Le ferite di Gesรน, alfabeto dell’amore

Venne Gesรน a porte chiuse. In quella stanza, dove si respirava paura, alcuni non ce l’hanno fatta a restare rinchiusi: Maria di Magdala e le donne, Tommaso e i due di Emmaus.
A loro, che respirano libertร , sono riservati gli incontri piรน belli e piรน intensi. Otto giorni dopo Gesรน รจ ancora lรฌ: l’abbandonato ritorna da quelli che sanno solo abbandonare; li ha inviati per le strade, e li ritrova chiusi in quella stanza; eppure non si stanca di accompagnarli con delicatezza infinita.
Si rivolge a Tommaso che lui stesso aveva educato alla libertร interiore, a dissentire, ad essere rigoroso e coraggioso, vivo e umano. Non si impone, si propone: Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco. Gesรน rispetta la fatica e i dubbi; rispetta i tempi di ciascuno e la complessitร del credere; non si scandalizza, si ripropone.
Che bello se anche noi fossimo formati, come nel cenacolo, piรน all’approfondimento della fede che all’ubbidienza; piรน alla ricerca che al consenso! Quante energie e quanta maturitร sarebbero liberate! Gesรน si espone a Tommaso con tutte le ferite aperte. Offre due mani piagate dove poter riposare e riprendere il fiato del coraggio. Pensavamo che la risurrezione avrebbe cancellato la passione, richiusi i fori dei chiodi, rimarginato le piaghe. Invece no: esse sono il racconto dell’amore scritto sul corpo di Gesรน con l’alfabeto delle ferite, incancellabili ormai come l’amore stesso.
La Croce non รจ un semplice incidente di percorso da superare con la Pasqua, รจ il perchรฉ, il senso. Metti, tendi, tocca. Il Vangelo non dice che Tommaso l’abbia fatto, che abbia toccato quel corpo. Che bisogno c’era? Che inganno puรฒ nascondere chi รจ inchiodato al legno per te? Non le ha toccate, lui le ha baciate quelle ferite, diventate feritoie di luce. Mio Signore e mio Dio. La fede se non contiene questo aggettivo mio non รจ vera fede, sarร religione, catechismo, paura.
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Mio dev’essere il Signore, come dice l’amata del Cantico; mio non di possesso ma di appartenenza: il mio amato รจ mio e io sono per lui. Mio, come lo รจ il cuore e, senza, non sarei. Mio come il respiro e, senza, non vivrei. Tommaso, beati piuttosto quelli che non hanno visto e hanno creduto! Una beatitudine alla mia portata: io che tento di credere, io apprendista credente, non ho visto e non ho toccato mai nulla del corpo assente del Signore.
I cristiani solo accettando di non vedere, non sapere, non toccare, possono accostarsi a quella alternativa totale, alla vita totalmente altra che nasce nel buio lucente di Pasqua.
Tutti i commenti al Vangelo di p. Ermes Ronchi
