Dopo aver vissuto e speriamo ben capito cosa abbiamo celebrato a Pasqua, nellโevento pasquale, al popolo dei battezzati cioรจ di coloro che sono inseriti in Cristo, non resta che riflettere su come โrimanereโ o, se volete, perseverare, dimorare stabilmente, nella salvezza che Cristo stesso ci ha guadagnato. Si, ho detto rimanere e non โconquistare la salvezzaโ proprio perchรฉ รจ bene ricordare che quello che lโAmore del Padre ci ha regalato in Cristo non รจ un nuovo obiettivo da raggiungere od una montagna da scalare ma in primis un dono da conservare, un regalo da non buttare od abbandonare nel fondo di un armadio ma qualcosa da indossare ed usare tutti i giorni ora e per la vita eterna.
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Forse siamo stati troppo abituati a considerare la Salvezza come faticoso dono di conquista personale, sempre in pericolo di perdere e mai certi di possedere, o, con un atteggiamento opposto, come evento a cui voglia o non voglia parteciperรฒ lo stesso indipendentemente dal mio impegno poichรฉ Dio โtanto mi salverร lo stessoโ. Atteggiamenti estremi ma indicativi di quanto per noi battezzati sia difficile mantenere un equilibrio nei confronti della salvezza: troppe volte da sacerdote ho sentito lโaffermazione โnon so se mi salvoโ oppure โtanto Dio ti salva lo stessoโ. Alla base di questi errori e pendolamenti fra un atteggiamento e lโaltro cโรจ solo lโaver compreso male o superficialmente cosa รจ la salvezza ed avere insieme una visione distorta di Dio, del Padre.
La categoria giusta da considerare per non sbagliare รจ sempre quella del dono; il volto giusto da contemplare e sempre quello del Padre, quello dellโamore e, se la mia fede viaggia fra questi due binari, allora non รจ difficile fare quello di cui ci parla oggi Gesรน che รจ lโatteggiamento giusto nei confronti del dono della Salvezza: RIMANERE.
Il โRimanereโ rimanda sicuramente ad una passivitร poco popolare tra gli uomini, poichรฉ parente stretto di quellโumiltร il cui esercizio richiede, necessariamente, la rinuncia alla tirannia dellโio, rinuncia a quellโio assoluto e superbo la cui attivitร principale รจ sempre prendere il posto di Dio. Solo chi รจ disposto a โmettersi da parteโ, fare spazio a Dio, sa riconoscere il Suo dono, solo chi sa prendere atto della propria finitezza ed insufficienza, riconoscendosi bisognoso e figlio amato dal Padre, puรฒ capire che non deve aggiungere nulla al dono della salvezza, della Resurrezione, se non la volontร di rimanere, permanere, dimorare in essa nella maniera e condizione a cui lo chiama il Padre. A Roma per chi vuole a tutti i costi aggiungere del proprio ad un lavoro giร fatto e sufficiente si dice molto schiettamente โnun te devi inventร gnente!โ, per dire anche che se aggiungi qualcosa potresti rovinare tutto! Cosรฌ รจ accogliere il dono della Salvezza, della resurrezione: non dobbiamo aggiungerci niente, dobbiamo solo fare la fatica del โrimanereโ in esso e poi -tanto per essere chiari che lโimpegno dobbiamo sempre mettercelo โ testimoniare questa permanenza nellโamore con cui Cristo vuole trattenerci a sรฉ, amando in tutti i modi che Lui ci indica.
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Rimanere, in Cristo, diventa il verbo di chi accetta il dono del Padre, della salvezza, come diventa la cifra di lettura di tutti gli impegni per annunciare quella Parola che giร da sola ci consegna alla salvezza. Diventare un missionario della Parola pensando che tutto, persino lโefficacia della Parola stessa, dipenda da me e dal mio impegno, vuol dire porsi fuori dalla permanenza in Cristo, allontanarsi dalla linfa vitale che ci alimenta, vuol dire non fare frutti di salvezza insieme a tutta la vigna, vuol dire faticare inutilmente e senza nessuna speranza. La permanenza docile e umile, per quanto possa sembrare tempo ed occasione sprecata, al contrario, รจ elevazione alla massima potenza della Parola di salvezza, testimonianza efficace per la produzione di frutti che, cresciuti perchรฉ nutriti dalla stessa linfa, sono in grado di produrre quel vino buono ed abbondante che non ci mancherร mai al banchetto della vita eterna, della resurrezione.
Bene, ora perรฒ non rimane che fare un ultimo passaggio, il โrimanereโ che abbiamo sin qui sottolineato possiamo anche tradurlo con โdimorareโ, come richiama anche il termine greco (mรฉno) usato dallโevangelista. E โimportante capire la sfumatura sullโuso del rimanere come dimorare. โRimanereโ puรฒ darci il senso giusto su come – nella docile umiltร – si deve accogliere e conservare il dono, ma โdimorareโ ci dice qualcosa di piรน sullโamore che muove il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo e la qualitร , sempre suscitata dallโamore, con cui rispondiamo noi allโinvito di rimanere. Dimorare รจ il verbo della familiaritร , della convivenza, il verbo che ci richiama al legame fra i genitori ed i figli, in una casa, nella vigna (antico simbolo del popolo di Israele che JHWH sceglie ed in cui JHWH stesso sceglie di abitare!), fosse anche solo abitare in una tenda errante nel deserto con tutte le altre tende, dimorare con qualcuno e diventarne familiare, riconoscere che il legame che unisce coloro che dimorano insieme รจ espressione dellโamore che motiva la libertร dei figli che stanno insieme perchรฉ lo vogliono, perchรฉ si amano, perchรฉ si sentono amati da quel Padre disposto a tutto pur di accoglierli nella sua casa!
Dimorare e rimanere nella dimora, come il rimanere fortemente attaccati alla vite, รจ atto di chi ama e si sente amato, รจ atto di chi si sente figlio del Padre e fratello di chi vive con lui e fa tutto per rimanere in questa figliolanza e per coltivare la fratellanza.
Dimorare in Cristo e rimanere attaccati a Lui รจ la vera cifra di comprensione del comandamento dellโamore: โamatevi gli uni gli altri come io ho amato voiโ (Gv15,12). Se spogliamo il comandamento dellโamore dal dono della salvezza, dal permanere e dimorare in Cristo, spogliamo lโamore stesso, riduciamo il comandamento ad un ordine, da figli ci riduciamo a schiavi e noi, nel nostro battesimo, con il nostro inserimento nella vite che รจ Cristo, non abbiamo ricevuto uno spirito di schiavi per ricadere nella paura, ma uno spirito di figli per mezzo del quale gridiamo Abbร , Padre! (Rm 8,15)
Parrocchia San Michele Arcangelo
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V DOMENICA DI PASQUA โ ANNO B
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- Colore liturgico: Bianco
- At 9, 26-31; Sal.21; 1 Gv 3, 18-24; Gv 15, 1-8
Gv 15, 1-8
Dal Vangelo secondo Giovanni
1ยซIo sono la vite vera e il Padre mio รจ lโagricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perchรฉ porti piรน frutto. 3Voi siete giร puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non puรฒ portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, cosรฌ neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perchรฉ senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarร fatto. 8In questo รจ glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.
- 29 Aprile – 05 Maggio 2018
- Tempo di Pasqua V
- Colore Bianco
- Lezionario: Ciclo B
- Anno: II
- Salterio: sett. 1
Fonte: LaSacraBibbia.net
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