Commento al Vangelo di domenica 21 ottobre 2018 – Salvatore Maurizio Sessa

Voi non sapete quello che chiedete

Desiderare

Guardo la mia nipotina di sei mesi, Anna Maria, con lo stupore di chi contempla il mistero degli inizi, il riflesso dell’Origine. I suoi occhi sono spalancati e si protende in avanti con un sussulto di vita. E mentre la osservo stendere la manina verso una pagnotta profumata messa apposta lì sul tavolo vicino al suo seggiolone penso che siamo desiderio. Il latte materno già non basta più, anche se non ha ancora i denti per masticare. Nasciamo e desideriamo. Aria, cibo, calore, affetto, relazioni, vita. Desideriamo la vita nella sua pienezza. Non un po’ di vita, non briciole di esistenza, ma una vita piena, totale. Possiamo dire che la nostra vita è la storia dei nostri desideri, delle nostre mani tese a cogliere i frutti della terra (cf. Gen 2,9). E per questo anche la storia di desideri appagati sì, ma anche inappagati, falliti, sbagliati, fuori mira. Spesso desideri non conosciuti davvero. O desideri fissati su miraggi, su promesse di compimento di felicità che alla fine tradiscono. E La delusione è in tal senso sempre figlia dell’illusione.

Eppure si è apostoli e discepoli di Cristo per desiderio, per lo stesso motivo per cui ci si innamora di una bellezza che dice la sintesi di tutto quello che vogliamo. E così anche i Dodici seguono Gesù spinti da questa intuizione di compimento. Il problema è che, come noi, si portano dietro tutta l’ambiguità del mondo dei desideri. Ma non basta aver trovato il Cristo e aver deciso lasciare tutto per lui? Il vangelo di domenica scorsa (Mc 10,17-30) sembrava aver chiaramente operato una distinzione tra i Dodici e quel mancato discepolo, allontanatosi triste da quella chiamata e da quello sguardo di amore (cf. Mc 10,21-22). Da una parte il desiderio di bene non purificato dell’uomo deluso dalla risposta di Gesù, dall’altra quelli che avevano lasciato tutto per Lui. Quelli che avevano fatto centro. Sembrerebbe che questa scelta felice possa mettere al sicuro una volta per tutto dalle disillusioni dei desideri ingannati dal culto idolatrico idolo. Ma non è così.

Verbalizzare il desiderio

«Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: “Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo”» (Mc 10,35). Ecco il desiderio, motore dell’esistenza e del discepolato, che mette in movimento. Ma verso dove? Sembra un Padre Nostro rovesciato: sia fatta la nostra volontà. Gesù, lui stesso mosso dal desiderio, ma di compiere la volontà del Padre suo, era diretto decisamente verso Gerusalemme, verso la sua passione. Aveva appena parlato, e per la terza volta, del suo destino, un destino da incubo (cf. Mc 10,32-34; cf. Mc 8,31; 9,31).

Certo, aveva menzionato anche una resurrezione. Ma nessuno sa davvero cosa vuol dire risorgere. Insomma parole capaci di suscitare un mix tra inquietudine ed estraniamento. Quelle impressioni che è meglio dimenticare il prima possibile. Perché insostenibili. C’erano riusciti benissimo, compresa questa terza volta. La domanda di Giacomo e Giovanni in tal senso è più che una nota stonata. È un depistamento, una inconsapevole strategia per riportare il discorso su ciò che veramente conta: ancora una volta il proprio desiderio. Gesù, il Maestro, (lo) sa. Sono loro che non sanno, che non conoscono la profondità e il vero obiettivo del loro desiderio. E allora li aiuta in questo difficile processo, di cui solo un vero maestro sa farsi carico. A dire il vero, chiamandoli fin dagli inizi “figli del tuono” (Mc 3,17), sembrava Lui stesso ad aver ingannato il loro desiderio. Siete fratelli speciali, siete discepoli diversi, potenti come il tuono durante una tempesta, zelanti all’eccesso (cf. Mc 9,38-39; Lc 9,54-55). Questo potevano aver capito da quel soprannome così originale, considerando che, insieme a Pietro, sono sempre loro nel vangelo ad essere scelti dal Signore per assistere a manifestazioni eclatanti della sua potenza. E allora andiamo fino in fondo: «Che cosa volete che io faccia per voi?» (Mc 10,36). Del resto non ci conosciamo davvero davanti a Dio finché non sappiamo cosa vogliamo. Veramente.

Ri-Leggere e ri-orientare il desiderio

Lo dicono senza indugio. Sedere alla destra e alla sinistra nella Sua Gloria. Non subito, hanno imparato la pazienza, possono perfino aspettare. Non solo è rovesciato il Padre Nostro ma anche la “confessione”. Ma questo è un fatto positivo. Al cuore del cammino spirituale dei padri del deserto, all’origine del monachesimo, ci sarà proprio qualcosa di simile, una sorta di confessione prima del peccato, o meglio, per evitare il peccato. È l’apertura del cuore alla Luce la chiave per la purificazione del cuore stesso. Ma qui non lo si sa ancora. E Gesù lo rivela: «Voi non sapete quello che chiedete», non conoscete davvero il vostro desiderio, «Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?» (Mc 10,38). Sono sfacciati: «lo possiamo», che è come dire: non capiamo cosa significhi bere il tuo calice o ricevere il tuo battesimo, ma sappiamo che se lo faremo il nostro desiderio sarà compiuto. Lo berranno, in effetti. Ma la questione della gloria e dei posti non è come l’hanno immaginata. Gli altri dieci si sdegnano con i due fratelli, manifestando di fatto lo stesso desiderio e la stessa incomprensione.

Con una pazienza infinita Gesù porta avanti la sua pedagogia. È ora di lezione, l’ennesima. Li chiama a sé. E riparte da quello che loro sanno: «Voi sapete…» (Mc 10,42). Sapete che il desiderio dei potenti è avere maggiore potenza, potenza inconsistente che può essere (temporaneamente) ottenuta e mantenuta solo nella forma del dominio e dell’oppressione. È la storia del quotidiano sviamento del desiderio. Sviamento sì, perché l’anelito alla grandezza, all’assoluto, è Dio stesso che l’ha messo nel cuore umano. Essere grandi, essere primi. Non è male quindi obbedirvi, anzi, se solo però si rilegge e si ri-orienta tale desiderio nella giusta direzione. Tenendo presente il paradigma della grandezza, che è Dio stesso. Ebbene, la grandezza di questo Dio è venire a servire, a morire, a riscattare la vita degli ultimi per farli primi. Ma essere primi è servire come Dio. Questo è il potere divino che Dio è venuto a concedere. Chi di noi allora vorrà percorrere la strada del Figlio dell’uomo venuto per servire?  Chi vorrà lasciare trasfigurare la sua umanità della Gloria di Dio? Questo è il vero desiderio che ci portiamo dentro, è il desidero stesso della Scrittura che brama compiersi nella nostra vita. Adesso non solo possiamo essere “resi giusti” da Colui che si è addossato le nostre iniquità e ha dato la sua vita in espiazione per noi (cf. Is 53,2.3.10-11) prendendo parte alle nostre debolezze (cf. Eb 4, 14-16), ma possiamo con lui servire, partecipando in favore dei fratelli a questo ultimo posto che rivela il posto del Primo e del Più grande, che in altre parole rivela l’Amore che Dio stesso è.

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