Commento al Vangelo del 6 maggio 2012 – mons. Andrea Caniato

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La lettura liturgica del Vangelo secondo Giovanni ci porta all’inizio del capitolo 15.

Siamo ancora nel cenacolo, quando giunse l’ora per Gesรน di passare da questo mondo al Padre, ma le parole di Gesรน arrivano cosรฌ, senza introduzione, senza un legame apparente con quanto riferito prima. Questo fatto le rende ancora piรน profonde, non riferibili a una circostanza, ma a tutto il mistero di Cristo e della nostra vita in lui. “Io sono la vite vera e il Padre mio รจ l’agricoltore”. รˆ stato spesso notato che l’immagine della vigna รจ molto frequente nelle Scritture dell’Antico Testamento, utilizzato per descrivere la cura di Dio nei confronti del suo popolo: la vigna era Israele, dal quale Dio attendeva — spesso invano — frutti buoni, nonostante tutta la cura amorevole e la protezione. Ora Gesรน, nell’ora solenne della sua donazione, rivela se stesso come la vite “vera”: vera, appunto, in rapporto all’antico popolo, che non ha avuto la forza di portare “molto frutto”, il frutto desiderato da Dio. Adesso invece la vite produce i suoi frutti, perchรฉ la vite รจ Gesรน. รˆ lui la nuova umanitร  che finalmente piace a Dio. In Gesรน, il Verbo di Dio fatto carne, si congiungono perfettamente il dono di Dio e la risposta dell’uomo. Sulla croce c’รจ Dio che offre la vita per l’uomo: il suo dono, la sua cura per il popolo raggiungono la misura estrema dell’amore. Ma nello stesso tempo, sulla Croce c’รจ l’uomo che offre la vita per Dio e cosรฌ la risposta umana all’amore di Dio รจ piena. Come perรฒ la vite non รจ senza i tralci, cosรฌ anche Cristo non รจ senza i suoi discepoli. Prolungando l’allegoria, Gesรน ci parla della vita nella Chiesa, cioรจ nostra necessaria connessione con lui. La cura amorosa di Dio per la vite vera richiede interventi anche dolorosi. A un primo sguardo l’azione รจ la stessa (la potatura), ma รจ molto diverso il fine: i tralci sterili sono messi a seccare, mentre sui tralci fecondi Dio interviene perchรฉ possano avere ancora piรน forza. รˆ un appello ad avere fiducia nell’opera di Dio, a non trarre conclusioni prima del tempo, a non giudicare l’opera di Dio: la croce รจ misteriosamente necessaria. La croce รจ allo stesso tempo condanna e salvezza. Al centro di tutto troviamo il verbo “rimanere”: “Rimanete in me e io in voi… Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto…”. รˆ un verbo spesso utilizzato da San Giovanni per esprimere il nostro rapporto con Cristo. Un verbo che indica stabilitร  di vita, anche nel variare delle situazioni, dei tempi e delle culture; ma una stabilitร  che non significa inerzia, passivitร : รจ una adesione che chiede di essere sempre rinnovata, riaffermata, coltivata, amata, desiderata. “Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perchรฉ senza di me non potete far nulla”: notate che la contrapposizione รจ tra molto frutto e nulla. L’alternativa รจ radicale: non c’รจ il poco ma solo il molto o il nulla. Un caso serio, dunque. Per capire in definitiva quale sia questo frutto (molto frutto), dobbiamo tornare al nome stesso di Dio: Gesรน lo chiama “Padre mio”, egli รจ l’agricoltore. Proprio la qualifica della sua paternitร  divina ci aiuta a comprendere che questo frutto รจ proprio l’allargamento della sua paternitร  a tutti gli uomini. “In questo รจ glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli”. Il frutto รจ dunque l’evangelizzazione e solo condividendo con gli altri la grazia della fede, noi diventiamo davvero “suoi discepoli”. C’รจ poi una promessa: “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarร  fatto”. Non vuole dire che la preghiera del discepolo sarร  come un abracadabra in grado di compiere magie. Questo รจ piuttosto il segnale per comprendere se davvero “rimani” nella vera vite: se veramente sei unito a Lui, con tutto te stesso, non cercherai dalla preghiera nulla che non sia il vero bene e che Dio stesso non voglia. Per questo se sarai veramente unito a Cristo, ogni preghiera sarร  esaudita. Questo รจ l’amore.

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