don Cristiano Mauri – Commento al Vangelo del 4 Novembre 2020

Nullatenenti

Il commento al Vangelo del giorno di don Cristiano Mauri.

Note per la comprensione del brano.

Concluso il banchetto in casa del fariseo, Gesù si rivolge ora alle folle, insegnando alcuni risvolti paradossali della scelta di essere suoi discepoli.

Le sue parole sono spiazzanti: colui che insegna l’amore qui invita all’odio e, dopo aver chiesto di seguirlo senza esitazioni, ora invita a sedersi per ponderare.

Alla gente che cammina con Lui, Gesù propone una scelta radicale di rottura con il proprio passato e con la vita che si conduce. La dedizione a Lui può solo essere assoluta, senza compromessi o mezze misure.

Il concetto è forte: ci sono legami incondizionati che possono essere vissuti solo a discapito di altri e quello con Lui è tra questi.

E se Gesù mette in questione il rapporto con la propria stessa vita, non deve stupire che ci vada di mezzo la famiglia, tanto più in un tempo in cui era spesso occasione di legami soffocanti, spersonalizzazioni, doveri imprigionanti.

«Odiare» va inteso nel senso di «abbandonare», dunque non come sentimento, bensì come un’azione precisa che consente al discepolo, poi, di essere «totalmente presente al Maestro».

Nel «portare la croce» non va letto immediatamente un riferimento alla croce di Gesù e ai suoi significati. Qui, piuttosto, c’è l’idea del sostenere un peso, cosa che non è affatto un valore in sé, ma una conseguenza e una condizione del seguirlo. L’immagine esplicita dunque la dimensione di fatica e patimento che è compresa nell’essere discepoli e, in ultima istanza, richiama il martirio.

La severità dell’impegno e la gravità delle richieste chiedono perciò grande ponderazione nella decisione.

Le due parabole utilizzate per sottolineare l’importanza della riflessione sono di facile comprensione e non necessitano di particolari spiegazioni.

La raccomandazione di Gesù a coloro che intendono seguirlo è di misurarsi con le esigenze del cammino. Dice in sostanza: «Fate bene i vostri conti prima di imbarcarvi in questa avventura» e l’invito in entrambe le parabole è espresso con chiarezza con l’immagine del «sedersi a calcolare».

Verrebbe da chiedersi se un simile atteggiamento prudente non sia da freddi calcolatori, ma quel che in realtà si deve con attenzione misurare è il fatto che si rinuncerà ad ogni bene.

Il costruttore conta sui suoi mezzi, il re che va in guerra sui suoi eserciti, chi parte per andare con Cristo invece rinuncia a possedere qualsiasi cosa e decide di non aver nulla su cui contare (alla lettera, si tratta di: «abbandonare ogni possesso»).

Dunque, chi decide di seguire Cristo non deve far la conta dei proprie risorse, ma semplicemente scegliere di non contarci più. La possibilità di essere discepolo dipende, dal lato umano, dalla rinuncia alle ricchezze, ai diritti di nascita, alle armi, alle appartenenze religiose.

Il discepolo, con un gioco di parole, deve fare i conti col fatto di non aver nulla sui cui contare.

Spunti per la riflessione sul testo.

Ci sono molti uomini e molte donne che non possono contare su nulla e su nessuno. Non per scelta, ma per forza.

Perché sono stati abbandonati dalla famiglia, dalla comunità, dagli amici. Perché vivono nella precarietà assoluta, quando non si tratta di vera miseria.

Si trovano così a volte per responsabilità propria, molte altre volte, invece, sono vittime di ingiustizie altrui. Ma non fa davvero differenza. Non hanno nulla e nessuno. Ci sono e non sono affatto pochi.

Molti sono talmente dignitosi e poco inclini al vittimismo, da non sembrare nemmeno così abbandonati a se stessi, ma in realtà lo sono e mi viene il sospetto che siano quelli che soffrono di più.

Io credo che quando leggiamo questo Vangelo è a costoro a cui dobbiamo rivolgere il primo pensiero.

Sono convinto, per come Gesù considera e tratta i poveri nei Vangeli, che mentre invita i suoi ad abbandonare ogni possesso, ha di fronte i volti degli abbandonati che erano costretti a non poter contare su nulla.

E Gesù non fa giochini retorici, lo dice chiaro: non avere nulla di cui farsi forza è una fatica, un peso da portare, una passione da affrontare. Nell’invito a ponderare bene la scelta sento un enorme rispetto, considerazione e cura per quegli abbandonati che di scelta non ne avevano alcuna.

La loro condizione non poteva e non doveva essere trattata come un’immagine romantica con cui giocare a fare i poveri con la povertà altrui, ma come una chiamata ad avvicinarsi alla parte di umanità che porta i pesi più grandi.

Essere poveri per amore non può essere una beffa per chi è povero per forza. Altrimenti che Vangelo è? […] Continua qui…

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