don Antonio Savone – Commento al Vangelo del 12 Maggio 2022

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‘Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica…’
I grandi della storia sono tali perché hanno vinto su altri portando come trofeo la morte dei loro rivali. Non amiamo forse esibire il successo raggiunto? Dio, invece, vince sottomettendosi e non umiliando mai alcuno.

Quella sera, quando ormai restava ben poco tempo, Gesù ci prova per l’ennesima volta a rovesciare i criteri delle relazioni assumendo volutamente, lui il Signore e il Maestro, il posto e il ruolo del servo della relazione, chiedendo ai discepoli di ogni tempo di non smettere quell’esodo mai compiuto una volta per tutte: dall’amore per la forza alla forza dell’amore.

Stupore, imbarazzo e non poche resistenze… Questo dovette essere il sentire di quella sera nel Cenacolo. Stupore, imbarazzo e resistenza di fronte al gesto non ovvio di un Maestro che, con un catino in mano e un asciugatoio alla vita, si fa servo dei suoi amici.
Stupore, imbarazzo e resistenza perché, pur avendo abbandonato tutto per seguirlo, ancora faticavano a comprendere il senso della sua esistenza. Per questo, quella sera, perché potessero essere preparati a leggere gli eventi tragici del venerdì non come una smentita ma come la manifestazione piena dell’amore, Gesù, deliberatamente, si era posto ai piedi di ognuno.

In fondo è vero: per quanto desideriamo essere amati, c’è un limite a tutto. Essere toccati dall’amore fin negli aspetti più vulnerabili di noi, conosce non poche resistenze perché è come se ci sentissimo in balia di chi ci ama. Quanta fatica ad essere amati fino a questo punto e a questo prezzo! Ma no, quel gesto di Gesù non è per esercitare un potere sui suoi; non lo compie per svergognare le loro più o meno riconosciute fragilità. È solo per dire loro che può avere accesso alla comunione con Dio (comprende, cioè, qualcosa di Dio) solo chi gli ha permesso di essere toccato nella sua condizione di limite e di non amabilità.

Perciò, possiamo non aver paura di venire allo scoperto con i nostri peccati e con i nostri entusiasmi, con le nostre paure come con i nostri slanci.
I gesti che Gesù compie si collocano all’interno di una cornice drammatica: “Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno”. Il male lo si contrasta su tutt’altro terreno di quello verso il quale ci sentiremmo indirizzati. Quando tutto sembra già irrimediabilmente compromesso, quell’alzarsi da tavola e cingersi un asciugatoio da parte di Gesù, attesta che c’è un altro modo per attraversare il guado dell’oscurità: imparando a chinarsi. Così fece il Signore e il Maestro quella sera; così ripete in ogni Eucaristia. Così chiede a noi di essere suo prolungamento. Non diversamente.

La struttura di fondo della vita umana è un essere per… Non è l’autoaffermazione a salvarci ma l’entrare nella dinamica del dono. Che cosa sarebbe stata la nostra vita se qualcuno non avesse accettato di essere per noi, di noi sin dal primo istante della nostra esistenza? Non ci sarebbe stata esistenza. E tuttavia sappiamo quanto ben presto noi finiamo per annientare in noi questa consapevolezza fino a rivendicare diritto di proprietà esclusiva su noi stessi. A volte fino a mortificare l’esistenza.

Dio, invece, sceglie di farsi servo: per farci conoscere che è possibile stare nella condizione umana da un altro punto di vista, non mettendo al centro se stesso, ma l’altro, l’uomo, l’altro con la sua storia: Giuda,  Giovanni, Pietro, Tommaso… Cosa significa amare se non riconoscere che il centro di me stesso non è in me ma nell’altro?
Farsi servo: la dismisura dell’amore che può sorprendere tanto da sentire il bisogno di difendersi. Non è facile riconoscere la propria vulnerabilità: Signore, non mi laverai mai i piedi.

Se non ti laverò, non avrai parte con me. Accettare che Dio si metta ai miei piedi manifestando un amore senza infingimenti e senza condizioni. Nasce qui la possibilità di una vita cristiana, da un amore ricevuto in maniera incondizionata. Finché non acconsentiremo a che il Signore ci tocchi nella nostra vulnerabilità non vivremo mai un’esperienza di comunione.


AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM