don Antonio Savone – Commento al Vangelo del 30 Agosto 2020

Nulla lasciava presagire una fine così ingloriosa. Lo avevano seguito e acclamato come l’uomo forte, l’uomo dei miracoli, l’uomo delle folle assiepate attorno alla sua parola e ai suoi gesti, anche se non sempre ne avevano colto il senso. La meta non poteva non essere Gerusalemme, felice coronamento della carriera del loro Maestro, un uomo tanto vicino a Dio da essere capace di avvicinarsi alle persone. Aveva quasi del prodigioso quando ridonava speranza a quanti l’avevano persa e riapriva varchi là dove persino la morte aveva già pronunciato la sua ultima parola.

Tu sei il Cristo, aveva esclamato Pietro. A buon diritto. Aveva visto bene Pietro. Sei tu colui che è stato stabilito come il restauratore delle sorti d’Israele. Le tue opere ne danno testimonianza.

Tutto faceva pensare ad un esito riuscito, un riconoscimento pubblico, ufficiale. Pietro poi era stato addirittura instradato nel ruolo di vice, forte anche di una beatitudine che lo accreditava addirittura presso il Padre di cui aveva colto l’illuminazione. Beato te, Simone…, aveva riconosciuto Gesù.

Ma subito avevano patito un primo disagio quando aveva comandato ai discepoli di non dire a nessuno che egli era il Cristo. E perché mai? Che motivo c’era per tacere?

E come se non bastasse, Gesù aveva sì parlato di Gerusalemme ma non come luogo del riconoscimento da parte delle autorità quanto come del luogo della riprovazione proprio da parte dei capi.

Il panico si sarà impadronito dei discepoli. Un’ombra cupa aveva fatto capolino sul loro facile entusiasmo.

No, questo proprio non poteva essere accettato. E perciò era toccato ancora una volta a Pietro farsi portavoce di un comune sentire: così mai! Pietro non può tollerare un Messia così. Il bene non può non vincere, non può non mostrarsi. La propria posizione non può non essere riconosciuta. È necessario un intervento forte, una mano ferma. Non abbiamo bisogno di tentennamenti: non aiutano nessuno… Noi abbiamo bisogno di un sicuro punto di riferimento. A cosa può servire un Messia che non si impone? È la crisi di Pietro. Ed è la crisi della nostra comunità cristiana proprio in questi giorni (basta scorrere la stampa). Mai definitivamente sopita la nostalgia di messianismi trionfalistici, la tentazione di affrettare il tempo in cui finalmente separare grano e zizzania.

E nel gestire il suo panico, ha persino un gesto di attenzione. Non vuole svergognare il maestro davanti a tutti: lo trae in disparte. Tenero, Pietro.

Ma, ahimè, da pietra angolare si ritrova scalzato e identificato come pietra d’inciampo, dalla beatitudine illuminante si ritrova come uno i cui sentimenti non sono quelli di Dio. Il fondamento viene retrocesso a scandalo. Povero, Pietro.

Non male come inizio di pontificato, quello di Pietro. Non ha fatto neppure in tempo a fare la sua professione di fede – Tu sei il Cristo… – che si trova subito redarguito e ridimensionato dal maestro – dietro a me, Satana… tu non pensi secondo Dio… Chissà cosa sarà passato nel cuore del povero Pietro, desideroso solo di manifestare il suo affetto e la sua amicizia nei confronti di quel maestro che lo aveva strappato alle occupazioni di ogni giorno. Cosa poteva saperne lui, povero pescatore, dei pensieri di Dio?

Ma proprio per questo a Cesarea Gesù parla apertamente dei pensieri di Dio, che cosa è secondo Dio. Ecco perché è uno dei luoghi, Cesarea, verso il quale la comunità è chiamata a incamminarsi. Luogo da non rifuggire anzi, da riprendere a frequentare. Persino il primo papa potrebbe smarrire il suo cammino di discepolo.

A Cesarea Pietro e la comunità cristiana di ogni generazione devono apprendere che  ci salverà  il prendere sul serio l’invito del Signore a perdere la vitaI.

l Maestro non sta andando verso i centri prestigiosi dell’istituzione da cui venire finalmente riconosciuto ma sta andando ad essere crocifisso tra i crocifissi. Lì Dio. Tra i crocifissi. L’immagine di un uomo forte non corrisponde alla sua. Non è l’uomo di sicura popolarità e potere. Non è così. Sa di non essere così. E lo attesta. Con fatica. Come con fatica vive questa decisione.

Di lì a poco, sul Tabor, Pietro vorrà circoscrivere e delimitare il luogo in cui Dio ha diritto di piantar la tenda, ma la sua tenda il Verbo l’ha piantata in mezzo a noi, quali che siamo. Non certo in un paradiso di chissà quale genere di turismo, foss’anche quello religioso. Non aveva avuto paura di prendere dimora nella storia, quella contraddittoria che ciascuno di noi patisce sulla propria pelle, la stessa alla quale rimanda perennemente i suoi discepoli. A costo della propria pelle.

Rinnegare se stessi… perdere la vita… ossia non già lo sforzo patetico e lesionista di cancellare il proprio volto per sostituirlo con un altro ma, smettendo di vivere autocentrati, incamminarsi alla ricerca del proprio volto più autentico. Sono richiesti generosità e consapevolezza, ascolto e disponibilità a mettersi in gioco. Al centro la passione per il Regno e per il vangelo: tutto il resto in aggiunta.


AUTORE: don Antonio Savone
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