Commento al Vangelo di domenica 28 Marzo 2021 – mons. Giuseppe Mani

L’enigma del Messia

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Eccoci dopo la lunga quaresima alla Grande settimana che segna il tempo di un fatto indelebile. E’ la settimana che scrive la vittoria di Cristo sulla morte come la data del tempo nuovo, il tempo del Regno, della speranza realizzata.

In questa settimana veramente santa passiamo dalla morte alla vita. Dio ci prende e ci impegna in una vita nuova. Assolutamente nuova. L’inno della lettera ai Filippesi ci offre la sintesi. Gesù Cristo si è annientato fino alla morte sulla Croce. Per questo Dio lo ha esaltato.

Le Palme.

Con un vero colpo di genio la liturgia ha unito i due Vangeli : quello dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme e quello della passione illuminando così la festa della domenica delle palme. Non è Gesù di Nazareth “colui che viene nel nome del Signore?”, “Il Figlio di david che entra a Gerusalemme?”. Ma non è anche il condannato a morte senza motivo se non quello di essere il Re d’Israele?”

Alla luce di questa festa noi scopriamo che la Croce è il suo trono. La sua corona non è d’oro ma di spine. Egli è vero re ma non alla maniera mortificante degli uomini, ma alla maniera vivificante dell’amore che è da Dio.

La questione centrale che si pone la liturgia è quella del Sommo Sacerdote che interroga Gesù durante la Passione: “Sei tu il Messia, il Figlio di Dio benedetto? Si , risponde esultante la folla con i rami in mano. E’ il Messia, il Re, il Figlio di David”. Ma Gesù risponde in maniera più enigmatica a Pilato che lo interrogava. “Sei tu Re? Tu lo dici” Ma Gesù non rispose più nulla e Pilato ne restò meravigliato” (Mc 15,5).

Il profeta Isaia è profondamente sconvolto davanti alla preghiera del giusto sofferente. In effetti Dio non può che proteggere il giusto che soffre. Ma allora che ne è di Giobbe e di tutti i giusti che soffrono per la cattiveria degli altri? Isaia allora discerne la figura del Messia come il Servo Sofferente: “Presenta il suo dorso ai flagellatori e le guancie a coloro che gli strappavano la barba.(Is 50,6)

L’uomo non può da se stesso salvarsi dal male la cui figura è evidente nella potenza distruttrice.

Come il silenzio di Gesù, il servo sofferente di Isaia ci rinviano all’enigma del Messia. Questo enigma ci obbliga ad una professione di fede.

L’enigma del Messia.

Il Messia non è il re che libera magicamente il suo popolo dal male in maniere esterna e magica. Gesù lo sottolineerà fortemente: “Il mio potere non è come quello dei re di questo mondo che fanno sentire il loro potere. Chi vorrà essere il più grande si farà vostro servitore.”(Mc 10,42.45)

Gesù svolge la sua missione riconoscendosi nella figura del Figlio dell’uomo che non è venuto per essere servito ma per servire e per dare la propria vita in riscatto di molti.”. E’ la scelta che Gesù fa durante la sua passione quando risponde al Sommo sacerdote “Io sono il Cristo e voi vedrete il Figlio dell’uomo sedere alla destra della Potenza venendo sulle nubi del cielo.” (Mc 14,62)

La Croce è veramente il trono. Il cartello appeso alla Croce indica che Gesù è il “Re dei Giudei”. Ma noi scopriamo nella fede che la sua regalità non è secondo il modello del mondo, è una regalità di servizio e di amore che sola può salvare gli uomini dal fascino della violenza e del male.La luce dell’amore illumina la passione, viva fiamma di fuoco sotto la cenere del mondo impegnata a distruggere e a metterla a morte.

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