Commento al Vangelo del 15 Settembre 2019 – p. Fernando Armellini

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Padre Fernando Armellini, biblista Dehoniano, commenta il Vangelo di domenica 15 Settembre 2019.
Se sei interessato a tutti i sui commenti al Vangelo, puoi leggerli qui.

Un uomo perso sarebbe la sconfitta di Dio

โ€œForte come la morte รจ lโ€™amore, tenace come gli inferi รจ la passione. Le grandi acque non possono spegnere lโ€™amore nรฉ i fiumi travolgerloโ€ (Ct 8,6-7). Con queste celebri immagini viene descritta, nel Cantico dei Cantici, la forza irresistibile dellโ€™amore.

Corre sempre un grosso rischio โ€“ lo sappiamo โ€“ chi si lascia coinvolgere in un legame affettivo: lโ€™amore presuppone la libertร  e comporta la possibilitร  del rifiuto e dellโ€™insuccesso. Fanno parte del gioco anche la gelosia, i tormenti, le ansie, la paura dellโ€™abbandono e tutte quelle emozioni che siamo soliti chiamare pene dโ€™amore. โ€œSono malata dโ€™amoreโ€ โ€“ ripete la sposa del Cantico dei Cantici (Ct 2,5; 5,8).

Dio ha voluto correre questo rischio: ha accettato di farsi debole e ha messo in conto anche lโ€™eventualitร  della sconfitta. Lo abbiamo sempre immaginato onnipotente, ma in amore questa prerogativa รจ esclusa dalle regole del gioco. Questo termine non รจ mai attribuito a Dio nella Bibbia, e giustamente, perchรฉ, da quando ha creato lโ€™universo con le sue leggi e ha dato vita allโ€™uomo libero, egli ha come ristretto il suo potere. รˆ ciรฒ che i rabbini chiamavano contrazione, nascondimento, auto-limitazione di Dio.

Dio non puรฒ costringere, deve conquistare la persona amata. Se giocasse sullโ€™effetto paura, se minacciasse castighi avrebbe perso la partita, non creerebbe amore, ma ipocrisia.

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In Gesรน, Dio ha fatto piรน volte lโ€™esperienza del fallimento. Gerusalemme non ha corrisposto al suo amore: โ€œQuante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una chioccia i suoi pulcini sotto le ali, ma voi non avete volutoโ€ (Lc 13,34); a Nazaret non potรฉ operare nessun prodigio (Mc 6,5-6); il giovane ricco gli oppose un rifiuto (Mt 19,16-22).

Nellโ€™Apocalisse Dio non รจ chiamato onnipotente, ma pantokrator, che significa Colui che tiene in mano tutto. Gli uomini sono liberi di fare il loro gioco, ma nella sfida dโ€™amore, รจ lui che gestisce la partita, con impareggiabile abilitร . Difficile immaginare che se la lasci sfuggire di mano.

Ora siamo in grado di comprendere la frase di Gesรน: โ€œCโ€™รจ piรน gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversioneโ€ (Lc 15, 7). La gioia piรน grande dellโ€™innamorato รจ la riconquista dellโ€™amata, รจ sentirla ripetere: โ€œRitornerรฒ al mio marito di prima, perchรฉ allora sรฌ che ero felice, non ora!โ€ (Os 2,9).

Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:
โ€œNoi abbiamo riconosciuto e creduto allโ€™amore che Dio ha per noiโ€.

Prima Lettura (Es 32,7-11.13-14)

In quei giorni, 7 il Signore disse a Mosรจ: โ€œVaโ€™, scendi, perchรฉ il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese dโ€™Egitto, si รจ pervertito. 8 Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicata! Si son fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: Ecco il tuo Dio, Israele; colui che ti ha fatto uscire dal paese di Egittoโ€.
9 Il Signore disse inoltre a Mosรจ: โ€œHo osservato questo popolo e ho visto che รจ un popolo dalla dura cervice. 10 Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga. Di te invece farรฒ una grande nazioneโ€.
11 Mosรจ allora supplicรฒ il Signore, suo Dio, e disse: โ€œPerchรฉ, Signore, divamperร  la tua ira contro il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese dโ€™Egitto con grande forza e con mano potente?
13 Ricรฒrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: Renderรฒ la vostra posteritร  numerosa come le stelle del cielo e tutto questo paese, di cui ho parlato, lo darรฒ ai tuoi discendenti, che lo possederanno per sempreโ€.
14 Il Signore abbandonรฒ il proposito di nuocere al suo popolo.

In Egitto, fin dal tempo delle prime dinastie (3000 a.C.), il toro era lโ€™immagine del grande dio Ptah di Menfis, il dio creatore dal quale dipendeva la feconditร  dei campi e degli animali. A lui erano attribuite le piene fertilizzanti del Nilo.

Simbolo della forza, il toro veniva raffigurato spesso in scene di carattere magico, era imbalsamato e mummificato per immortalarne le virtรน e, in suo onore, nei maestosi templi, erano celebrate molte cerimonie religiose. Gli israeliti le avevano viste, ne erano rimasti ammirati e forse anche un poโ€™ sedotti.

Dopo aver assistito a tanti prodigi operati dal Signore durante lโ€™esodo, essi avrebbero dovuto lasciarsi definitivamente alle spalle tutte le pratiche pagane. Invece, appena giunti nel Sinai, mentre Mosรจ si trovava sul monte a parlare con il Signore, eccoli consegnare ad Aronne i loro gioielli e fondere lโ€™oro raccolto per modellarsi un toro (Es 32,1-6).

La prima parte della lettura (vv.7-10) descrive la reazione sdegnata di Dio a tale infedeltร . Il Signore disse a Mosรจ: โ€œLascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga. Di te invece farรฒ una grande nazioneโ€ (v.10).

Di fronte ad una simile proposta, molti di noi forse sarebbero stati felici di divenire padri di una famiglia di โ€œgiustiโ€. Viene istintivo disgiungere le proprie responsabilitร , rilevare la propria estraneitร  ai fatti, distinguersi dai colpevoli. Ma Mosรจ non fugge, resta unito al suo popolo, preferisce perire con i fratelli piuttosto che salvarsi da solo.

La seconda parte della lettura (vv.11-13) riporta la preghiera di Mosรจ.

Nel nostro testo viene introdotta cosรฌ: โ€œMosรจ allora supplicรฒ il Signore, suo Dio, e disseโ€ฆโ€. In realtร  lโ€™espressione usata nel testo originale ebraico andrebbe tradotta cosรฌ: โ€œ Mosรจ allora cominciรฒ ad accarezzare il volto del Signore, suo Dio, dicendoโ€ฆโ€. Mosรจ si comporta come un bambino che vede il papร  corrucciato e si mette a coccolarlo, fino a quando non riesce a strappargli un sorriso. Lโ€™immagine di Mosรจ che accarezza il volto di Dio รจ una delle piรน belle della Bibbia.

Forse la scena ci stupisce, forse ci sconcerta perchรฉ ci presenta un Mosรจ buono che parla con dolcezza e Dio che invece รจ adirato e ha bisogno di essere riportato alla calma. Eppure, con questโ€™immagine, presa dal nostro mondo umano, Dio indica con quale fiducia e confidenza vuole che ci rivolgiamo a lui nella preghiera.

Con quali parole Mosรจ accarezza il volto del Signore?

Quali ragioni avremmo presentato noi a Dio per convincerlo a desistere dalla sua collera? Forse gli avremmo detto: โ€œVedi, Signore, essi sono pentiti, non ripeteranno mai piรน lโ€™errore commesso, il peccato non รจ poi stato tanto graveโ€ฆโ€. Tutti discorsi vani, perchรฉ lโ€™uomo โ€“ lo sappiamo bene โ€“ non smette mai di essere peccatore, ripete sempre gli stessi errori.

Mosรจ รจ piรน saggio: capisce che non puรฒ far leva sulla buona volontร  dellโ€™uomo e che lโ€™unico modo per ottenere la salvezza รจ confidare nella bontร  di Dio. Egli comincia ricordando al Signore le promesse incondizionate da lui fatte ai patriarchi e conclude: non vorrai che gli egiziani possano dire che non sei stato di parola!

Questa รจ lโ€™unica, vera ragione che consente di sperare nella salvezza di ogni uomo: lโ€™amore infinito di Dio, quellโ€™amore che non sarร  mai vinto da nessuna infedeltร , per quanto grande essa sia.

La conclusione (v.14): โ€œIl Signore abbandonรฒ il proposito di nuocere al suo popoloโ€.

Cosa hanno fatto gli israeliti per meritarsi la misericordia di Dio? Nulla. Sono rimasti in silenzio. Il Signore ha fatto tutto da solo: si รจ ricordato che le sue promesse sono incondizionate e perdona il suo popolo.

Se dovessimo confidare nelle nostre forze, nella nostra capacitร  di compiere gesti virtuosi, avremmo tutte le ragioni per disperare. รˆ molto piรน sicuro riporre la fiducia nellโ€™amore gratuito di Dio.

Seconda Lettura (1 Tm 1,12-17)

12 Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesรน Signore nostro, perchรฉ mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al mistero: 13 io che per lโ€™innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi รจ stata usata misericordia, perchรฉ agivo senza saperlo, lontano dalla fede; 14 cosรฌ la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla caritร  che รจ in Cristo Gesรน.
15 Questa parola รจ sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesรน รจ venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. 16 Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perchรฉ Gesรน Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimitร , a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.
17 Al Re dei secoli incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Abbiamo qualche prova per affermare che Dio non condanna nessuno?

Certamente.

Nel brano della prima lettera a Timoteo che ci viene proposto oggi, Paolo ce ne offre una, inconfutabile. Dice: io ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento; non cโ€™era nessuno peggiore di me, eppure il Signore mi ha usato misericordia. Come mai questo รจ accaduto? Perchรฉ โ€œCristo Gesรน รจ venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono ioโ€ (vv.12-15).

Paolo afferma che Dio si รจ servito di lui come di un esempio per dimostrare quanto รจ grande la sua magnanimitร  (v.16). Se uno come lui, nemico della fede, il primo fra i peccatori, ha ottenuto misericordia, potrร  qualcuno avere ancora paura che Dio lo tratti severamente?

Si potrebbe obiettare: Paolo sbagliava โ€“ รจ vero โ€“ ma non era poi cosรฌ colpevole perchรฉ non si rendeva conto del male che stava facendo (1 Tm 1,13); il popolo dโ€™Israele tornรฒ allโ€™idolatria pagana per ignoranza; la pecorella โ€“ di cui ci parlerร  il Vangelo di oggi โ€“ si รจ smarrita per un erroreโ€ฆ Per questo il Signore รจ stato comprensivo.

Forse qualcuno pecca in un modo diverso? Cโ€™รจ qualcuno che, quando pecca, sa realmente ciรฒ che sta facendo? (Cf. Lc 23,34).

Vangelo (Lc 15,1-10)

1 Si avvicinavano a Gesรน tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2 I farisei e gli scribi mormoravano: โ€œCostui riceve i peccatori e mangia con loroโ€. 3 Allora egli disse loro questa parabola:
4 โ€œChi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finchรฉ non la ritrova? 5 Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, 6 va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perchรฉ ho trovato la mia pecora che era perduta. 7 Cosรฌ, vi dico, ci sarร  piรน gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.
8 O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finchรฉ non la ritrova? 9 E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perchรฉ ho ritrovato la dramma che avevo perduta. 10 Cosรฌ, vi dico, cโ€™รจ gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converteโ€.

Nel Vangelo di questa domenica vengono proposte le cosiddette parabole della misericordia. La terza, quella del figlio prodigo, รจ stata giร  commentata nella quarta domenica di quaresima. Oggi ci limiteremo a commentare le prime due: quella della pecorella smarrita e quella della moneta, due storie apparentemente facili da interpretare. Sembra che Gesรน le racconti per invitare i discepoli ad andare alla ricerca dei peccatori (i ladri, i corrotti, gli adulteriโ€ฆ) oppure per commuoverli e invogliarli a tornare allโ€™ovile.

Lโ€™obiettivo principale รจ un altro e per coglierlo รจ necessario definire chi sono i destinatari delle tre parabole. Il versetto introduttivo non lascia dubbi: โ€œSi avvicinavano a Gesรน tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: costui riceve i peccatori e mangia con loro. Allora egli disse loro questa parabolaโ€ฆโ€ (vv.1-3).

Quei loro non sono i discepoli, non sono i peccatori, ma i farisei e gli scribi, dunque, i giusti. Strano, ma vero: i chiamati alla conversione non sono i peccatori, ma i giusti.

Cerchiamo di capire la ragione delle rimostranze dei farisei e degli scribi.

I rabbini raccomandavano: โ€œLโ€™uomo non si unisca agli empi, nemmeno per convincerli a seguire la legge di Dioโ€. Era dunque proibito accettare un invito a cena da pubblicani e peccatori. Ma Gesรน faceva di peggio: non solo accettava gli inviti di questa gente poco raccomandabile, ma la accoglieva in casa sua (โ€œriceve i peccatoriโ€).

Gli scribi e i farisei non avrebbero avuto nulla da ridire se egli avesse invitato i peccatori che, dopo lunghi digiuni, preghiere e penitenze si fossero pentiti ed emendati. Anchโ€™essi giravano per mare e per terra per fare un proselito (Mt 23,15). Ciรฒ che non comprendevano era quel suo comportarsi da amico dei peccatori che rimanevano tali (vv.1-2). Lo accusavano di organizzare una festa per loro. Ad un certo punto esigono una spiegazione.

Ogni banchetto rispecchia e, in certo qual modo, anticipa la grande cena che sarร  imbandita alla venuta del regno di Dio. In essa non ci sarร  posto per i malvagi e gli empi, ma solo per i giusti. Gesรน non sa questo, finge di ignorarlo o, peggio ancora, vuole sfidare la tradizione dei rabbini?

Le tre parabole sono la risposta, lโ€™autodifesa di Gesรน. Non le racconta per convincere i peccatori, ma per aiutare i giusti a rivedere le loro idee. In tutte e tre le parabole si parla di gioia (che perรฒ non tutti condividono) e si organizza una festa (alla quale non tutti sono disposti a partecipare). Chi รจ dentro e chi rimane fuori?

I peccatori sono le monete e le pecorelle perdute, tuttavia โ€“ questa รจ la stranezza โ€“ ora si trovano tutti attorno a Gesรน (sottolineiamo questo tutti che compare nel primo versetto). Vivono in casa con lui, stanno facendo festa, partecipano al banchetto del regno. I โ€œgiustiโ€ invece sono fuori e rischiano di rimanerci se non cambiano modo di pensare, se non si rendono conto di ciรฒ che sta accadendo, se non capiscono la novitร  che Dio sta rivelando. รˆ in questโ€™ottica che vanno lette le tre parabole.

La pecorella smarrita (vv.4-7).

Fin dalle sue origini, Israele รจ stato un popolo di pastori, non sorprende che nella Bibbia si parli spesso di agnelli, di pecore e di capri (piรน di cinquecento volte) e che molti testi impieghino il linguaggio pastorale per descrivere la premura, la tenerezza, le attenzioni di Dio per il suo popolo. Basti ricordare il celebre Salmo: โ€œIl Signore รจ il mio pastore, non manco di nullaโ€ (Sal 23,1) o la scena commovente del ritorno degli esiliati da Babilonia: โ€œCome un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce pian piano le pecore madriโ€ (Is 40,11).

Anche Gesรน ricorre spesso a questa immagine. Vedendo la folla numerosa che lo seguiva, egli โ€“ dice Marco โ€“ โ€œsi commosse perchรฉ erano come pecore senza pastoreโ€ (Mc 6,34). Nel Vangelo di oggi riprende la stessa immagine e racconta una parabola che contiene parecchi particolari illogici.

Il comportamento del pastore รจ poco realistico: dimentica nel deserto novantanove pecore e corre di casa in casa, chiama amici e vicini, organizza una festa per un incidente piuttosto banale. Poi, abbiamo unโ€™evidente sproporzione fra la parte del racconto che riguarda il ritrovamento della pecora e quella dedicata alla festa che occupa piรน di metร  della parabola.

Queste stranezze ci orientano verso il vero significato del brano.

I rabbini insegnavano: il Signore si rallegra per la risurrezione dei giusti e gode per la rovina degli empi. Gesรน capovolge questa catechesi ufficiale e annuncia quali sono i veri sentimenti di Dio. Egli โ€“ dice โ€“ si rallegra non per la distruzione, ma per la risurrezione degli empi: โ€œCi sarร  piรน gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversioneโ€. Il Padre โ€œnon vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoliโ€ (Mt 18,14) e organizza la sua festa per gente che non la merita.

La dottrina della giusta retribuzione รจ un punto fermo della teologia rabbinica.

Gesรน lo contraddice apertamente mostrando che le tenerezze e le premure di Dio sono rivolte non a chi le merita, ma a chi รจ nel bisogno.

Per i farisei รจ sorprendente che non si accenni ad alcun rimprovero, ad alcun castigo (alcuni pastori spezzavano una gamba alla pecora che aveva lโ€™abitudine di allontanarsi dal gregge) e che non si presupponga alcun gesto di buona volontร  o di pentimento da parte del peccatore.

Il recupero รจ tutto opera di Dio che vuole solo il bene di chi ha sbagliato.

Questo non vuole essere un invito a diventare peccatori per essere amati da Dio, ma a riconoscersi tali di fronte a lui.

I โ€œgiustiโ€, oltre a dover mettere in ordine la loro vita (perchรฉ tutti sono peccatori ed รจ sempre difficile definire chi lo รจ di piรน e chi di meno), devono correggere soprattutto le loro idee teologiche su Dio. Le critiche che rivolgono a Gesรน, le norme di separazione che impongono, sono frutto dellโ€™immagine falsa di Dio che hanno in mente. Unโ€™immagine pericolosa perchรฉ impedisce di partecipare alla festa. Le novantanove pecore rimangono nel deserto e solo quella smarrita arriva a casa perchรฉ si รจ lasciata trasportare dal pastore. Pericolosa soprattutto perchรฉ รจ allโ€™origine del fanatismo, dellโ€™intolleranza, del rigorismo e dellโ€™allontanamento da Dio. Per aiutare il peccatore a lasciarsi trovare, รจ necessario dirgli โ€“ come fa Gesรน โ€“ la veritร  su Dio.

Fargli capire che Dio non รจ un giudice di cui aver paura, ma un amico che ama sempre e comunque e sperimenta il massimo della sua gioia quando puรฒ abbracciare, vedere felice e libero chi รจ precipitato in un abisso di morte.

La moneta perduta (vv.8-10).

I rabbini erano soliti ripetere due volte i loro insegnamenti piรน importanti per imprimerli meglio nella mente dei loro ascoltatori. Ecco la ragione per cui Gesรน racconta la seconda parabola che contiene un insegnamento quasi identico alla precedente.

Vi troviamo le medesime incongruenze: lโ€™esplosione di gioia incontrollata della donna che ritrova la moneta e la festa alla quale sono invitate le amiche e le vicine.

Rispetto alla parabola della pecorella cโ€™รจ un elemento nuovo: la descrizione molto viva della preoccupazione della donna, del suo sforzo, della sua pazienza e perseveranza nel ricercare la moneta: โ€œAccende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamenteโ€. รˆ lโ€™immagine di Dio che non si rassegna a perdere una sola delle sue creature (il numero dieci รจ simbolo dellโ€™intera comunitร ) e che non si siede alla cena del banchetto eterno fino a quando anche lโ€™ultimo dei suoi figli non รจ entrato nella sua casa.

Le tre parabole sottolineano aspetti complementari della conversione. Le prime due mettono in risalto come lโ€™iniziativa della conversione non parte dallโ€™uomo, ma da Dio, che va sempre alla ricerca di chi si รจ perduto.

La parabola del โ€œfiglio prodigoโ€ (Lc 15,11-32) mette in luce il rispetto di Dio per la libertร  dellโ€™uomo. Il Padre non forza i suoi figli a rimanere in casa e non li costringe nemmeno a tornare: sa attendere.

Fonte – Settimana News

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