TRAFFICANTI FOLLI PER FAR FRUTTIFICARE NEL MONDO IL FOLLE INVESTIMENTO DEL PADRE
[ads2]Gesù era ormai giunto con i discepoli “vicino a Gerusalemme”. Ma in loro emergeva una strana euforia: con tutti quei miracoli che avevano cambiato “all’istante” la vita di tante persone davanti agli occhi, si erano convinti che il Regno si sarebbe “manifestato” altrettanto “immediatamente”. E proprio loro, i prescelti del Messia, si vedevano già ricoperti di cariche “alla sua destra e alla sua sinistra”. Era pur vero che Gesù aveva ripetuto di “mettersi bene in testa” che stava andando a Gerusalemme per morire crocifisso e risorgere, ma “quel parlare restava oscuro”, e l’avevano rimosso. Erano pronti a morire con Lui, ma per un regno di questo mondo. La parabola rimette la cose al loro posto. Gesù, “Uomo di nobile stirpe”, morendo, risuscitando e ascendendo al Cielo, sarebbe “partito” verso il “lontano paese” del Padre “per ricevere un titolo regale e poi ritornare” alla fine dei tempi e nella vita di ciascuno, giorno per giorno e al giorno della morte; ai discepoli suoi “servi”, avrebbe affidato la “mina” del Vangelo per “impiegarla” nel tempo inaugurato con la sua partenza, “amministrandone proficuamente il capitale”, e “commerciandola” per ottenere un “guadagno” secondo la volontà del Signore. Gesù dunque non andava a Gerusalemme per ristabilire il Regno che tutti aspettavano. Egli vi saliva per aprire un varco attraverso la morte e inaugurare un tempo di salvezza per tutte le genti; apparendo risorto sul Monte di Galilea, il Signore avrebbe poi affidato il Vangelo ai suoi discepoli, inviandoli a “trafficarlo” come aveva fatto Lui, con la predicazione e il martirio, in tutte le città e villaggi, sino ai confini della terra. Anche noi oggi siamo “vicini” alla croce piantata nella nostra “Gerusalemme”: la famiglia, il lavoro, la scuola, la malattia, l’angoscia. Forse siamo ancora acerbi, e pensiamo che il cristianesimo sia una religione come tutte le altre, dalla quale attingere “da un momento all’altro” quello di cui abbiamo bisogno. Il Signore, invece, ci ha scelti, chiamati, perdonati per affidarci la “mina” che definisce la nostra primogenitura.
E, nella Chiesa, ci ha dato il luogo dove imparare a commerciare le mine: l’iniziazione cristiana, il cammino di conversione nel quale la Parola di Dio si fa strada nella vita di ogni giorno ricomponendo il dissidio tra fede e vita che ci ha fatto soffrire. Il Vangelo ha operato in noi molti segni, e oggi siamo inviati a tutti per “trafficarlo”, annunciando e offrendo la salvezza in cambio dei peccati. La nostra storia è immersa in un tempo di Grazia, dove ogni evento è un’occasione irripetibile per “guadagnare” un’anima a Cristo. Per questo il demonio, il “nemico” che “non vuole che il Signore regni” sugli uomini, farà di tutto per distoglierci dalla nostra missione, per distoglierci dal cammino verso Gerusalemme dove dare la vita con Cristo; e così trasformarci in “servi malvagi”. Userà la croce di ogni giorno – il tamponamento, la bolletta inaspettata, le analisi cliniche sballate, un insulto e un inganno, noi stessi e la nostra debolezza – per mostrarci il Signore come un “uomo severo” che “prende” l’amore che “non ha messo in deposito”, e vuole “mietere” la vittoria “che non ha seminato”. Ci tenterà con la “paura” della morte per spingerci a “nascondere nel fazzoletto” della superbia e dell’ipocrisia il Vangelo, perché non giunga a chi ci è accanto: per non inginocchiarci ai piedi del fratello e chiedergli perdono… Vorrà ingannarci con gli scandali, mentendo sulla Chiesa che ci ama come una madre, la “banca” cui ricorrere per difendere il “capitale” in tempi di crisi e di debolezza. Possiamo difenderci solo “giudicando” il demonio “dalle sue stesse parole”, confrontandole una per una con quelle del Vangelo compiute nella nostra vita e in quella di tanti fratelli, nella certezza che il Signore ci difenderà e tornerà ad “uccidere davanti a lui il nemico”. Ci attende una ricompensa eterna, la vita piena “data a chiunque ha” frutti da presentare: la moglie, il marito, i figli, i colleghi, i nemici accolti a amati; la gioia moltiplicata dalla Grazia che ci accompagna ogni giorno, da condividere nella “città celeste” con coloro a cui abbiamo annunciato il Vangelo donandoci senza riserve qui sulla terra.
Don Antonello Iapicca
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JAPAN
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Dal Vangelo secondo Luca 19,11-28
In quel tempo, Gesù disse una parabola perché era vicino a Gerusalemme e i discepoli credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. Disse dunque: “Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare. Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno.
Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un’ambasceria a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi. Quando fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine. Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città. Poi si presentò il secondo e disse: La tua mina, signore, ha fruttato altre cinque mine. A questo disse: Sarai tu pure a capo di cinque città.
Venne poi anche l’altro e disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuto riposta in un fazzoletto; avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato. Gli rispose: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi.
Disse poi ai presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci. Gli risposero: Signore, ha già dieci mine! Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”. Dette queste cose, Gesù proseguì avanti agli altri salendo verso Gerusalemme.