Commento al Vangelo del 16 settembre 2012 – don Mauro Pozzi

Il commento al Vangelo della domenica a cura di don Mauro Pozzi parroco della Parrocchia S. Giovanni Battista, Novara.

FAI LA TUA PARTE

Voi chi dite che io sia? La domanda è per noi. Molti ammirano il Cristo, ma pochi sono disposti a seguirlo fino in fondo. Qualcuno pensa che sia solo un grande uomo, un filosofo, un profeta. Credere in lui è accettare anche la fatica della croce, il peso del mondo che rifiuta la sua divinità. È l’errore di Pietro che confessa Gesù come il Cristo, ma non sa capire la croce e così Gesù lo rimprovera allontanandolo da sé. Satana vuol dire inciampo. Pietro è un ostacolo alla realizzazione del piano della salvezza. Sono parole molto dure. In realtà quello che fa parlare l’Apostolo è l’affetto che nutre per il suo Maestro. Come è possibile che un uomo grande come Gesù debba essere ucciso, che il Messia, colui che era atteso dai tempi più antichi, debba essere rifiutato? Certamente non è questo che gli viene rimproverato, ma il fatto che egli giudichi il disegno divino. Il vero discepolo è colui che rinnega se stesso e prende la sua croce. Cerchiamo di capire. La nostra vita è sospesa tra gioia e dolore. La sofferenza ne fa parte e non può essere eliminata, prova ne è che Gesù stesso ha sofferto. Invece il principe del mondo, Satana, cerca in tutti in modi di farci credere che ogni forma di dolore sia uno sbaglio, un’ingiustizia, qualcosa che ci allontana dal bene. È falso, perché noi sappiamo che senza sacrificio e fatica non si cresce, non si impara, non si migliora. Inoltre la morte, anche se ci fa paura e non vorremmo che ci fosse, esiste e nulla le sfugge. La morte e il dolore non sono il male in sé, certo fanno soffrire, ma sono delle vie di accesso a nuove opportunità. Per cui il bene c’è sempre, piuttosto manca la capacità di vederlo. Rinnegare se stessi significa allora rinunciare alla pretesa di capire tutto e di voler giudicare l’operato di Dio, e mettersi con fiducia nelle mani della Provvidenza, che sa molto meglio di noi che cosa concorra al nostro vero bene. Prendere la propria croce non vuol dire essere contenti di soffrire o cercare di vivere nel peggior modo possibile, ma piuttosto saper accettare serenamente e fiduciosamente le difficoltà e le fatiche della nostra vita, considerandole come strumenti per crescere. Se Gesù avesse rifiutato la croce per noi non ci sarebbe salvezza, né lui, senza morire, sarebbe potuto risorgere. Per cui il Maestro strapazza Pietro perché capisca che non deve giudicare il disegno del Padre, ma deve piuttosto collaborare con coraggio alla sua realizzazione. È attraverso la croce che si arriva alla resurrezione. Mettiamoci con fiducia nelle sue mani.

Mc 8, 27-35

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada inter- rogava i suoi discepoli di- cendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli ri- sposero: «Giovanni il Batti- sta; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cri- sto». E ordinò loro severa- mente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, veni- re ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pie- tro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma se- condo gli uomini». Convoca- ta la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà»

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