Commento al Vangelo di domenica 10 Marzo 2019 – Sorelle Povere di Santa Chiara – Lc 4, 1-13

Rimanere figli

Con la liturgia di questa Domenica entriamo, accompagnati dalla Parola, nel tempo di Quaresima. In questo tempo ciascuno è chiamato ancor più a rileggere la propria vita alla luce della Parola che esce dalla bocca di Dio per ritrovare la libertà interiore, per ritornare a Dio nell’obbedienza dell’ascolto e per ritornare ai fratelli e alle sorelle nella carità. Si tratta di ritornare in una situazione di verità umana, di incontrare la realtà, quella realtà dalla quale il peccato ci aliena: siamo figli nel Figlio di Dio e fratelli e sorelle fra di noi nel Figlio. Tempo di grazia per la nostra conversione all’amore di Dio e tempo quindi anche di lotta con tutto ciò che in noi vuole prendere il suo posto. Per questo la chiesa all’inizio di questo tempo ci offre sempre il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto, tentazioni che secondo Luca saranno sempre presenti nella sua vita, fino alla fine (cf. Lc 23,35-39). Gesù è appena stato immerso nel Giordano da Giovanni il Battista, e mentre scende su di lui lo Spirito Santo, la voce del Padre gli dice: “Tu sei il mio Figlio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento” (Lc 3,22). Da quel momento egli non è più solo il discepolo del Battista, ma è unto come profeta, ripieno dello Spirito. Proprio lo Spirito che è sceso su di lui lo spinge a questo ritiro, alla solitudine.

È Dio a riportare ogni generazione di credenti all’esperienza del deserto come paradigmatica della fede. L’esperienza della messa alla prova nel deserto riguarda un discernimento, la disponibilità a vivere per e della Parola di Dio, ed è la Parola di Dio che permette di attraversare la prova permettendo di leggere con lucidità il presente e di trovare in essa la forza per attraversarlo. E’ come se Gesù scendesse nelle fatiche dell’uomo per comprendere quale via di liberazione ha preparato Dio per tutti, per resistere e vincere nella lotta a tutto ciò che deturpa, alla fine, il volto dell’uomo.

“In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano”. La prima cosa che balza all’occhio è il ruolo dello Spirito. Il testo dice che Gesù ne è ricolmo, letteralmente «pieno fino all’orlo». E poi che il suo andare nel deserto accade «nello Spirito». Quella che Gesù affronta è dunque anzitutto un’esperienza di pienezza divina. È stracolmo di Spirito e vi è immerso senza interruzione. Questo è il luogo della tentazione.
“Se tu sei Figlio di Dio…”. Le tentazione consistono nella negazione di un limite. “Se sei figlio di Dio…”

Gesù non può conoscere la fame, non può vivere il dramma della morte, non può essere sottomesso a un regno di questa terra. C’è la negazione del limite costituito dal proprio essere umano, che patisce dei bisogni, che ha un tempo limitato e che non è sciolto da vincoli sociali. La tentazione ha un centro preciso quindi: l’identità che proprio nel battesimo il Padre ha rivelato, dichiarato. La questione è l’essere figlio, ma anche di quale Dio, bisognerebbe aggiungere. Il Tentatore è il «Divisore», colui che ci separa dalla Parola che dà senso alla vita. Tenta infatti di separare Gesù dalla parola che lo costituisce: «Tu sei il mio figlio amato». Più che un dubbio insinuato, quella del diavolo suona come un’affermazione: «Tu sei il Figlio di Dio, perciò…». Il diavolo suggerisce un modo, uno stile per vivere quella figliolanza. Il male mascherato è un’autosufficienza che prescinde dal ricevere il necessario dalle mani del Padre.

“Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”. Gesù è un uomo, senza alcuno sconto sulla condizione umana. Gesù ascolta sé e riconosce quello che c’è in lui (il bisogno) ma non si lascia dominare da esso. Gesù è il figlio di Dio, perché è l’obbediente alla parola di Dio e la interpreta bene. Nel testo c’è un conflito di interpretazioni. La Scrittura può essere manipolata e piegata alle proprie necessità. Gesù non sta negando la necessità dell’uomo di mangiare, ma pone l’accento sul fatto di non porre la soddisfazione del bisogno come primo, unico e ultimo obiettivo della vita. Si vive di pane e di Parola. Senza l’uno si muore, ma anche senza l’altra. Tanto che quando il bisogno non è illuminato dalla Parola, si vive accumulando, inseguendo la garanzia della sopravvivenza, guardando all’altro come un nemico. La Parola illumina i beni mostrandoli come doni offerti da un Padre, che invita a dividerli tra fratelli. L’ansia da accumulo, che ci rende posseduti da ciò che crediamo di possedere, si vince solo con la Parola che accompagna il pane.

“Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”. Il diavolo porta in alto Gesù, Lui che era sceso nel punto più basso dell’umanità, mettendosi in fila coi peccatori. Per satana, essere Dio consiste nell’avere potere su tutto e su tutti, compiacersene usandolo, nutrendosi della devozione, del timore, del rispetto degli uomini. Domanda a Gesù di prostrarsi, il gesto di piegarsi fino a terra. Questo che schiaccia, prostra, umilia è il dio secondo il diavolo. in questo contesto di onnipotenza e onnipossesso ci si ritrova nel punto più basso: schiacciati al suolo schiavi di un altro. Tutto questo percorso non introduce alla libertà e alla vita ma alla sottomissione a una realtà a sé esterna, ci aliena letteralmente. Conduce a una paralisi. Questa è l’idolatria: la dismissione della propria libertà e intelligenza a una creatura delle nostre mani, a un fantasma della nostra mente a cui consegniamo la consistenza della nostra vita nell’illusione di ricevere da esso la salvezza. Gesù rigetta decisamente, scegliendo di adorare Colui che solleva, consola, nutre, guarisce, dà la vita e invita a chiamarsi fratelli facendosi servi gli uni del bene dell’altro.

“È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”. L’ultima tentazione riguarda Dio. È la fame ultima, quella più radicale. Il diavolo invita Gesù a disporre del Padre a proprio uso e consumo. Lo spinge a rompere il legame di fiducia sottoponendolo alla prova. Satana spinge Gesù a rivaleggiare con Dio, a spadroneggiare sul suo amore, a governarlo nel modo di essergli Padre. La risposta di Gesù è in linea con le altre due precedenti ed ha ancora la sostanza di una dichiarazione di identità. Davvero è ripieno di Spirito, quello in cui si conosce Figlio e per cui vede il volto del Padre. Gesù vive nella totale fiducia per il Padre e ne prende tutti i tratti e i connotati.

Quel che Gesù rifiuta di possedere e dominare sedotto dalla voce del divisore, lo riceve in dono. Gesù riceve in dono dal Padre tramite la sua passione, morte e resurrezione quello che ha rifiutato dal divisore. La signoria di Dio nella storia nella sua universalità si realizza nell’uomo Gesù che ha rinunciato a dominare sugli esseri umani. Gesù mediante l’obbedienza alla parola di Dio resiste alla tentazione che vuole dividere figlio di Dio e figlio dell’uomo, che vuole inserire sfiducia in questa relazione. Riceve in dono da Dio quello che ha rifiutato di possedere e di dominare come se fosse cosa propria. Questa lotta produce in lui la riconoscenza verso il Padre e il riconoscimento degli altri, la condivisione e l’amore.

Il Signore ci doni la grazia di conformarci a tale umanità per fare del nostro essere uomini che resistono alla tentazione del dominio e del possesso e si aprono a ricevere se stessi come dono di Dio per la vita degli altri, a vivere nella riconoscenza e nella gratitudine.

Commento a cura delle Clarisse di S. Gata Feltrie

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