d. Giampaolo Centofanti – La confessione al tempo del coronavirus

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Carissimi varie persone mi hanno chiesto se era possibile confessarsi per telefono. La confessione, e anche un momento personale con Dio, prima di tutto è la grazia sempre nuova dell’incontro con l’amore meraviglioso e senza condizioni di Dio per me.

Un goderci, Lui ed io, questo stare vicini. Solo questo amore gradualmente e con delicatezza, nel tempo, nei modi, adeguati può venire ad aprirmi sempre più alla vita. La confessione allora può essere un momento di grande grazia che può fare luce non su un meccanico dire la preghiera o fare qualcosa di buono o meno ma nel mio cuore umano desideroso di luce, di amore, di fiducia, di ogni bene. Nella mia vita, nei miei rapporti.

Nella grazia l’apertura graduale e sincera del mio cuore profondo ad una vita sempre nuova nello Spirito. Lì dunque dove sento che l’amore non mi giudica, non mi costringe, e allora sono libero di aprirmi alla grazia, perché mi da vita e ogni bene. Questo incontro bello col Padre della vita in questo periodo del coronavirus posso viverlo anche in particolari momenti a cuore a cuore con lui nei quali già ricevo la grazia di sentirmi compreso e aiutato a comprendermi con serenità e, dove del caso, nella comprensione delle mie nel profondo inconsapevoli o involontarie debolezze, senza moralistici aggravamenti, perdonato senza limiti.

Riproponendomi di attingere alla fonte del sacramento con semplicità, quando mi sarà praticamente e serenamente possibile. Anche secondo le serene tappe del mio autentico percorso personale. Ogni cosa si matura nel tempo dell’amore e non dell’obbligo meccanico. Dio mi accompagna con amore e mi ha perdonato tutto da sempre e mi porterà a suo tempo in Paradiso.

Se, pure con l’esperienza di tutta una vita, non rifiuto la sua misericordia senza limiti. Comunque vedo che molte persone hanno ugualmente desiderio di avere un colloquio sulla propria vita. Sto dialogando per telefono con molti di voi e con tante altre persone.

Cieli e terre

Forse un giorno mi chiederai
che stelle son queste,
se quelle che imparasti da me.
Tornano le feluche, portate
dal cielo che si oscura.
Tu risalivi la corrente di Antibes,
a sud dell’Oceano,
e ti chiedevi se un vento marino
ti prese o non t’ingannò
lo stanco gorgogliare delle acque.

Poesiola tratta da Piccolo magnificat, un canto di tanti canti (poesie che un prete ha sentito cantare, inavvertitamente, dalla vita, dalla sua gente).

A cura di don Giampaolo Centofanti su il suo blog