don Antonio Savone – Commento al Vangelo del 18 Ottobre 2020

Indubbiamente pretestuosa la domanda posta a Gesù. Era già da un po’ che i suoi avversari cercavano di che accusarlo. Ci proveranno in tutti i modi.  Quale migliore occasione di quella circa le tasse da pagare al potere occupante di Roma?

Tuttavia, l’ultima cosa che potevano immaginarsi, farisei ed erodiani, era che Gesù li sgamasse nel loro intento provocatorio e accusatore e che trasformasse una questione politica in una questione di fede. Credevano che la questione potesse essere risolta con un o con un no e, finalmente, trovare un motivo per metterlo alla gogna o davanti al potere costituito (nel caso di una risposta negativa) o di fronte al popolo (nel caso di una risposta affermativa). E, invece, come già tante altre volte, gli accusatori si ritrovano accusati dal momento che disponevano della moneta in questione: se avevano quella moneta vuol dire che non solo riconoscevano l’autorità di Cesare ma usufruivano anche dei benefici che ne derivavano. Di fatto erano già pronti a pagare la tassa. E così, nel tempio, cioè nel luogo in cui più di ogni altro bisognava riconoscere l’unico Signore, i farisei tenevano con sé ciò che era loro proibito. Non a caso c’erano i cambiavalute. Per questo Gesù li smaschera: ipocriti e idolatri. Per la smania di essere come tutti gli altri popoli, non portano più in sé l’immagine di Dio ma quella mercantile di un re pagano che ha ridotto in schiavitù il popolo che Dio si era scelto.

Rendete a Cesare quello che è di Cesare.

C’è molto di più di quello che un po’ sbrigativamente abbiamo sempre inteso. Qui non si tratta, per dirla con Cavour, di “libera Chiesa in libero stato”. Affatto. Gesù è perentorio. Il problema non è se sia lecito o meno pagare il tributo. La posta in gioco è molto più seria: si tratta di un vero e proprio invito alla conversione. Dal momento che porti con te l’immagine di uno che si crede dio, implicitamente ti stai facendo propagatore di un vero e proprio culto che nulla ha da spartire con il comandamento di “non avere altri dei all’infuori dell’unico Signore”. È inutile prendere le distanze da Cesare a parole quando poi la tua vita e le tue scelte smentiscono ciò che proclami (cfr. Gandhi).

L’immagine di Cesare va restituita a Cesare: ossia, non trattenere presso di te chi ha preteso usurpare il ruolo che spetta solo a Dio. Per questo non si tratta di stabilire fino a che punto un cristiano sia tenuto a rispettare le leggi ma riconoscere tutte quelle situazioni che finiscono per ergersi a tuo idolo asservendoti, privandoti della tua libertà e della tua dignità. Che cos’è che ha finito per imporre la sua immagine dentro di te? L’idolo, infatti, è ciò che di volta in volta noi creiamo allorquando non reggiamo l’assenza di Dio, il suo silenzio. Cesare ha tanti volti e molti nomi. Cesare rappresenta tutte quelle relazioni che finiscono per chiedere una fedeltà dovuta solo all’unico Signore.

Scegli oggi chi vuoi servire (Gs 24,15). Non è possibile servire a due padroni (Lc 16,2).

Di lì a poco allorquando Pilato chiederà di scegliere, il popolo d’Israele non esiterà: Disse loro Pilato: “Metterò in croce il vostro re?”. Risposero i capi dei sacerdoti: “Non abbiamo altro re che Cesare”» (Gv 19,12.14-15). Eppure affermavano che avrebbero voluto affrancarsi da Cesare.

A Dio ciò che è di Dio

È l’invito a tornare all’in principio, all’autorità di Dio da cui ci si è allontanati. È l’invito ad essere figli non schiavi.

Io non appartengo ad alcuno se non al Signore. Dio ha un’espressione privilegiata della sua presenza in mezzo a noi mediante l’uomo che sono io: in me ha impresso la sua immagine e il suo sigillo. Guai, perciò, a voler ritenere dio ciò che è soltanto uno strumento per regolare pacificamente la convivenza sociale.

Uno solo è il Signore e a lui obbediscono anche i vari Cesare che si susseguono sulla terra come attesta la splendida vicenda di Ciro, un senza dio, che tuttavia, diventa strumento privilegiato scelto da Dio stesso per compiere una missione che avrà risvolti positivi per il popolo d’Israele.

Gesù non sta con Cesare, ma di fronte a Cesare; non vede in lui un possibile alleato ma lo mette nelle nostre mani. Scegli cosa farne di volta in volta. Gesù ha scelto: di lì a poco Cesare lo crocifiggerà. Tra Dio e Cesare, perciò, non c’è una stretta di mano ma una croce. Gesù patì sotto Ponzio Pilato perché davanti a lui fu testimone della libertà dell’uomo e della verità di Dio. E il destino della comunità cristiana sarà sempre quello di “patire sotto Ponzio Pilato” nella misura in cui essa sarà davanti ai poteri della terra, testimone della libertà dell’uomo e della verità di Dio. La libertà e la verità sono le due cose che il potere più teme e che Dio più ama.


AUTORE: don Antonio Savone
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