Una nube di paura e di angoscia accompagna lโinizio di questo tempo quaresimale. Per quanto proviamo ad esorcizzare nelle forme piรน diverse lโincubo che qualcosa tocchi anche noi (giocando persino, fino a confonderle, quarantena e quaresima), di fatto, anche tra noi cristiani di lunga data serpeggia il timore di non riuscire a portar salva questa nostra esistenza. Proprio quando eravamo convinti che tutto fosse sotto controllo, abbiamo fatto esperienza di una vulnerabilitร che sappiamo ci appartiene ma, in realtร , lโavevamo rimossa. Come dโimprovviso, siamo stati svegliati da una collettiva smemoratezza che non tutti affrontiamo e gestiamo allo stesso modo: alcuni con la scompostezza di chi fa la ressa per accumulare roba su roba negli ipermercati, altri con la discrezione di chi si riconcilia con la sua caducitร e, perciรฒ, mette in conto anche di poter essere contagiato.
ร proprio vero, sono i momenti in cui tutto viene messo in discussione per cause personali o esterne e comunque oggettive, quelli in cui ciascuno palesa la veritร del suo essere, la consistenza di ciรฒ che dร senso ai suoi giorni come pure la misura della sua fede.
Lungi da me il giudicare alcuno, tuttavia, stiamo toccando con mano un senso di finitudine da far spavento. Lo sapevamo che lโuomo fosse soltanto creatura, bisognosa di essere sempre di nuovo plasmata e messa al mondo, ma in questi giorni misuriamo una volta di piรน quanto siamo fragili e limitati, esistiamo, cioรจ, nella naturale contingenza del tempo e dello spazio, tesi verso un oltre eppure tremendamente impastati di terra. Siamo fragili e limitati e lo siamo insieme.
Nessuno puรฒ chiamarsi fuori da questa relazione profonda: siamo protagonisti della salute propria e altrui, della salvezza propria e altrui. La vita รจ un dono da accogliere e proteggere, e non lo si puรฒ fare da soli. Da soli siamo perduti.
Forse mai come questโanno abbiamo bisogno di iniziare la Quaresima ricordando che siamo polvere e in polvere ritorneremo. Presi come eravamo dal dover rincorrere chissร quali obiettivi, raggiungere chissร quali risultati, avevamo dimenticato che siamo umani nella finitudine. Abbiamo altresรฌ toccato con mano che โnoi abbiamo tonnellate di religione, ma non abbiamo un granello di fedeโ (P. Balducci).
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La nostra fede ci ricorda che il nostro Dio non ama le epidemie, non le ordina, neppure a fin di bene. La nostra รจ una vicenda che Dio ha scelto di assumere sin dallโinizio. Allโuomo che contesta a Dio il suo modo di essere presente nella storia, Dio risponde non giustificandosi ma invitandolo a guardare le cose da unโaltra prospettiva. Gli eventi e le domande che essi suscitano vanno affrontati non con lo spirito della rassegnazione e della sopportazione, ma con quello del discernimento. In tutto ciรฒ che accade รจ come racchiusa una parola che va ascoltata e accolta.
La volontร di Dio non si realizza negli eventi in quanto tali, ma nel modo in cui vengono vissuti.
Sta a noi vivere questa emergenza virale come unโoccasione per comprendere meglio la nostra umanitร . Abbiamo bisogno di prendere coscienza nuovamente di ciรฒ che, invece ci ostiniamo a rimuovere: la memoria del limite dellโessere umano. Forse dovremmo poter dire: benvenuta fragilitร . Perchรฉ mai? Perchรฉ puรฒ aiutarci ad assumere comportamenti prudenti e responsabili, ma senza alcun automatismo.
Mai come in questo momento abbiamo bisogno di diventare โsocialiโ. Non basta essere โsocialโ dietro uno schermo per dire di appartenere ad altri. Sociali significa costruire azioni collettive di protezione reciproca, sentire che lโaltro mi appartiene, tornare a tessere legami.
Abbiamo paura e la paura rivela una insicurezza esistenziale dovuta proprio โallโindebolimento dei legami, allo sgretolamento delle comunitร , alla sostituzione della solidarietร umana con la competizioneโ (Z. Bauman).
Forse, piรน che ricoprirci di cenere avremmo bisogno di rivestirci di consapevolezza o, meglio, questโanno piรน che mai il rito delle ceneri assume un piรน forte carattere di veritร .
Di che cosa abbiamo paura, in fondo? Della morte. Questo รจ ciรฒ di cui abbiamo paura. Credevamo di poter dormire sonni tranquilli al riparo delle nostre case piรน che confortevoli e sicure e, invece, ci scopriamo analfabeti della capacitร di fronteggiare lโospite annunciato ma sempre inatteso che รจ sorella morte.
Quello che stiamo vivendo รจ unโautentica apocalisse non nel senso di catastrofe come di solito intendiamo questo vocabolo, ma di rivelazione di come va il mondo e la storia degli uomini.
Noi credenti, secondo la Parola di Gesรน, siamo chiamati a discernere in ogni evento dei segni che rovesciano di colpo, sul cuore, la perenne domanda sul cosmo, su che cosa sia lโuomo, su che cosa sia la natura a volte cosรฌ stupenda e a volte cosรฌ crudele, su che cosa รจ la vita e che cosa รจ la morte.
Non basta accontentarsi della spiegazione scientifica del perchรฉ e del come un virus si sviluppi e aggredisca o meno. Una volta percorsi i sentieri della scienza, รจ ancora lโinfinito territorio del mistero che ci chiede lโaudace e tenace umiltร di esplorarlo, tanto lontana da quella protervia di chi si sente padrone del mondo, socraticamente sapendo di non sapere eppure sentendoci pensanti.
Cercare una risposta adeguata alla domanda sul significato della vita รจ lโunico antidoto alla paura che ci assale. Tu ce lโhai questo antidoto? O basta semplicemente rifornire una dispensa per una eventuale quarantena?
Mi tornano alla mente i versi di Montale: โUn imprevisto รจ la sola speranza. Ma mi dicono che รจ una stoltezza dirseloโ.
Il modo migliore per onorare chi ha perso la vita in questo imprevisto รจ proprio far sรฌ che esso non passi invano nella nostra vita ma che smuova i nostri cuori da quel torpore che vorrebbe convincerci, una volta di piรน che โio fo parte per me stessoโ.
Solo la riconciliazione con Dio โ come ricorda a noi lโapostolo Paolo in questo giorno โ puรฒ permettere di non cadere ai piedi di ciรฒ che vorrebb convincerci della nostra invulnerabilitร . Nel caso lo avessimo dimenticato, questo tempo รจ lโoccasione propizia per riappropriarci di questa consapevolezza.
AUTORE: don Antonio Savone
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