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don Antonello Iapicca – Vangelo del giorno – 27 Dicembre 2023

Commento al brano del Vangelo di: Gv 20, 2-8

Come Giovanni siamo amati da Gesù al punto di affidarci alle cure materne di sua Madre perché sia nostra madre. Nel grembo della Chiesa, reclinando il capo sul cuore di Gesù, impariamo a vivere entrando in ogni sepolcro che incontriamo e sperimentare in esso la sua risurrezione.

DISCEPOLI AMATI COME GIOVANNI POSSIAMO CONTEMPLARE IL SUO AMORE NELLA NOSTRA VITA

Come Maria di Màgdala, Pietro e Giovanni, anche noi siamo sbigottiti di fronte all’assenza del Signore: il problema di tutti è, infatti, che non troviamo mai Gesù dove siamo persuasi che debba essere. Cerchiamo sempre nei luoghi conosciuti, negli schemi e nelle idee, nelle esperienze e nelle abitudini, e niente, Lui non c’è. 

Abbiamo addomesticato il miracolo di Gesù, e non ci stupiamo più per la sua presenza e il suo potere. I matrimoni ad esempio, si frantumano sull’indifferenza che scaturisce dall’assuefazione alla Grazia. No, non c’entra quello che dicono gli psicologi e gli esperti di coppia. Com’è che lo chiamano?

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“Il calo del desiderio” perché l’altro è diventato un soprammobile, lo spolveri ogni tanto, ma non ti ci fissi più con interesse ed entusiasmo, non ti coinvolge e attrae come all’inizio… Allora provi a truccarti e fai mille cose, ma non serve a nulla, perché il problema non è il “soprammobile”; non è l’altro e tanto meno tu. Il problema è che il demonio è riuscito a cancellare a poco a poco la memoria dell’amore di Dio su cui si fonda ogni matrimonio. 

Esso, infatti, è un miracolo che si rinnova ogni istante di ogni giorno. E’ Cristo che apre il sepolcro e vince la morte facendo dei due una sola carne nella sua risurrezione, e lascia il “segno” della sua vittoria proprio dove tutto sembra sepolto. Soffriamo nel matrimonio, come in qualunque altra relazione, perché abbiamo chiuso gli occhi sui “segni”: non vediamo più la resurrezione di Cristo nelle bende della vecchiaia, del carattere, della stanchezza dell’altro.

E non ci gettiamo più nella novità dell’amore che fa uscire trasfigurato dal sudario e dalla tomba ciò che sembra ormai senza vita. Ma anche oggi, come nella notte di Natale, Dio ci vuol donare occhi nuovi per guardare i segni e “cominciare a credere”. Essi sono simili a quelli offerti nella grotta di Betlemme: qui un Bambino avvolto in fasce per accendere gioia e speranza, nella grotta del sepolcro “teli un sudario non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte”. 

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“Corriamo” allora senza indugio, come i pastori raggiunti dall’annuncio dell’angelo, e come Pietro e Giovanni investiti dallo stupore di Maria; corriamo obbedendo all’annuncio della Chiesa e non temiamo di “entrare” nel “luogo” che la predicazione ci ha indicato. Per “vedere e credere” che è vero l’annuncio ascoltato, rinnovando l’esperienza dei pastori davanti alla mangiatoia, è necessario andare e camminare insieme a loro che sono immagine della comunità.

E, come Giovanni che festeggiamo oggi, giunti sulla soglia dobbiamo aspettare che Pietro, ovvero i sacerdoti e i catechisti, ci confermi nella fede per non cadere nel sentimentalismo fai-da-te. Coraggio, anche noi come Giovanni siamo amati dal Signore al punto che ci affida alle cure materne di sua Madre donandoci a Lei come suoi figli! Seduti a mensa con Lui nella Chiesa, mentre lo ascoltiamo e ci nutriamo dei suoi sacramenti, ci possiamo reclinare come Giovanni sul petto di Gesù per imparare a “inchinarci” sin dentro il sepolcro nel quale ha distrutto la morte.

Uniti a Pietro e Giovanni, ovvero l’istituzione e il carisma con cui Dio conduce la Chiesa, possiamo scendere i gradini dell’umiltà per entrare nel sepolcro che è anche immagine del fonte battesimale. E’ il cammino degli apostoli e di ogni cristiano, per giungere a deporre il vestito dell’uomo vecchio e rivestire quello splendente di vita dell’uomo nuovo. 

I “teli e il sudario” che ci hanno avvolto esanimi, i fatti della storia macchiati dal peccato, ci parlano testimoniando che proprio oggi è il “primo giorno” della vita nuova nel quale il Signore ci attira. Essa però non sconvolge la precedente, ma la compie nel perdono secondo un ordine nuovo che non conosciamo. 

E’ su quei “teli” che dobbiamo puntare lo sguardo: nessuno avrebbe potuto trafugare il corpo di Gesù e lasciarli in quel modo, come nessuno salverebbe la nostra vita senza distruggere con disprezzo quello che non va bene. Nella Chiesa invece accade proprio così, ed è proprio questo l’indizio che Dio lascia a tutti noi: il matrimonio, il lavoro, gli amici, le nostre cose e i nostri affetti sono ancora tutti con noi, ma, dinanzi agli occhi della fede, appaiono in una luce nuova.

Il corpo risorto del Signore, infatti, scivola tra le bende con dolcezza, trasfigurandole con la sua impronta gloriosa, per condurci a seguire le sue orme nell’amore, che non è mai abitudine ma un donarsi in modo sempre diverso. 

Sito web di don Antonello

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