Il commento alle letture di domenica 7 Aprile 2019 a cura di don Enzo Pacini cappellano del carcere ยซLa Dogaiaยป di Prato.
Cristo non condanna ma salva lโumanitร
Vi รจ un detto che da qualche anno viene utilizzato, a volte in sordina, a volte spudoratamente, per commentare alcuni atteggiamenti, specie in campo politico, ma non solo: ยซse tutti rubano, nessuno rubaยป, disinnescando in questo modo il problema, applicando cosรฌ un altro proverbio piรน tradizionale: ยซmal comune, mezzo gaudioยป. ร il caso di dire che questa non puรฒ essere la chiave di lettura del vangelo di oggi (Gv 8,1-11), anche se a prima vista lo potrebbe sembrare. Non puรฒ bastare il dire o predicare di non lanciare pietre contro gli altri dato che ognuno ha degli scheletri nellโarmadio che potrebbero saltar fuori, perchรฉ in questo caso si tratterebbe semplicemente di una forma di omertร , appunto, un non impicciarsi per evitare di trovarsi inguaiati a propria volta. Puรฒ anche darsi che i presenti che se ne vanno ยซa cominciare dai piรน anzianiยป (v.9) lo facciano davvero per questo motivo, ma il Vangelo รจ annuncio per una conversione e non unโincitazione allโinsabbiamento.
La conversione che รจ richiesta alla donna, ai presenti e anche a noi che ascoltiamo รจ accorgersi di chi รจ Cristo, colui che non condanna, e non condanna certo perchรฉ ha a sua volta qualcosa da nascondere, ma perchรฉ nellโalternativa fra salvare la Legge e salvare la vita dellโuomo, sceglie la vita dellโuomo. In fondo non รจ che la riproposizione del dramma del figlio prodigo ascoltato domenica scorsa (cf. Lc 15,1-32), con Cristo nella parte del padre, di fronte a una figlia perduta e altri che da fratelli, come avrebbero dovuto essere, si trasformano in accusatori con in piรน, dalla propria parte, la norma divina. Se il fratello maggiore poteva motivare la sua opposizione solo con sentimenti di stizza o rivalsa, qui abbiamo lโassistenza oggettiva della norma che permette ai presenti di non sentirsi coinvolti piรน di tanto. E invece Cristo li coinvolge, perchรฉ la Legge non รจ un bisturi asettico che qualcuno possa maneggiare in modo distaccato e professionale; essa, come del resto la Parola tutta, giudica in primo luogo chi la proclama, e di fronte alla Legge, alla norma assoluta, nessuno puรฒ trovare la sua compiutezza. Siamo infatti incompiuti per definizione, mentre la legge si ferma a realtร oggettive: sei o non sei cosรฌ, fai o non fai cosรฌ? Ed รจ difficile dire di fronte alla legge, non ho capito, non ce la faccio, sono debole, alla legge questo non interessa, infatti, come dice il celebre adagio, ยซlโignoranza della legge non รจ una scusanteยป, figuriamoci la fragilitร umana.
Cristo, per fortuna รจ diverso, รจ una persona, ha occhi e bocca, cammina con passi umani; puรฒ incoraggiare e sostenere, anche rimproverare e ammonire, ma come lโamico, il compagno, la guida. Non ha bisogno di condannare (cf. Gv 12,47) perchรฉ il mondo รจ pieno di gente che condanna, a volte perfino sรฉ stessa. Eโ per questo che Paolo nella seconda lettura (Fil 3,8-14), con uno dei suoi tipici guizzi, parla di buttare a mare la giustizia derivante dalla legge per trovarsi in quella di Cristo, che รจ dedizione, comunione, sequela del suo cammino, esperienza di un amore che salva. Eโ questa la cosa nuova che germoglia, come dice la prima lettura (Is 43,16-21), che ci riporta quasi in un clima di avvento, con Dio che apre una strada per incontrare il suo popolo.
Una domanda finale, forse provocatoria ma credo necessaria: tutta la richiesta odierna a spron battuto della certezza della pena, a volte pura e semplice vendetta sociale, non si sente un tantino destabilizzata da questa visione che la Parola di Dio ci propone?
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Cappellano del carcere, vicedirettore dellโufficio pastorale dei migranti (per la pastorale dei nomadi), consulente ecclesiastico diocesano Movimento Apostolico Ciechi, segretario del vicariato Prato Sud-Est.
Dati aggiornati al 14/02/2019
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