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don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 3 Marzo 2024

Commento al brano del Vangelo di: Gv 2,13-25

Siamo giunti alla III domenica di quaresima. In questo tempo abbiamo compreso quanto  siamo deboli e fragili, eppur ricolmati dell’amore misericordioso di Dio (mercoledì delle ceneri); abbiamo  capito che le tentazioni fanno parte della vita e che spetta a noi cercare di restare saldi nel Signore,  confidando nella forza della sua Parola (I domenica di quaresima); abbiamo compreso anche che per  affrontare le sfide è necessario tenere davanti a sé una “ragione di vita” che per noi è la Meta che ci attende  in Cielo, anticipata nel mistero della Trasfigurazione (II domenica di quaresima).

La lotta più impegnativa  non sta tanto nel nostro darci da fare, ma nel lasciarci fare daDio: permettere cioè al Signore di “purificare”  i nostri desideri, visto che sono il motore che muove la vita. Per questo è importante “mettervi ordine”,  affinché siano sempre più coerenti con la volontà del Padre. Una lotta che avviene prima di tutto nella  “casa” del nostro cuore e solo Dio ne conosce in profondità i segreti e quindi, con la luce e la forza della  Parola, sa dove “toccare e guarire” pur di eliminare le affezioni disordinate, quei “mercanti” presenti nel  cuore. È questo il tema di questa III domenica.  

Se fino ad oggi abbiamo ascoltato il Vangelo di Marco, da oggi fino alla domenica delle Palme ascolteremo  brani tratti dal Vangelo di Giovanni.  

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Gv 2, 13-25 | don Andrea Vena 104 kb 34 downloads

III domenica di Quaresima, anno B Es 20,1-17 Sal 19 1Cor 1,22-25 Gv 2,13-25 a cura…

Nella prima lettura ci viene presentato il testo dell’Esodo dedicato ai 10 comandamenti,  segno della III alleanza, quella tra Dio e Mosè.Noi spesso li intendiamo come “ostacoli”, una sorta di elenchi  di proibizioni. Eppure non è così. Se solo sfogliassimo il libro dell’Esodo, noteremmo alcune particolarità  importanti. Dal capitolo 14 di questo libro si parla dell’esodo, dell’uscita del popolo ebreo dalla schiavitù  dell’Egitto; al capitolo 19 leggiamo dell’alleanza sul Sinai (oggi infatti abbiamo la III alleanza tra Dio e il suo  popolo: nella I domenica di quaresima c’era quella con Noè, nella II con Abramo, oggi con Mosè). E quindi  al capitolo 20 ci viene raccontata la consegna delle “10 parole”. I comandamenti, dunque, giungono al  termine dell’Esodo, a cammino concluso. Per semplificare, sembra quasi che il popolo dica a Dio: “Abbiamo  fatto esperienza di libertà con Te, Signore. Mentre ti ringraziamo, ora aiutaci a continuare a vivere questa  esperienza di libertà assieme Te”. E Dio consegna le Tavole, come per dire: “Se volete continuare a essere  liberi, vi consiglio di seguire queste Parole”.

Ecco cosa sono i comandamenti: una proposta per custodire  un “cammino di libertà”, altro che proibizione! Un dono che esprime un’appartenenza, un’alleanza. “Sono  il Signore tuo Dio” (v. 2); prima il popolo era sotto schiavitù, ora è libero per l’intervento di Dio: “Ti ho fatto  uscire” (v2b). La libertà però non è solo aver lasciato la schiavitù dell’Egitto, ma anche e soprattutto  liberazione dal compiacimento in quella realtà che li rendeva schiavi: in fondo stavano anche bene perché  protetti: “Fossimo morti… nel paese d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne…” (Es  16,3). L’esperienza dell’Esodo fu dunque nascita di libertà, comprensione di cosa significhi essere liberi, e  come ogni nascita comportava il rischio, la responsabilità personale. Chiarito che Dio è il Liberatore, segue  il comando vero e proprio: “Non avrai altri dèi di fronte a me” (v. 3). Il problema che Dio mette davanti è il  continuo pericolo del sincretismo, del tutto fa brodo, del far convivere Dio con altri dei (cfr Elia e sul  Carmelo, 1Re 18,39; Is 46,6-7: gli idoli hanno bocca e non parlano…). Dio, ricorda l’Esodo, è un “Dio geloso”  (Es 20,5), che vuole l’esclusiva dell’amore. A partire da questa esclusività ecco i comandamenti. 

Concentriamo l’attenzione sull’ultimo, lì dove si dice “Non desiderare la casa del tuo prossimo, non  desiderare la moglie del tuo prossimo…”. Lo faccio perché questo comandamento ci offre la chiave per  comprendere tutti gli altri comandamenti, e per spiegarlo mi servo di un racconto, di un “dialogo” tra un  discepolo e il suo maestro. “Il discepolo domandò al rabbino: “Perché il Santo Benedetto ci disse “non  desiderare la casa, lo schiavo, la schiava… del tuo prossimo”: ha già detto “non rubare”. Perché ci ha detto  “non desiderare la moglie del tuo prossimo”: ha già detto di non commettere adulterio. Forse che il Santo  Benedetto ci ha dato un comandamento inutile? Il Rabbì rispose: il Santo Benedetto Iddio negli altri comandamenti ci disse quali sono le trasgressioni, ma in questo ci dice l’origine di tutte le trasgressioni, il  desiderio. Nel cuore nascono le trasgressioni, quando coltivi “desideri” contrari”.  

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Dio sa che nel cuore umano c’è sempre la tentazione di cedere agli idoli del momento e coltivare desideri  disordinati. Si comprendono quindi le parole di Gesù nell’ultimo versetto del brano del vangelo di oggi che  ci offrono la chiave per entrare nel testo:“Non si fidava di loro… conosceva quello che c’è nell’uomo”. v. 13: “Si avvicinava la Pasqua dei Giudei… Gesù salì a Gerusalemme”: è la prima volta che Gesù entra  nel Tempio, e si trova subito in conflitto. “Era vicina la pasqua dei giudei”: è la prima delle tre pasque  segnalate da Giovanni (Gv 6,4; 11,55), e sarà proprio nella terza Pasqua che Gesù porterà a compimento la  rivelazione del Padre (Gv 13,1).  

v. 14: “Trovò nel tempio gente che vendeva buoi… e i cambiavalute”: bisogna sapere che ogni ebreo  maschio era obbligato a salire a Gerusalemme per offrire l’agnello in occasione della Pasqua, e tre  settimane prima iniziava la “vendita” degli animali idonei all’offerta (le colombe erano il sacrificio dei poveri  (Lv 5,7). I cambiavalute avevano il compito di ricevere le “monete romane” che dovevano essere cambiate  con monete coniate a Tiro: non si trattava tanto di una questione di ortodossia religiosa, anche se così era  fatta passare! In fondo anche le monete di Tiro riportavano iscritta un’immagine pagana, ma contenevano  più argento, quindi valevano di più! A sovraintendere a questo “commercio”, c’erano i sacerdoti del tempio!  che in questo cambio avevano sempre un profitto!  

Questo è il contesto che Gesù trova nel Tempio, di preciso nello Hieron, ossia nel cortile esterno del Tempio, il Cortile dei Gentili.  Il Tempio propriamente detto è il Naos, il santuario, che sarà citato al v. 19-21. Ricordo che quando si parla del Tempio di  Gerusalemme si indica l’intero complesso al quale erano annessi anche gli edifici abitativi di coloro che esercitavano nel Santuario.  Il Tempio era dunque composto dal“Cortile dei Gentili”, dove potevano accedere anche i pagani, era circondato da portici e quello  orientale era chiamato Portico di Salomone. Attraverso delle porte si accedeva al Tempio vero e proprio, lo Hieròn, all’interno del  quale non potevano entrare i pagani. Qui troviamo l’Atrio delle donne, degli Israeliti, dei Sacerdoti. Nel mezzo di questo atrio  sorgeva l’Altare degli olocausti. Vicino si innalzava il Santuario (il Naos) il quale si divideva in tre zone: un atrio chiamato  “vestibolo”; il Santo, che conteneva il candelabro d’oro a sette braccia e dove entravano solo i sacerdoti per bruciare l’incenso e  mantenere accese le lampade del candelabro; quindi il Santo dei Santi dove entrava solo il Sommo Sacerdote una volta all’anno  nel giorno dell’Espiazione.  

v. 15: “Fatta una frusta di cordicelle… scacciò fuori dal tempio”: con il flagello Gesù castiga questo  “commercio” presente nel Tempio (lo Hieron). Rovescia i banchi dei venditori e scaccia fuori tutti (cfr Es 32,  vitello d’oro). Gesù rovescia tutto: è finito il tempo del sangue per dare lode a Dio. Come avevano gridato  invano i profeti: io non bevo il sangue degli agnelli, io non mangio la loro carne; misericordia io voglio e non  sacrifici (Os 6,6). Gesù abolirà, con il suo, ogni altro sacrificio; il sacrificio di Dio a favore dell’uomo prende  il posto dei tanti sacrifici fatti dall’uomo a Dio. Un’azione che ricorda il profeta Geremia, quando ammonì i  sacerdoti denunciando che il Tempio era diventato un covo di ladri (Ger 7,11); e ricorda anche Malachia, il  quale denuncia l’abuso del culto: “Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e  presto entrerà nel suo tempio il Signore” (Mal 3,1); ricorda anche la speranza del profeta Isaia nel vedere il  Tempio come una “casa di preghiera”, capace di attirare tutti i popoli del mondo (Is 56,7).  

v. 16: “Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato”: parole e azioni  che rimandano al profeta Zaccaria, il quale annunciava quello che sarebbe successo quando il Signore  sarebbe venuto nella città di Gerusalemme: “In quel giorno non vi sarà neppure un cananeo (=mercante) nella  casa del Signore” (Zc 14,21). Un gesto, quello di Gesù, che da una parte “denuncia” le deformazioni del  culto, fatto di sacrifici e basato su interessi personali!: “Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo:  “Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me” (Mt 15,7). E dall’altra annuncia la  trasformazione. Non stupisce dunque che i capi del popolo chiedano un segno (Gv 2,18) che dia a Gesù la  legittimità del suo comportamento ritenuto da essi scandaloso. Infatti Gesù chiaramente denuncia a cosa  era stato ridotto il tempio: da luogo di preghiera a luogo di mercato! Di fronte a questo, i discepoli non  comprendono, ma ricordano un passo: “Lo zelo per la tua casa mi divorerà” (sal 69,10). Lo zelo per il Padre  e la sua casa, infatti, lo porterà a morire in croce, rivelandosi zelo d’amore che sacrifica se stesso. Ora Gesù  dichiara che il Tempio è Casa del Padre suo che deve purificare, perché ciò che conta è il culto spirituale  (1Re 19,10.14). 

v. 17-18: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?”… Distruggete questo tempio e in tre giorni io lo  farò risorgere: i sacerdoti del tempio chiedono con quale “autorità” Gesù fa questo, e Lui risponde invitandoli a distruggere il tempio (naos) perché lui lo farà risorgere. La risposta di Gesù non si riferisce  tanto al tempio, ossia a tutto l’edificio, quanto al “santuario” vero e proprio, lì dove c’era la presenza di Dio.  v. 21 “Egli parlava del tempio del suo corpo”: con la Pasqua di Gesù – con il Suo corpo distrutto e risorto – inizia il nuovo culto, il culto dell’amore, nel nuovo tempio (naos), e il nuovo tempio è Lui stesso. Sarà la  resurrezione l’evento chiave che renderà i discepoli finalmente capaci di comprendere anche il gesto di  oggi, e sarà lo Spirito Santo (Gv14,26) a far loro ricordare le cose in modo nuovo. 

vv. 23-25: “…Molti vedendo i segni… credettero nel suo nome. Gesù però… sapeva quello che c’è in ogni  uomo: non ciò che entra nell’uomo, ricorderà Gesù, corrompe l’uomo; ma ciò che esce dal cuore dell’uomo  corrompe l’uomo (Mt 15,11).  

Ecco perché siamo invitati, con le parole del salmo, a lasciarci rinfrancare l’anima dalle parole di vita eterna  del Signore; certo, non è facile, perché il mondo va da un’altra parte, perché – come ricorda san Paolo – la  Parola di Gesù per il mondo è scandalo e stoltezza, ma per noi è e rimane potenza di Dio. Garanzia di  salvezza e di libertà (seconda lettura). Oggi, in Gesù risorto, quel tempio è il mio stesso corpo, la mia vita, che è “casa di Dio” perché lo  Spirito stesso abita in me, in ciascuno di noi (1Cor 3,16). Quando impareremo a tenere fisso lo sguardo in  Gesù, Autore e perfezionatore della nostra fede, della nostra amicizia con Lui (cfr Eb 12,1-4), allora il nostro  volto brillerà della luce che sgorga dal cuore “unificato” (cfr Trasfigurazione, II domenica). Se invece  permetteremo al cuore di volgersi lontano da Dio o solo di pensare che Dio sia contro di noi e la nostra  felicità, anche il nostro volto ne risentirà.

Il Signore disse a Caino: “Perché sei irritato e perché è abbattuto il  tuo volto? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla  tua porta: verso di te è il tuo istinto, ma tu dòminalo” (Gn 4,7-8): anche noi come Caino possiamo fare  esperienza di una vita distratta e superficiale, accecata da “desideri disordinati” (cfr Esodo, 1^ lettura), che  conducono ad azioni sbagliate agli occhi di Dio. E’ il disordine del cuore che ci porta a ridurre la “casa del  Padre” in un “mercato”, puntando al tornaconto personale e alla vanagloria. Mi domando perciò quanto i  “comandamenti” rappresentino il solco sul quale cerco di costruire la mia vita di uomo libero, salvato,  consapevole che “non è ciò che entra nell’uomo che corrompe l’uomo, ma ciò vi esce”. Finché non permetto  e non permettiamo al Signore di purificarci interiormente, rischieremo di farci ingannare (il serpente, Gn  3), solo per evitare la correzione del Signore, ma dimenticando la sua Parola: “Figlio mio, non disprezzare la  correzione del Signore e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui; perché il Signore corregge colui che  egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio” (Eb 12,5). E a partire dal tempio che è il mio corpo, la mia  vita, comprenderò come trasformare in Tempio di Dio la famiglia, la via comunitaria, ambientale… ma  tutto chiede di partire da Gesù, pietra d’angolo.

APPENDICE (il cammino quaresimale) 

[…]

III domenica (Gv 2,13-25): per giungere a questa vita “trasfigurata/autentica” è necessario passare  attraverso la “purificazione” del tempio della nostra vita, un eliminare gli idoli. Non si tratta di un’opera umana,  ma è la morte risurrezione di Gesù a purificare “il tempio”, inaugurando il tempio nuovo nel suo stesso corpo risorto. In questo modo il culto non sarà più un attenersi alla legge, quanto a una vita di fede espressa da una  condotta bella e coerente. La legge data a Mosè, viene dunque portata a compimento/pienezza da Gesù risorto,  Legge/Parola vivente, che porta il salmista a cantare: “La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima” e a  “predicare Cristo, crocifisso e risorto” (II lettura).  

IV domenica (Gv 3,14-21): qualcuno potrebbe sentirsi “escluso” ma sbaglia. Il Signore è venuto per dare  la vita per tutti, per salvare tutti noi: basta fare una scelta di fede, evitando di lasciarsi contaminare dalle opere di  quanti vivono nelle tenebre (I lettura), e abbracciando colui che è la nostra Luce, Gesù, grazie al quale siamo salvati  (II lettura): questa è la nostra gioia! Per questo “Mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo,  Signore” (salmo). 

V domenica (Gv 12,20-33): Gesù si presenta come quel chicco di grano che chiede di essere gettato per  morire e portare frutto. È la sua “ora” di obbedienza totale al Padre, che lo glorificherà. In questo modo si  concluderà l’alleanza nuova e definitiva e Dio non ricorderà più il peccato dell’uomo (I lettura). Imparando  l’obbedienza, Gesù divenne causa di salvezza per tutti, sigillando l’eterna alleanza (II lettura) non su tavole di pietra,  ma direttamente nei cuori: “Crea in me o Dio, un cuore puro” (salmo).  

Domenica di Passione, “Portale” della settimana santa. Compreso che siamo “deboli” (Le ceneri),  sempre in lotta tra il bene e il male (I dom), ma senza rinunciare a puntare sempre verso l’alto (II dom), forti della  gioia che il Signore ci ha salvati (IV dom), e consapevoli che tutto questo lo abbiamo ricevuto gratuitamente da  Gesù (V dom), non resta che accettare di partecipare alla sua “passione” (Le palme).  

Si tratta, cioè, di accettare di mettersi “dietro a Lui” nel momento più cruento, evitando di rinnegare, di tradire, di  scappare. Ne vale la credibilità della nostra testimonianza.  

Triduo Pasquale: Lo “stare dietro”, comporta entrare nella sua logica.  

Giovedì santo: partecipare al banchetto dove Lui si fa dono: qui impariamo a renderci capaci di farci  noi stessi dono gli uni per gli altri, sapendo comprendere e vivere, come suggeriva don Tonino Bello, la  “grammatica dell’Eucaristia”, ossia la Messa come la intendiamo; ma anche la “logica dell’Eucaristia” che è farsi  servizio, espressa nella lavanda dei piedi: “Vi ho dato l’esempio…perché lo facciate anche voi”.  

Venerdì santo: “stare dietro”, che chiede di imparare a seguire Gesù e, sull’esempio della Vergine Maria,  stare “ritti in piedi” anche sotto la croce.  

Sabato santo: camminare chiede anche la capacità di fermarsi, di attendere, di ritrovarci. Il silenzio di  questo giorno è forse il più difficile. Vivere nell’attesa.  

La notte tra il sabato e la domenica: Pasqua! Solo chi vive nell’attesa, incontra il Risorto, come la  Maddalena. E, incontrato, non si può che andare ad annunciare di averLo visto e toccato. È la gioia della  testimonianza della vita. 

Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.

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