Commento al Vangelo del 18 marzo 2018 – p. Raniero Cantalamessa

L’insegnamento più profondo che Gesù ci dà nel Vangelo di questa Domenica è tratto dalla vita dei campi. Esso è in sintonia con la stagione che stiamo vivendo che vede il grano spuntare dappertutto dalla terra e formare come dei tappeti verdi, ondeggianti al vento sulle nostre colline. Dice dunque Gesù nel vangelo:

“Se il chicco di grano non cade in terra e non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto”.
Sappiamo che non è il solo insegnamento che Gesù trae dalla vita dei contadini. Il Vangelo è pieno di parabole, immagini e spunti tratti dall’agricoltura che era a suo tempo (ed è ancora oggi per diversi popoli) la professione che occupa il maggior numero di persone. Egli parla del seminatore, del lavoro dei campi, della mietitura, di grano, vino, olio, del fico, della vigna, della vendemmia, di tutto. Ma Gesù non si fermava naturalmente al piano agricolo. L’immagine del chicco di grano gli serve per trasmetterci un sublime insegnamento che getta luce, prima di tutto, sulla sua vicenda personale e poi anche su quella dei suoi discepoli.
Il chicco di grano è, dunque, anzitutto lui stesso, Gesù. Come un chicco di grano, egli è caduto in terra nella sua passione e morte, è rispuntato e ha portato frutto con la sua risurrezione. Il “molto frutto” che egli ha portato è la Chiesa che è nata dalla sua morte, il suo corpo mistico. Noi formiamo con Cristo, grazie al battesimo, come una sola spiga; san Paolo dice “un solo pane” (cfr. 1 Corinzi 10, 17). Il pane che consacriamo sui nostri altari e che riceviamo nell’Eucaristia, quanto alla sua forza, viene tutto da quel chicco di grano caduto in terra che è Gesù.
Potenzialmente, è tutta l’umanità che è risorta da morte con Cristo, non solo noi battezzati, perché egli è morto per tutti, tutti sono stati da lui redenti, anche chi ancora non lo sa. Il brano evangelico si conclude con queste significative parole di Gesù:
“Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”.

Ma la storia del piccolo chicco di grano aiuta anche, per un altro verso, a capire noi stessi e il senso della nostra esistenza. In che senso, ce lo spiega Gesù stesso, quando, dopo aver parlato del chicco di grano, aggiunge: “Chi ama la sua vita la perde e chi odia (un altro evangelista dice perde) la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (cfr. Matteo 16, 25).
Cadere in terra e morire, non è dunque solo la via per portare frutto, ma anche per “salvare la propria vita”, cioè per continuare a vivere! Che succede al chicco di grano che rifiuta di cadere in terra? O viene qualche uccello e lo becca, o inaridisce e ammuffisce in un angolo umido, oppure viene ridotto in farina, mangiato e tutto finisce lì. In ogni caso, il chicco, come tale, non ha seguito. Se invece viene seminato, rispunterà, conoscerà il tepore della primavera e il sole dell’estate. Conoscerà una nuova vita, come in questa stagione vediamo che è avvenuto dei chicchi di grano seminati in autunno.
È chiaro il significato di ciò, sul piano umano e spirituale. Se l’uomo non passa anche lui attraverso la trasformazione che viene dalla fede e dal battesimo, se non accetta la croce, ma rimane attaccato al suo na-turale modo di essere e al suo egoismo, tutto finirà con lui, la sua vita va ad esaurimento. Giovinezza, vecchiaia, morte. Se invece crede e accetta la croce in unione con Cristo, allora gli si apre davanti l’orizzonte dell’eternità.
Ma senza pensare alla nostra morte, ci sono situazioni, già in questa vita, sulle quali la parabola del chicco di grano getta una luce rasserenante. Hai un progetto che ti sta sommamente a cuore; per esso hai lavorato, era diventato lo scopo principale nella vita, ed ecco che in breve lo vedi come caduto in terra e morto. Fallito, oppure tolto a te e affidato a un altro che ne raccoglie i frutti. Ricordati del chicco di grano e spera. I nostri migliori progetti e affetti (a volte lo stesso matrimonio degli sposi e la vocazione religiosa di noi sacerdoti) devono passare per questa fase di apparente buio e di gelido inverno, per rinascere purificati e ricchi di frutti. Se resistono alla prova, sono come l’acciaio dopo che è stato immerso in acqua gelida e ne è uscito “temprato”.
Voglio accennare, in particolare, a due casi umani che la parabola del chicco di grano può rischiarare e aiutare a risolvere positivamente. Diceva di sé una persona: “Sono un’insegnante nubile, non ho mai avuto un fidanzato e, si può dire, neppure un ragazzo, pur avendolo desiderato fin da quando ero adolescente. Mi chiedo come posso fare a non avere nessun legame affettivo, tanto più che ho un carattere espansivo e molto aperto verso gli altri”.
Questa persona (e tante altre nella sua stessa situazione) si trova davanti a una scelta: o continuare a girare intorno a questo problema tutta la vita, vivendo di rimpianti e di amarezza (cioè, non vivendo!), oppure accettare la situazione, riconciliarsi con se stessa e rendersi conto che la vita non è tutta lì; che c’è un mondo di possibilità e di potenzialità dentro di lei che aspetta di potersi esprimere, attraverso altri legami e canali. È come chi ha un chicco di grano e può o continuare a tenerlo stretto nella mano, finché inaridisce e muore, o affidarlo alla terra. Affidarlo alla terra, in questo caso, significa rimettersi alla volontà paterna di Dio, in un atteggiamento, non di passiva rassegnazione, ma di fiducioso abbandono alla Provvidenza. Dopo tutto, chi può essere sicuro che la cosa in assoluto migliore per lui, o per lei, sia sposarsi? Per quante donne l’essersi sposate non si è rivelato affatto la più grande fortuna della loro vita, ma forse la più grande croce!
Ho conosciuto persone che, dopo quel gesto di accettazione, quando ormai non vi pensavano più, inaspettatamente, hanno visto realizzarsi il loro sogno. Hanno incontrato il compagno o la compagna della loro vita e l’hanno accolto, non più solo come il compimento di un loro desiderio naturale, ma anche come un dono e una risposta di Dio alla loro fede.
Altre hanno continuato come prima e non si sono sposate, ma hanno scoperto degli interessi e degli scopi che hanno riempito la loro vita. Interessi veri, creativi, non surrogati. Il rapporto di coppia infatti è certamente importante e vitale, ma non è l’unico. L’uomo e la donna hanno un valore anche in se stessi, come individui, non solo come partner, o metà, di un altro. Noi sacerdoti, e celibi in genere, non ci sentiamo affatto persone a metà. Quella stessa persona aggiungeva: “Io sto bene a scuola, mi trasformo, mi sembra di essere un’altra persona. Le mie relazioni affettive sono quasi solo con i ragazzini che seguo in attività di recupero linguistico e motivazionale. Svolgo anche delle attività di volontariato con stranieri”. E non è, tutto questo, un modo meraviglioso per realizzare se stessi e rendere “feconda” la propria vita?
L’altra situazione che la parabola del chicco di grano mi fa venire in mente è quella di donne felicemente sposate, ma che non possono avere un figlio, pur desiderandolo sopra ogni altra cosa al mondo. Una di queste donne ha messo per iscritto la sua storia. Dopo sei anni di vana attesa di un figlio, era diventata – confessa lei stessa – triste, frustrata, ossessionata da quello che era divenuto, per lei, l’unico scopo della vita: concepire un figlio suo. Se riusciva in tutti gli altri campi della vita, perché non doveva riuscire anche in questo? Era diventata amara, al punto da odiare tutte le donne che vedeva con un bimbo in braccio. Stava inaridendo il suo stesso matrimonio, riducendolo a quest’unico scopo. Non riusciva a dire nel Padre nostro: “Sia fatta la tua volontà”, per paura che Dio lo prendesse come una rinuncia da parte sua ad avere un figlio. Era il chicco di grano che non voleva cadere in terra e morire.
Dopo anni di resistenza e di lotta, finalmente, aiutata da amici credenti, trovò il coraggio, in un momento di preghiera, di abbandonarsi a Dio e credere che, se lui le aveva dato “un cuore di madre”, non era perché rimanesse vuoto e sterile. Pianse una notte intera, ma alla fine aveva lasciato cadere il suo chicco di grano e aveva ritrovato la serenità. Iniziarono le pratiche per un’adozione che, contrariamente a tutte le previsioni, andarono in porto in poche settimane. Quando tenne, per la prima volta, tra le braccia la bambina adottata, capì subito perché Dio le aveva dato un cuore di madre. “Con lei – conclude la sua testimonianza –, il Signore mi ha benedetto ancor più che se mi avesse concesso una bimba tutta mia. Il miracolo che Dio ha fatto non è stato solo di darci una bambina adorabile e vivacissima, ma anche di liberare me dall’unica cosa che mi teneva legata e lontana da Dio: la mia ossessione di decidere io stessa della mia vita”.
Come sempre, costatiamo che il Vangelo non è lontano, ma vicinissimo alla nostra vita. Anche quando ci parla con la storia di un piccolo chicco di grano. Alla fine, questi chicchi di grano che cadono in terra e muoiono, saremo noi stessi, i nostri corpi affidati alla terra. Ma la parola di Gesù ci ha assicurato oggi che anche per noi ci sarà una nuova primavera. Risorgeremo da morte, come il meraviglioso grano in erba sulle nostre colline, e questa volta per non morire più.

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