Commento al Vangelo del 19 novembre 2017 – don Matteo Castellina

Padre fiducioso

Quando incontriamo un’altra persona e iniziamo a conoscerla ci facciamo, senza nemmeno accorgercene, un’immagine mentale così che poi tutto quello che quella persona ci dirà o farà lo leggeremo attraverso la lente della nostra immagine mentale. Se di quella persona ci saremo fatti un’immagine buona saremo indulgenti con i suoi errori, se di quella persona ci saremo fatti un’immagine negativa saremo portati a individuare ogni difetto e ogni più piccolo sbaglio. Si chiamano pregiudizi! E ognuno di noi se ne porta dietro una grande quantità che accresce di giorno in giorno.

Nel Vangelo di questa domenica Gesù racconta la celebre parabola dei talenti. Il padrone distribuisce le sue ricchezze ai tre servi secondo le loro capacità, li conosce, sa cosa sono in grado di gestire, non li carica di fardelli troppo pesanti che potrebbero schiacciarli. A noi, abituati a misurare il valore delle persone dalle loro capacità e abilità, sembra un comportamento ingiusto, che discrimina il terzo servo mentre favorisce il primo. Invece è un comportamento più che giusto proprio perché ha a cuore il bene della persona e non il profitto che può produrre e non misura con questo il suo valore.
I servi, però, hanno del padrone idee diverse, i primi due comprendono che con l’affidargli le sue ricchezze il padrone compie un atto di fiducia nei loro confronti e scelgono di rispondere a tale fiducia impegnandosi al massimo, infatti ciascuno dei due raddoppia quanto ricevuto.

Il terzo, invece, ha del padrone un’idea molto diversa, lo ritiene severo, autoritario, dispotico e ingiusto così, invece di impegnarsi per far fruttare la somma ricevuta, per paura la nasconde fino al ritorno del padrone. La fiducia ricevuta viene così miseramente tradita, la paura ha creato una distanza incolmabile che si traduce nell’allontanamento del servo.

E noi di Dio che idea abbiamo? Sappiamo riconoscere che si fida di noi, che ci affida la sua grazia affinché possiamo farle portare frutto o, come il terzo servo, ne abbiamo paura e cerchiamo di tenercene alla larga?
La tentazione che il demonio usa più spesso con ciascuno di noi è proprio di far sorgere in noi la paura di Dio, il sospetto nei suoi confronti, l’idea che voglia metterci in difficoltà chiedendoci di più di quanto siamo in grado di fare.
Quanto è diffusa l’idea che Dio sia un giudice severo e inflessibile, esigente e pignolo, che non vede l’ora di poterci condannare all’inferno! Questo però non è Dio! Non è il volto amorevole e misericordioso del Padre che Gesù ci ha rivelato ma un nostro pregiudizio!

Dio non è un giudice severo ma un padre tenero e attento, che ama ciascuno di noi in modo unico e infinito e che ci conosce perfettamente e non ci chiede più di quanto possiamo dare ma nemmeno di meno perché sarebbe segno di sfiducia.

Aver paura di Dio è semplicemente un’assurdità! Ci ha creati lui per un atto d’amore del tutto gratuito, se ne avesse abbastanza di noi ci farebbe smettere di esistere, così da un istante all’altro. Solo il fatto che esistiamo è dimostrazione che Dio ci sta amando anche in questo preciso istante.
Togliamoci dalla testa questa assurda idea che Dio non veda l’ora di mandarci all’inferno! Per evitarcelo si è fatto uomo e si è fatto crocifiggere da noi! Davvero abbiamo bisogno di altre prove?

Nei momenti in cui ci scopriamo assaliti dalla paura di Dio, del suo giudizio, dal sospetto che stia cercando di imbrogliarci o che ci stia chiedendo troppo impariamo a riconoscere che è il demonio che ci sta bisbigliando queste cose all’orecchio, che è lui e non Dio a cercare di imbrogliarci. Smettiamo, allora di dar seguito a quei pensieri, apriamo gli occhi e riconosciamo quanto il Signore ci ha affidato, quanto si fida di noi (molti più di quanto noi non ci fidiamo di noi stessi) e rimbocchiamoci le maniche per far fruttare quella grazia. In quei frutti troveremo anche la nostra gioia, quella che darà senso pieno alla nostra vita.

Fonte: il blog di don  Matteo

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XXXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Mt 25, 14-30
Dal Vangelo secondo  Matteo

14Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. 15Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». 16Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». 17Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». 18Ed egli disse: «Portatemeli qui». 19E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. 20Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. 21Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini. 22Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. 23Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. 24La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. 25Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. 26Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. 27Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». 28Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». 29Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 19 – 25 Novembre 2017
  • Tempo Ordinario XXXIII
  • Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo A
  • Salterio: sett. 1

Fonte: LaSacraBibbia.net

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