Commento al Vangelo del 7 Aprile 2019 – Sussidio Quaresima/Pasqua CEI

Nella V domenica di Quaresima si apre l’ultimo tratto di strada dell’itinerario quaresimale, prima dell’ingresso nella “Grande Settimana”, la Settimana Santa. La liturgia della Parola ci consegna l’ultimo accorato invito a confidare nella misericordia di Dio, più grande di ogni peccato, perché l’opera di salvezza compiuta nel Figlio possa essere anche oggi per noi esperienza di perdono e di salvezza, non di timore di una condanna.

Se con Paolo siamo esortati a continuare la nostra corsa verso la meta, per essere sempre più conformi nella vita al mistero di immersione nella morte e risurrezione di Cristo celebrato nel battesimo, con gioia possiamo unirci al canto del salmista, proclamando le grandi cose compiute per noi dal Signore. Ma perché il nostro sguardo torni indietro solo per nutrire lo slancio in avanti, è il profeta Isaia che ci consegna quella che potrebbe essere la “chiave” della liturgia odierna: la trasformazione che solo Dio è in grado di compiere, la novità che solo lui è in grado di aprire, nell’umanamente impensabile ed impossibile, e che rimanda al compimento dei tempi, dove ogni lacrima sarà asciugata, è dello stesso ordine della trasformazione che la celebrazione del sacrificio di Cristo è in grado di operare (cf Orazione sulle offerte).

Quest’ultimo passo ci condurrà, nella domenica delle Palme e nel triduo sacro, a fermare il nostro sguardo sulla regalità gloriosa del Signore crocifisso per noi, e allo stupore ricco di gioia di fronte alla straordinaria potenza trasformatrice dello Spirito del Padre, che è donato a noi come Spirito del Risorto, come Signore che dà la vita.

Se in questa domenica si celebrano gli scrutini preparatori al Battesimo degli adulti, si possono usare le orazioni rituali e il ricordo proprio nella Preghiera eucaristica (MR, p.709-711). Inoltre, i Vangeli della Samaritana, del cieco nato e della risurrezione di Lazzaro appartenenti al ciclo A, per il loro carattere fortemente battesimale, possono essere letti anche nei cicli B e C, specialmente se ci sono catecumeni (cf Paschalis Sollemnitatis 24). Tale scelta, facoltativa ma senza dubbio opportuna, può essere rimandata anche ad uno dei giorni feriali della settimana stessa (cf OLM 97-98)1.

1 Le indicazioni celebrative fornite in questa sede fanno riferimento al ciclo C.

Commento

Se volessimo dare un denominatore comune alle letture di questa V domenica di Quaresima, potremmo dire, in un parola sola, che questo è la ‘novità’. La prima lettura, tratta dal profeta Isaia, ci descrive infatti il ‘nuovo esodo’ che il Signore ha preparato per il suo popolo, esiliato in Babilonia. Come nel primo esodo, quello dall’Egitto, la salvezza di Israele si è compiuta grazie ai segni di potenza con cui Dio è intervenuto nella storia del popolo (e il profeta qui ricorda in particolare il passaggio del mare e la disfatta dell’esercito del Faraone, cf Is 43,16- 17, che richiama Es 15,15-31), così il Signore prepara una “cosa nuova” (Is 43,19), un nuovo intervento di liberazione per il popolo oppresso: Israele attraverserà il deserto per ritornare alla terra promessa e Dio lo accompagnerà aprendo per lui una strada e facendo sgorgare fonti d’acqua per dissetarlo (Is 43,20, che è eco di Es 17,1-7).

Allora il popolo dei redenti, investito dalla novità di Dio per lui, rinnovato dall’azione di Dio nella sua storia, canterà le lodi del Signore (Is 43,21, che può alludere a Es 15). Anche il Salmo responsoriale è tutta una esplosione di gioia per l’opera che il Signore ha compiuto in favore di Israele, l’opera di ristabilimento delle sue sorti, cioè, anche in questo caso, il ritorno dall’esilio babilonese e il reinsediamento nella terra promessa. La parola che più ricorre nel Salmo è “gioia” (vv. 2-3.5-6) e i suoi sinonimi, quale risposta alle “grandi cose” (vv. 2-3) che il Signore ha fatto per il suo popolo. La novità di Dio, il suo intervento di salvezza, è anche qui, come in Is 43, paragonato a un erompere di torrenti nel deserto, il deserto del Negheb, nel sud di Israele (v. 4). L’apostolo Paolo, nella seconda lettura, pur non usando alcun termine del campo semantico della novità, usa delle immagini equivalenti: parla infatti di qualcosa che sta alle sue spalle, nel suo passato, e che lui oggi considera come spazzatura, qualcosa che va rigettata nella misura che gli impedisce di protendersi verso quanto gli sta di fronte, cioè verso la piena conoscenza di Cristo Gesù (Fil 3,7-8).

Ciò che Paolo considera incompatibile con la novità di Cristo è la sua precedente osservanza scrupolosa delle norme della Legge mosaica e delle tradizioni farisaiche, nelle quali riponeva la sua fiducia in vista della salvezza eterna. Grazie all’incontro con Cristo, però, l’Apostolo ha compreso che nulla di tutto questo vale davvero, perché la salvezza non deriva dalla Legge, ma dalla fede in Cristo, “la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede” (Fil 3,9). È nella relazione viva con Gesù, è “la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti” (Fil 3,10) che come cristiano posso raggiungere la meta, il premio, della mia vita di fede: non l’osservanza di un codice di norme morali, ma il rapporto vitale con Gesù Signore permette alla vita cristiana uno slancio di novità continua.

Questo non le consente mai di adagiarsi nei risultati già conseguiti, ma le dona le energie per lo “sforzo di correre per conquistare” la meta (Fil 3,12): una meta che è sempre nell’oltre, è sempre davanti, e lascia nell’uomo una sana inquietudine di perfezione mai raggiunta, finché non consegua il “premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil 3,14). Anche il Vangelo, apparentemente, non parla in modo esplicito di novità: racconta un tranello che scribi e farisei vogliono porre a Gesù, per avere di che accusarlo (Gv 8,3-6). E la trappola consiste nel chiedere a Gesù cosa bisogna fare con una donna sorpresa in flagrante adulterio, peccato che la Legge di Mosè punisce con la lapidazione.

Essi sanno che Gesù è il maestro che non si limita a ripetere la Legge, ma che la radicalizza e la supera, e per questo gli pongono la domanda, per vedere se arriverà a contraddire la Legge di Mosè. Al principio Gesù sembra volersi sottrarre al trabocchetto, rifiutando una risposta diretta: il suo scrivere per terra però può alludere a Ger 17,13: “Quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato il Signore, fonte di acqua viva”. Forse Gesù vuole ricordare agli scribi e ai farisei questo passo di Geremia perché tutti si rifletta sui propri volontari allontanamenti dal Signore. Di fronte all’insistenza degli accusatori della donna, Gesù esprime il suo giudizio sulla situazione: e non è un giudizio di condanna verso la donna, come non lo è verso nessuno.

È un richiamo agli accusatori dell’adultera a fare un esame di coscienza per vedere se qualcuno di loro sia così innocente di peccato, da potersi permettere di giudicare il comportamento di questa donna colta in flagrante peccato. Alla fine tutti se ne vanno, anche la donna è invitata da Gesù ad andare, ma qualcosa è avvenuto: “Va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11).

Gesù, offrendo il suo perdono, rende capace la donna di una vita nuova, la abilita a vivere quella novità, che nasce dalla relazione profonda con il Signore, quell’andare oltre, di cui ci ha parlato S. Paolo, frutto della comunione al mistero di passione e risurrezione di Gesù: quella novità che ci fa vivere la tensione continua verso la Pasqua eterna, di cui la festa di Pasqua, che è ormai vicina, è solo annuncio e pregustazione.

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