don Antonello Iapicca – Commento al Vangelo del 8 Settembre 2019

AMARE E’ ANCHE CALCOLARE, E ODIARE LA MENZOGNA DEL DEMONIO CHE IMPEDISCE LA LIBERTA’ DI DONARSI GRATUITAMENTE

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Avranno «calcolato» ponderatamente i rischi prima di bussare alla porta della Chiesa i pagani che abitavano l’Impero Romano. Convertirsi significava infatti andare incontro ad una morte probabile. Eppure continuavano a ripetere ai cristiani che desideravano vivere come loro. Accadde anche a quel samurai che, vedendo San Francesco Saverio rispondere con pazienza e amore a dei bambini che lo insultavano e deridevano, ne rimase così affascinato da chiedergli di diventare cristiano come lui; quello straniero, infatti, doveva avere un tesoro molto più grande dell’onore che sino ad allora era stato la ragione della sua vita. «Quello che il cristianesimo offriva ultimamente ai convertiti non era nulla di meno della loro umanità» (G. Bardy), che Dio rivelava autentica e compiuta in Cristo. Incontrandola nei cristiani diveniva naturale «odiare» tutto quello che, nella loro vita, li stava ghermendo nella menzogna. Anche a noi è giunto lo stesso annuncio. Abbiamo visto e sperimentato il suo amore che ha salvato e rinnovato la nostra vita. Ma oggi, «andando a Gesù», che cosa speriamo? Siamo come la «molta gente» che lo seguiva o desideriamo davvero essere suoi «discepoli»? Seguire il Signore significa «costruire» con Lui una «torre» come quelle che si ergevano nei campi per raccogliere e difendere il raccolto. Occorre «calcolare la spesa», che comprende ogni istante della nostra vita, e discernere i «mezzi» con cui «portare la missione a compimento», ovvero «la propria croce». Significa «portare» con Lui ciò che ci umilia e che il mondo non può accettare, per annunciare a tutti che c’é una «torre» dove Cristo ci accoglie e ci difende; essa è proprio la croce di ciascuno, dove si può vivere sereni anche nella sofferenza, perché Lui ha seminato la vita nella morte. Scendere dalla Croce è consegnare se stessi e Cristo alla «derisione» del mondo, nello scandalo che impedisce a chi ci è accanto la salvezza. Seguendo il Signore siamo chiamati anche ad «affrontare» con Lui la «guerra» per strappare al «re» nemico i prigionieri della sua menzogna. Ma, è ovvio, non possiamo combattere senza «odiarlo». Non lottiamo però con le creature, ma contro il demonio e i suoi lacci: gli affetti per «padre, madre, fratelli e sorelle» vissuti nella carne e schiacciati nei compromessi, l’idolatria del denaro, feticcio che rappresenta potere e successo. Soprattutto la nostra «propria vita», con i suoi criteri, le ragioni, i progetti. «Chi non odia» tutto questo ogni giorno, finirà con l’odiare Dio per «accordarsi» con il nemico, anche se «lontano»; le sue tentazioni, infatti, sono subdole e difficili da smascherare… Il Signore ci ha «amati sino alla fine», «odiando» perfino il suo essere Dio pur di raggiungerci laddove giacevamo lontani dal Padre. Per questo «non può essere discepolo» di Gesù chi «non rinuncia a tutti i suoi averi» per far posto al suo amore incorruttibile, libero e autentico, che attira ogni uomo nel desiderio di esserne colmato.
 

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COMMENTO COMPLETO
 

Gesù “si volta” anche oggi per guardare chi lo segue, e come … “Si volta” verso la sua Chiesa per scrutarne il cuore, e il suo sguardo giunge anche a noi.  Forse la nostra vita è disciolta in quella della folla; abbiamo perduto l’identità e la personalità nel pensiero mondano. Gesù “si volta” e cerca un volto e una persona in mezzo alla folla di avatar nickname di evanescenti figure virtuali. Gesù ci cerca per strapparci all’anonimato di chi si nasconde spaventato dal dover essere. 

È la paradossale situazione della maggior parte dei giovani: desiderano affermare se stessi e urlare al mondo che ci sono, ma finiscono per lasciarsi omologare in una trasgressione teleguidata che è tutta apparenza. In realtà li vediamo tutti tristemente uguali: s-vestiti come marketing comanda, avvolti nello stesso fumo, rapiti dagli stessi spinelli, storditi dalle stesse bottiglie, incapsulati in un identico pensiero, assordati dagli stessi rumori e sfregiati dagli stessi tatuaggi, nascosti nelle stesse chat.

Ma, seppure in forme diverse, è lo stesso che capita anche a noi. Non è forse troppo spesso una folla anonima la nostra famiglia? Non lo siamo noi stessi, nel groviglio di pensieri e nevrosi , complessi e gelosie, scrupoli e fraintendimenti che ci prendono per il collo e ci trascinano nel caos? Gesù “si volta” e cerca te e me in mezzo alla menzogna e all’ipocrisia.

In fondo non sappiamo neanche noi chi realmente siamo, il senso autentico e non effimero della nostra vita, di ciò che facciamo e diciamo. Che significa essere “padre o madre, marito o moglie, figlio o figlia, fratello e sorella”? E in ufficio? Qual è la nostra vera identità, che ci stiamo a fare, che parole dire, che atteggiamenti assumere? Che significa essere un impiegato, un dirigente o un professore?

E Gesù “si volta” e ci cerca, perché “molta gente andava con Lui”; questo significa anche che ciascuno di noi “va con Gesù” in “molte” forme. Dissipati e adulteri, idolatri e ipocriti, per non soffrire, ci adeguiamo alle condizioni e alle situazioni; ci mimetizziamo per non essere sorpresi in qualche debolezza ed essere mangiati dagli altri. Abbiamo paura di morire, e per questo viviamo schiavi dell’immagine, nell’illusione che essa ci protegga. “Andiamo con Gesù” in compagnia di mille noi stessi, tanti sono i volti che presentiamo durante il cammino.

E proprio per questo Gesù “si volta” e posa lo sguardo sulla verità. Le sue parole, infatti, disboscano e tagliano le erbacce, per arrivare alla radice autentica. Anche se “andiamo con Lui” e vorremmo seguirlo, “non possiamo”, come un malato che non può mangiare quello che vuole. Il rapporto con  “madre, moglie, figli, fratelli, sorelle e perfino con la nostra vita”, e quello con “tutti i nostri averi”, è così malato che ci impedisce di essere “discepoli” di Gesù.

Non li “odiamo”, per questo non possiamo prostrarci ai piedi del Maestro, ascoltarlo e dargli credito e fiducia, imparare da Lui e obbedirgli. “Non possiamo” amarlo perché il nostro cuore è impegnato ad amare carnalmente e con concupiscenza i familiari e i soldi: “non si può amare due padroni”; se ne amiamo uno odieremo l’altro… Quindi, amando la carne e il denaro odiamo Cristo, non si scappa.

Certo non si tratta di una competizione tra affetti diversi, dove un contendente arrivi a sbaragliare l’altro. Ma, tra Gesù e tutto il resto vi è una differenza sostanziale: Lui, e solo Lui, è Dio… Lui, e solo Lui, dà la vita, la pace, la felicità. Lui, e solo Lui, può colmare il cuore e dare senso alla vita.

Lui, e solo Lui, ama sino alla fine che non ha mai fine. Un padre e una madre, per quanto di fede e buonissimi, non ci daranno mai quello di cui la nostra anima ha bisogno: “Il padre ti ha generato ma non ti ha formato lui stesso come tu sei. Ignorava quando ti seminò chi e quale figlio gli sarebbe nato. Il padre ti alimentò ma non diede a te, quando avevi fame, un pane tratto da se stesso. Infine, qualunque cosa il padre tiene in serbo per te in terra, deve morire perché tu ne venga in possesso, deve far posto con la sua morte alla tua vita. Quel padre che è Dio invece ti tiene in serbo cose che ti dà insieme a se stesso” (S. Agostino).

Potremmo ingannarci e confondere l’affetto con la Vita; allora sarà necessario “odiare” e “rinnegare” perfino la propria vita, la parte più intima dove si è infilato l’affetto che usurpa il posto di Cristo. Nessun altro può entrare in noi e comunicarci amore e vita eterni. Per questo,  il “discepolo” che “odia” il nemico di Cristo e ne difende il posto dentro di lui, lo ascolta e lo segue, è l’uomo vero e realizzato, al quale nulla manca. E’ sapiente, misericordioso, generoso, paziente, allegro, sereno. Può amare! Essere “discepolo” di Gesù e “andare dietro di Lui” significa proprio questo: amare e dare la propria vita; essere crocifissi con Lui bruciando di zelo per ogni anima.

Un “discepolo” del Signore “alza la propria croce”, secondo l’originale greco, e lo segue sul cammino che conduce al Calvario. Gesù si riferisce, infatti, all’istante nel quale il condannato a morte doveva sollevare l’asse orizzontale della croce per poi caricarselo sulle spalle e incamminarsi verso il luogo del supplizio. E’ il momento nel quale il Signore ci attende per donarci di essere noi stessi. E’ il momento nel quale siamo pienamente liberi, per accoglierla o rifiutarla. E’ il momento più importante nelle giornate dei nostri figli, quando la difficoltà e l’umiliazione li mette davanti alla libertà di accettare o rifiutare di diventare adulti e imparare a soffrire per amore.

Quando Dio ci consegna la Croce, infatti, sperimentiamo di appartenere a Lui che ci ha riscattati a prezzo del suo sangue. Ogni relazione che tradisca questa è un adulterio, e ci consegna alla morte.  Attraverso di essa iniziamo ad essere autentici e a scoprire la nostra identità. E’ la Croce che ci sgancia dalla folla come un ciclista che vada in fuga lasciandosi dietro il gruppo. Come lui, proprio all’inizio della salita decisiva, abbiamo la possibilità di staccarci e vivere secondo la volontà di Dio, come un “discepolo”.

Il Legno che ci segna e ci stringe a Lui è già preparato: forse la parolina pugnace di nostro marito, proprio quella che non ci saremmo mai aspettate; forse la notizia che tuo figlio è stato bocciato e non lo avresti immaginato; forse la morte del tuo migliore amico; forse la ragazza che ha deciso di lasciarti; forse i lavori del condominio che ti impediscono almeno una settimana di vacanze.

Gesù “si volta”, ci cerca e ci consegna il Legno sul quale essere “discepoli” e seguirlo. Certo ci aspettano difficoltà, derisioni e incomprensioni; sulla via del Calvario, come su ogni cammino che conduceva alla Croce, si riversavano folle esaltate che dovevano insultare i condannati. Se “alziamo la Croce” perdonando un tradimento e accettando l’ingiustizia, saremo insultati pesantemente, proprio da chi ci è più vicino.

Sulla via crucis quotidiana siamo chiamati ad “affrontare” con Gesù la “guerra” per strappare al “re” nemico i prigionieri della sua menzogna. Ma, è ovvio, non possiamo combatterlo senza “odiarlo”, altrimenti finiremo con l’odiare Dio per “accordarci” con il nemico, anche se “lontano”; le sue tentazioni, infatti, sono subdole e difficili da smascherare… 

Per questo non si può essere “discepoli” del Signore se non “odiamo” la superbia che ci fa pensare di saper affrontare la vita senza il Signore. Le nostre “truppe” sono inferiori a quelle del demonio! Solo se il Signore ha preso possesso della nostra vita potremo affrontare il nemico e vederlo sconfitto.

Solo con il pensiero di Gesù potremo discernere, nella selva dell’affetto, la madre, il padre o la persona più vicina che  tenta di opporsi alla volontà di Dio con criteri e parole mondane. Gesù cita affetti “naturali” proprio per mostrare che è necessario un cambio di natura, divenire figli di Dio per vivere le relazioni in modo diverso. Esse sanno “odiare”, respingendo la tentazione che il demonio ci recapita attraverso le persone. Per amare le persone con un amore autentico, libero e puro, dobbiamo saper “odiare” peccati e inganni del demonio! 

Così con i figli, con chiunque, “calcolando” prima “le spese” che questo comporta. O si hanno i soldi per costruire o non si hanno. O si ha l’amore o non lo si ha. O si può amare nella libertà o non si può… Non si tratta di una gerarchia di affetti e valori, per la quale amare Gesù più del marito. No, perché chi non ama Cristo di amore assoluto e incorruttibile, non ama nessuno. 

E’ schiavo di legami che strangolano lentamente: quanti fidanzati vivono spersonalizzati e pronti a tutto pur di non perdere il partner; per poi ritrovarsi svuotati, senza dignità, con il solo disprezzo per se stessi; quanti figli vivono nell’incubo di dover dimostrare al padre di essere meglio del fratello o della sorella; quanti amici cancellano tutto di se stessi per incastrarsi nel “branco” e sentirsi vivi perché in nulla diversi dagli altri.

C’è una sola salvezza, quella che oggi ci annuncia il Signore: essere suo “discepolo” e seguirlo. Mentre il mondo e i suoi affetti e i suoi beni ci inducono a seguire un’idea di felicità, di vita, di persona, il Signore ci chiama a seguire Lui, per essere noi stessi. In Lui siamo stati creati, e solo in Lui potremo essere felici e liberi dai legami morbosi pieni di aspettative e di esigenze, di ricatti e di gelosie. 

Una famiglia è santa solo se Cristo vi è amato con tutto il cuore, con tutta l’anima e tutte le forze, senza compromessi. Un matrimonio è compiuto solo nella libertà dei coniugi che si “odiano” ogni qualvolta il demonio li vorrebbe in competizione e antagonisti di Cristo: nella sessualità, nel rapporto con il denaro e i figli, nella vita spirituale e nello svago. I figli saranno vivi e potranno crescere e maturare solo “seguendo” Cristo, e “odiando” tutte le idee che lo vorrebbero scalzare.

Per seguire Gesù occorre quindi “rinunziare a tutti i nostri averi”. E’ una necessità, non un obbligo o la condizione per far parte di un club esclusivo. Bisogna rinunciare a tutti  i beni, nessuno escluso. Sembra una follia, magari Gesù pensava ai frati e alle suore di Madre Teresa di Calcutta. Ma in quel tempo ancora non esistevano, mentre vi erano solo i “discepoli”, i cristiani… “Rinunciare a tutto” perché non si possono fare compromessi, non si può avere il cuore strabico e schizofrenico, altrimenti si morirebbe dilaniati. Come tanti, come noi quando ci industriamo per salvare capra e cavoli e ci ritroviamo con un pugno di mosche.

“Rinunciare a tutto” perché per essere “discepolo” di Gesù e salvare il mondo dobbiamo avere “tutto” il suo amore e “tutta” la sua Grazia. Mischiare queste con le risorse infette della carne significherebbe rendere tutto inservibile. Siamo chiamati a “rinunciare a tutti gli averi”, dal denaro e dai beni sino alla propria volontà, per lasciare campo libero alla volontà di Dio e allo Spirito Santo.

Seguire il Signore significa, infatti, “costruire” con Lui una “torre” come quelle che si ergevano nei campi per raccogliere e difendere il raccolto. Occorre “calcolare la spesa”, ovvero essere attenti a tutto quello che serve per amare, ad ogni occasione, senza sprecarne nessuna. E discernere i “mezzi” con cui portare la missione a compimento, ovvero lo Spirito Santo che ci spinge a donarci. Iniziare a “fondare” un rapporto, un matrimonio, un fidanzamento o un’amicizia con i “mezzi” sbagliati e insufficienti conduce alla “derisione” riservata ai falliti. 

Non si ama per la carne ma attraverso di essa, in virtù di un amore che ci viene donato. Altrimenti la “torre” verrà giù alla prima difficoltà. Ma il Signore ci ha amati senza condizioni sulla “torre” della Croce, “odiando” perfino il suo essere Dio pur di raggiungerci laddove giacevamo lontani dal Padre. Come non odiare allora la vita antica e tutti i legami e i beni effimeri che ci hanno condotto alla morte, per ricevere la vita vera ed eterna nella quale spenderci in attesa del Cielo?

Fonte e approfondimenti

Letture della
XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Prima Lettura

Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?

Dal libro della Sapienza
Sap 9, 13-18
 

Quale uomo può conoscere il volere di Dio?
Chi può immaginare che cosa vuole il Signore?
 
I ragionamenti dei mortali sono timidi
e incerte le nostre riflessioni,
perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima
e la tenda d’argilla opprime una mente piena di preoccupazioni.
 
A stento immaginiamo le cose della terra,
scopriamo con fatica quelle a portata di mano;
ma chi ha investigato le cose del cielo?
 
Chi avrebbe conosciuto il tuo volere,
se tu non gli avessi dato la sapienza
e dall’alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito?
 
Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra;
gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito
e furono salvati per mezzo della sapienza

Parola di Dio

Salmo Responsoriale

Dal Salmo 89 (90)

R. Signore, sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione.Tu fai ritornare l’uomo in polvere,
quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo».
Mille anni, ai tuoi occhi,
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte. R.
 
Tu li sommergi:
sono come un sogno al mattino,
come l’erba che germoglia;
al mattino fiorisce e germoglia,
alla sera è falciata e secca. R.
 
Insegnaci a contare i nostri giorni
e acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi! R.
 
Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio:
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda. R.

Seconda Lettura

Accoglilo non più come schiavo, ma come fratello carissimo.

Dalla lettera a Filèmone
Fm 9b-10.12-17

 
Carissimo, ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene. Te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore.
 
Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario.
 
Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore.
Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso.

Parola di Dio

Vangelo

Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 14, 25-33

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

Parola del Signore

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