Commento al Vangelo di domenica 28 Aprile 2019 – mons. Giuseppe Mani

Noi nasciamo, cresciamo, ci muoviamo e un giorno muoriamo. Questo vale per tutte le civiltà e tutta l’umanità. Tutto sembra essere per la morte. La morte appare come la potenza suprema, quella che ha l’ultima parola. La speranza cristiana, la “Buona Novella” riposa su questa certezza: la morte non ha l’ultima parola perché la vita, che è Dio è più forte. Chi è stato amato una volta da Dio è amato per sempre. E’ questo amore che fa vivere. Non voglio rispondere oggi: allora “perché la morte?”

Voglio dire semplicemente che vivere sempre significa per noi resuscitare e che abbiamo nel Cristo la caparra della nostra resurrezione. Questa folle speranza è la vera saggezza perché si appoggia sulla fiducia nell’amore. Fa parte dell’eterno dibattito: “Dio si o no. E’ amore?” La potenza della Resurrezione. Questa potenza di Dio che è all’opera nel Cristo, nella prima lettura, è operante anche nella prima comunità di redenti. Si manifesta con i segni e i prodigi. Potenza di vita che supera le potenze del male. Era senza dubbio necessario che la giovane chiesa ai primi passi facesse l’esperienza della forza di Dio.

Non stupisce che il nostro Vangelo, scritto anche più tardi non faccia menzione di questi segni spettacolari. Al contrario è tutto orientato verso “Beati coloro che credono senza aver veduto”. Questa è ormai la condizione cristiana. E i discepoli non sono più mandati per guarire ma per rimettere i peccati, cioè per annullare nell’uomo la sorgente del male: la mancanza di amore che ci impedisce di rassomigliare a Dio e di partecipare alla sua vita. La fede che non si appoggia che sulla Parola sentita è solo fede perché è confidenza senza limiti, terreno necessario all’amore. La potenza della resurrezione non è inferiore nella remissione dei peccati che nei miracoli; è quella che risplende nella fede: il miracolo che si ha nei credenti e nella Chiesa. Tommaso , l’uomo di poca fede.

Non dimentichiamo che in tutta la Bibbia tentare Dio è uno dei peccati fondamentali. Tentare Dio consiste nel non contentarsi di far credito alla parola ma di esigere dei segni. Così la fede è rimpiazzata da una “Conoscenza” di tipo esperienziale e l’altra, quella che parla è praticamente negata: o si crede in ragione di ciò che ha detto o non si crede affatto. E’ esattamente ciò che fa Tommaso nel nostro vangelo . Egli rinnova il dubbio del primo peccato. Ora Gesù viene e si piega al suo desiderio di vedere con i suoi occhi. Questo vangelo è scritto, da una parte per farci prendere coscienza che la condizione del cristiano è di credere senza vedere, dall’altra parte per dirci che la nostra mancanza di fede, i nostri dubbi, , anche se sono teoricamente catastrofici , non creano necessariamente una separazione da Dio e il nostro esilio dal Regno.

Dio viene in soccorso della nostra debolezza. Essere salvato senza fare un credito assoluto alla Parola è impossibile per l’uomo ma resta possibile a Dio. Soltanto mettere le dita nelle piaghe del Cristo, questo vuol poter dire partecipare, condividere , come ha fatto Lui al dolore che colpisce l’uomo. Ed è là, quando subiamo la sorte comune, questo male che Dio non ha voluto, che noi possiamo poter dire:”Mio Signore e mio Dio”.

Fonte – il sito di mons. Giuseppe Mani

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