e rileggerlo dal punto della chiamata, dal battesimo di Giovanni in poi, per capire la vita futura della Chiesa. Questa seconda lettura, post-pasquale, aiuta a capire come la Chiesa deve muoversi, facendo del Vangelo stesso la “strada post-pasquale”.
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Il Vangelo di Matteo presenta l’apparizione in Galilea e il mandato in maniera ancora piรน sintetica. Il Vangelo di Giovanni, invece, mette ciรฒ che Luca inserisce negli Atti degli Apostoli in un intero capitolo, il capitolo 21. Sebbene il capitolo 20 sembri chiudere il Vangelo di Giovanni, il capitolo 21 riprende la narrazione e contiene gli “elementi germinali dell’avventura futura della Chiesa”.
La storia nel capitolo 21 inizia con Gesรน che si manifesta di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. Questa รจ una manifestazione “di nuovo”, in una condizione generale della realtร . Si manifesta a sette discepoli rappresentativi: Simon Pietro, Tommaso, Natanaele, i figli di Zebedeo e altri due. Gesรน si manifesta sempre quando i discepoli sono insieme. ร interessante notare che Tommaso, non presente nella prima manifestazione nel capitolo 20, potรฉ vedere il Signore solo una settimana dopo, stando insieme agli altri discepoli.
La scena prosegue con Simon Pietro che dice: “Io vado a pescare”. Gli altri rispondono: “Veniamo anche noi con te”. Uscirono e salirono sulla barca, ma “quella notte non presero nulla”. Questa รจ la constatazione di una “chiesa post pasquale che va a pescare ma non pesca nulla”. Questo fatto non deve essere scisso dal significato profondo dell’essere insieme. Giovanni usa un linguaggio simbolico tipico, che dร istruzioni in modo profondo.
Che cosa significa “andare a pescare”? Vengono presentate due letture principali.
- Prima lettura (tradizione sinottica): Basandosi sulla conoscenza della chiamata originale di Simon Pietro a diventare pescatore di uomini, l’idea di tornare a pescare pesci รจ vista come una tentazione di tornare alla vecchia vita prima di incontrare Gesรน. Questo desiderio di tornare alla vita normale, di lasciare lo straordinario per l’ordinario, รจ come la nostalgia del popolo d’Israele per l’Egitto nel deserto. Questa interpretazione, perรฒ, รจ considerata esterna alla struttura propria del Vangelo di Giovanni, desunta dal Vangelo di Marco.
- Seconda lettura (intrinseca a Giovanni): La chiamata di Pietro a essere pescatore di uomini. Andare a pescare insieme ad altri discepoli รจ l’evangelizzazione dopo la risurrezione. Il fatto che non abbiano pescato nulla (“quella notte non presero nulla”) rappresenta un momento di crisi e fallimento nella missione della Chiesa. ร un’esperienza che la Chiesa ha vissuto tante volte nella storia, momenti in cui non ci sono adepti, non si perviene alla fede, e sembra non esserci incisivitร . Il lago di Tiberiade, in questo contesto, ha un significato simbolico legato alla Pasqua e a un precedente attraversamento fallito da parte dei discepoli senza Gesรน, che riuscirono ad arrivare solo quando lo accolsero nella barca.
Questi discepoli cercano di portare avanti la missione di Cristo, ma in quella notte non presero nulla. Questo “nulla” รจ il punto di partenza della storia, un momento di fallimento nella missione. Ci si chiede perchรฉ questa missione fallisce. L’origine del fallimento risiede nell’iniziativa di Pietro: “io vado a pescare”. Questa “io vado” rappresenta la tentazione costante nella storia della Chiesa di fare i cristiani a partire da noi stessi, diventando il centro operativo dell’opera di Dio, basando il compimento del Vangelo sulle nostre forze e iniziative umane. Questo รจ legato alla precedente scoperta di Pietro, durante la Passione, di non essere capace di seguire il Signore da solo. Anche gli altri discepoli si uniscono, dicendo “veniamo anche noi con te”, rafforzando l’idea di “siamo noi che facciamo le cose”, come se l’opera fosse a un livello antropologico. Questa crisi, questo fallimento delle opere umane, รจ cruciale.
Viene citata la Lettera agli Ebrei (capitolo IV) che invita a riposare dalle proprie opere per entrare nelle opere di Dio. Entrare nelle opere di Dio significa uscire dall’egocentrismo e dall’antropocentrismo, superare la tentazione “giudaizzante” di vivere la vita di grazia basandosi sul proprio impegno e fatica. Questo, da solo, “non puรฒ che portare a nulla”. Il “nulla” non รจ assenza totale, ma mancanza di compimento, uno zero a cui si arriva. Nonostante gli sforzi o l’impatto mediatico, i risultati concreti possono essere scarsi (es. defezioni dalla Chiesa in Italia). La missione fallita รจ il punto di partenza di una nuova epoca. Significa perdere di vista l’origine e la forza che ci guida. Non siamo cristiani per la nostra bravura, ma perchรฉ siamo chiamati, amati, sorretti, guidati. Non possiamo partire da noi stessi per portare vita nuova nel mondo. Cristo ha consegnato il potere del perdono (Gv 20), ma se i discepoli non lo portano, chi lo farร ?. La vita eterna non viene da diete, regole o strategie umane. Dobbiamo riflettere su quanto sia attuale il cercare di usare “tecniche di pesca” per mantenere la struttura e ottenere risultati che non arrivano. Dobbiamo smettere di appoggiarci troppo sull’umano per recuperare l’efficacia dell’evangelizzazione.
La missione non si basa su di noi, ma sulla potenza di Dio. Attraverso i sacramenti, che portiamo con parole, gesti e oggetti, siamo capaci di mettere in contatto terra e cielo, ma questo perchรฉ Dio ci รจ fedele e opera per mezzo di noi. Viene richiamato il primo segno nel Vangelo di Giovanni, alle nozze di Cana, dove Gesรน opera il miracolo attraverso i servi (che rappresentano i discepoli), trasformando l’acqua in ottimo vino. Questa opera manifesta la gloria di Dio, non la capacitร dei servi. Spesso la Chiesa ha confuso la potenza data (come quella del perdono) con la propria persona. Non siamo noi capaci di fare queste cose; avvengono perchรฉ non partono da noi. Questa tendenza “pellagiana” a tornare alle opere umane รจ una sfida costante. Le iniziative basate su tecniche psicologiche, attrattive comunicative, o “balletti e saggi” non sono il punto di partenza. Abbiamo bisogno di attingere alla potenza di Dio ed essere fedeli al mandato.
Il fallimento si pone come punto essenziale di partenza. Il Signore apparirร e chiederร di constatare e riconoscere questo fallimento. Il punto di partenza non siamo noi. Non possiamo credere di trovare la soluzione alla missione โ che scende dal cielo (“come in cielo cosรฌ in terra”) โ nelle nostre capacitร umane. Il regno dei cieli viene per potenza celeste, non per volontร generale, opinione comune o ciรฒ che piace nel “mainstream”. Gesรน Cristo รจ un segno di contraddizione.
Vengono usati gli esempi di un matrimonio e di una vocazione (come quella di un insegnante). Entrambi iniziano da un’origine divina o un sacramento, ma poi rischiano di scivolare nell’essere basati su se stessi, assolutizzando percezioni, volontร e progetti umani. Piano piano, l’esperienza diventa mediocre, grigia, insostenibile, “non si pesca nulla”. Nonostante si facciano tutte le cose “dovute”, manca la novitร , la provvidenza. Questo momento di consapevolezza amara, in cui si riconosce di non arrivare da nessuna parte, รจ un buon punto di partenza per un recupero. Una crisi non รจ un dramma, ma un momento di veritร su cui si puรฒ costruire su buone basi. Similmente, per una vocazione, si puรฒ scivolare sulle tecniche umane, perdere il soprannaturale e vedere solo problemi, finendo “a vuoto”. Questo momento non significa aver sbagliato vocazione.
ร invece il momento in cui bisogna resettarsi, saper ricominciare, vivere quello che sarร un salto di qualitร . La crisi รจ una cosa buona, il fallimento รจ una cosa importante nella vita.