Commento al Vangelo del 24 novembre 2016 – Monastero di Bose

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Lc  21,20-28

In quel tempo Gesù disse: 20 «Quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, allora sappiate che la sua devastazione è vicina. 21 Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano verso i monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli che stanno in campagna non tornino in città; 22 quelli infatti saranno giorni di vendetta, affinché tutto ciò che è stato scritto si compia. 23 In quei giorni guai alle donne che sono incinte e a quelle che allattano, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. 24 Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri in tutte le nazioni; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non siano compiuti. 25 Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, 26 mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieliinfatti saranno sconvolte. 27 Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. 28Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».

Di fronte all’annuncio della venuta gloriosa del Figlio dell’uomo, il discorso di Gesù sulle “cose ultime” si interessa di ciò che avviene “sulla terra”, nei tempi della storia. E ci trasmette anzitutto lo sguardo che Gesù porta sugli eventi catastrofici e dolorosi che rappresentano il continuum della storia umana. Parlando della distruzione di Gerusalemme – ma noi possiamo pensare alle tante città oggi bombardate, alle case ridotte a cumuli di macerie, alla fuga e alla disperazione di donne, bambini e anziani abbandonati a se stessi -, Gesù si sofferma sulle vittime umane, soprattutto sulle più esposte e inermi, le donne incinte e quelle che allattano, quanti saranno impietosamente passati a fil di spada, chi sarà trascinato in prigionia. È uno sguardo umano e compassionevole toccato dai più deboli, uno sguardo che piange e versa lacrime, come quando Gesù guardò Gerusalemme arrivando nelle sue vicinanze e ne vide la distruzione prossima (Lc 19,41-44). È uno sguardo che orienta la compassione e l’implorazione, più ancora che la vista.

Forse, solo quando piange, solo dietro al velo delle lacrime che rende tremulo il reale e offuscata la visione, l’occhio vede in modo veramente umano, in modo compassionevole. Se questo è lo sguardo di Gesù sulla rovina di Gerusalemme, Luca presenta poi lo sguardo dei credenti in Gesù sulle catastrofi e disgrazie che attraversano la storia. Eventi disastrosi nella natura e nella storia, che saranno motivo di angoscia e smarrimento, di paura e morte per tanti uomini, per i credenti potranno essere il segno dell’avvicinarsi della salvezza. “Risollevatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”. Alzare il capo significa anche “alzare gli occhi” e vedere ciò che a molti resta invisibile: la salvezza che avanza fra le tribolazioni storiche, il Regno che emerge da dietro le macerie della storia, la promessa del Signore che resta salda anche nell’accumularsi delle rovine sulla terra.

In questo caso, lo sguardo offuscato dalle lacrime consente di andare oltre la tragedia attuale e intravedere l’alba dopo la notte. Nessun pessimismo, nessun far coincidere le catastrofi naturali e storiche, per quanto devastanti, con la fine del mondo, ma anche nessun cinismo, nessuna fuga dai dolori del reale per rifugiarsi in una visione spiritualistica o consolatoria. Ma uno sguardo partecipe che scorge la sofferenza e ne anela la redenzione, che piange le vittime e ne spera il riscatto, che tocca la morte e vede la resurrezione.

fratel Luciano della comunità monastica di Bose

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