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don Antonello Iapicca – Vangelo del giorno – 15 Gennaio 2024

Commento al brano del Vangelo di: Mc 2, 18-22

La carne del cristiano redenta nel seno della Chiesa, nelle cui vene scorre il “vino nuovo” del sangue di Cristo, digiuna tacendo di fronte alle ingiustizie senza resistere al male; digiuna dall’affetto, dalla stima e dalla considerazione accettando che l’altro lo umili, perché il suo Sposo viene proprio in quel dolore, per infondere in esso la gioia delle nozze con Lui, compimento dell’amore.  

CHIAMATI A DIGIUNARE SULLA CROCE CHE, UMILIANDOCI, CI DESTA ALL’ATTESA DELLO SPOSO

E’ inutile illuderci che sulla terra si possa conquistare quello che è riservato al Cielo. Perché la terra non è non sarà mai il Paradiso. E’ contaminata dal peccato e le sue conseguenze amare sono proprio il dolore, la fatica e il sudore che vorremmo cancellare o perlomeno evitare. Impossibile, e non perché Dio non esiste e se esiste è un mostro che castiga. E’ l’esperienza personale che ce lo dice: se un bambino si avvicina al fuoco e disobbedisce allungandovi la mano, si scotta. 

E’ un castigo? No, è una conseguenza. Ma proprio attraverso il dolore della scottatura il bambino capisce di essere diverso dall’adulto, di avere dei limiti e molto da imparare da sua madre. Così il dolore, il sudore e la fatica sono le conseguenze del peccato di Adamo ed Eva e di ciascuno di noi, non i castighi che Dio ha inflitto all’uomo. 

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Ma sono anche la prova che Egli esiste e non ha smesso di amarci, liberi sino in fondo; mentre attraverso il dolore ci rivela che non siamo Dio e non possiamo eludere o piegare la realtà a nostro piacimento. Il dolore della donna nel partorire (immagine del dolore che segna il suo essere femmina, sposa e madre, con la frustrazione che spesso sperimenta nei rapporti con l’uomo verso il quale la muove l’istinto d’amore), insieme con la fatica e il sudore dell’uomo per lavorare e mangiare (immagine del dolore che segna il suo essere maschio, marito e padre), sono la realtà da cui ripartire e convertirsi: sono, infatti, le attività che uniscono misteriosamente la creatura al suo Creatore. 

Ma, attraversate da dolore e fatica sono anche le ferite che le ricordano la propria origine generando in essa, come nel figlio prodigo, la nostalgia della casa paterna. Dio non ha voluto cancellare i nostri passi erranti nella libertà; i peccati commessi sono un fatto, non c’è possibilità di reset. Non sarebbe giusto e farebbe di noi dei burattini senza testa e cuore. 

Ma Dio ha fatto di più: con il suo Figlio è entrato Egli stesso nelle conseguenze dei nostri peccati per trasformarle in possibilità di bene. Gesù è entrato perfino nel dolore del parto (così ha profetizzato il suo Mistero Pasquale), nella fatica, nel sudore e nella morte per farne un cammino alla risurrezione e alla vita eterna che ci offre nella Chiesa, il vino nuovo in otri nuovi! Altro che toppe di panno grezzo su vestiti vecchi, come sono tanti nostri tentativi moralistici, superficiali e ipocriti di conversione, entusiasmi emotivi che evaporano alla prima difficoltà. 

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Gesù è infinitamente più realista dei discepoli di Giovanni e dei farisei come di tutti noi. La sua Parola ci tira giù dai sogni improbabili di redenzione e riscatto, impedendoci di scappare nell’alienazione che ci propone il demonio. E ci chiama a tornare alla Patria perduta offrendoci nella Chiesa, sposa e vedova allo stesso tempo, un cammino di conversione dove imparare a digiunare per umiliare il nostro cuore. Essa, infatti, esplode di gioia intorno alla mensa eucaristica, ma contemporaneamente digiuna nell’attesa della parusia. 

Vive del Memoriale del suo Signore, celebrando il quale grida con nostalgia e speranza Maràn athà, certa che il Signore nostro viene, ma che si può leggere anche marana tha, Signore nostro, vieni! E’ la fede della Sposa con la quale la Chiesa entra nella storia sicura che lo Sposo verrà in ogni circostanza a dare compimento alla sua vita. Attraverso il digiuno esteriore che sottomette la carne, essa ci insegna ad entrare con Cristo nel digiuno che il Padre ci prepara nella storia. 

Quando cioè sperimentiamo la lontananza e l’assenza dello Sposo, nudi e indifesi, e a nulla vale il sentimento. E’ qui che, come una vedova vive nella memoria misteriosa del marito che le “è stato tolto”, possiamo sperimentare una presenza nuova di Cristo in noi, come un “abito nuovo”, una forma nuova di vivere di cui il digiuno è segno. 

Nell’“otre nuovo” infatti, l’amore dello Sposo disseta anche i nemici. La carne dell’uomo nuovo redenta nel seno della Chiesa, nelle cui vene scorre il “vino nuovo” del sangue di Cristo, digiuna tacendo di fronte alle ingiustizie senza resistere al male; digiuna dall’affetto, dalla stima e dalla considerazione accettando che l’altro lo umili, perché il suo Sposo viene proprio in quel dolore, per infondere in esso il compimento dell’amore.

Sito web di don Antonello

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