Commento al Vangelo del 31 Marzo 2019 – don Luciano Labanca

Il cuore della liturgia di questa domenica è dato dalla splendida parabola lucana del “Padre misericordioso”, inserita nella trilogia delle parabole della misericordia, insieme a quella della pecora smarrita e della dramma perduta. Secondo molti studiosi, questo capitolo 15 del Vangelo di Luca, rappresenterebbe quasi un “Vangelo nel Vangelo”, data la centralità del tema della misericordia, come annuncio di salvezza rivolto specialmente ai pagani. Il versetto iniziale del brano ci offre il contesto nel quale Gesù narra la parabola, che è dato proprio dalla vicinanza attorno a lui di pubblicani e peccatori, assetati di ascoltare la sua Parola (rappresentati dal figlio minore), suscitando la mormorazione di farisei e scribi, esperti delle cose di Dio (rappresentanti dal figlio maggiore).

La narrazione in realtà non ha bisogno di un commento puntuale, ma richiede di essere contemplata e di trovare in essa il ritratto che meglio ci caratterizza. Il personaggio centrale è  il Padre, immagine di Dio, che ama così tanto ciascun figlio, rispettandone e assecondandone gli slanci di libertà, da non contestare – sul momento – le sue scelte anche sbagliate. Di fronte alla richiesta della parte di eredità, infatti, il Padre non si tira indietro. La libertà, distaccata da questo rapporto di amore, però porta ad effetti disastrosi: il figlio sperpera i suoi beni, perde l’orizzonte di senso della propria esistenza e da figlio libero si ritrova ad essere garzone di un anonimo, che gli fa condividere la vita degli animali. Il momento di crisi e di sofferenza, fa capire al figlio che gli manca qualcosa, o meglio, Qualcuno: la falsa libertà lo ha condotto fuori strada, sente il bisogno di tornare da dove era partito.

È la dinamica della conversione, una vera e propria esperienza di resurrezione. Entrando in sé stesso il figlio capisce che solo tornando da suo Padre, può riprendersi la verità della sua vita. Mentre il giovane vive questo cammino di allontanamento dal Padre, Egli rimane fermo sull’uscio a guardare nostalgico la strada per la quale il figlio si era incamminato. Gesù, in questa parabola, in modo mirabile ci presenta il vero volto di Dio: un Dio fedele, sollecito, che appena vede il gesto di ritorno del figlio, è mosso dalla misericordia nel più profondo di sé ed è capace di corrergli incontro, per riversargli addosso tutta la ricchezza del suo amore. Ed ecco, allora, l’esplosione della festa: il figlio ravveduto viene rivestito di una nuova dignità e in suo onore si prepara un lauto banchetto. È questa l’esperienza riservata per ciascuno di noi ogni volta che, sentendo la nostalgia dell’amore del Padre, decidiamo di tornare a Lui, attraverso la conversione e la penitenza: veniamo rivestiti di grazia e riaccolti nella casa, la Chiesa, dove ci viene offerto il banchetto più bello, l’Eucaristia.

È lì che si realizza la parola del Salmo: “Solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i principi, tra i principi del suo popolo” (Sal 113, 7-8). Anche in noi, però, può abitare la figura del figlio maggiore: quello che non sa gioire e rimane prigioniero della sua “rettitudine”. Nonostante non si sia mosso dalla casa del Padre, egli vi è sempre rimasto con il corpo, ma non con il cuore. Non ha saputo, cioè, riconoscere la bellezza di quella relazione, che con l’esperienza dell’allontanamento, ad un certo punto è mancata al figlio minore. Il suo rapporto con il Padre è stato più servile, che filiale, non permettendogli di sentire dentro di sé lo stupore di essere sempre con il Padre e di condividere tutto con lui. Entrambi i figli sono destinatari dell’amore viscerale del Padre, ma soltanto uno lo ha scoperto veramente, quando è passato dalla morte alla vita, con la resurrezione del perdono. L’invito per ciascuno di noi, in questo tempo di Quaresima, è quello di sentirci destinatari dell’amore del Padre, che non fa preferenze di persone, ma rivolge a tutti le sue attenzioni, quando nella verità e nell’umiltà ci riconosciamo peccatori.

Papa Francesco afferma: “Niente di quanto un peccatore pentito pone dinanzi alla misericordia di Dio può rimanere senza l’abbraccio del suo perdono. È per questo motivo che nessuno di noi può porre condizioni alla misericordia; essa rimane sempre un atto di gratuità del Padre celeste, un amore incondizionato e immeritato. Non possiamo, pertanto, correre il rischio di opporci alla piena libertà dell’amore con cui Dio entra nella vita di ogni persona. La misericordia è questa azione concreta dell’amore che, perdonando, trasforma e cambia la vita. È così che si manifesta il suo mistero divino. Dio è misericordioso (cfr Es 34,6), la sua misericordia dura in eterno (cfr Sal 136), di generazione in generazione abbraccia ogni persona che confida in Lui e la trasforma, donandole la sua stessa vita” (Lettera apostolica Misericordia et Misera, n. 2).

Fonte – il blog di don Luciano

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