Commento al Vangelo del 14 Aprile 2019 – Sussidio Quaresima/Pasqua CEI

La domenica delle Palme funge da cerniera tra l’itinerario quaresimale e la Settimana Santa. Commemorazione dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme per compiere il mistero della sua Pasqua, ma anche unica domenica dell’anno in cui si annuncia la sua passione, tale celebrazione ci conduce a una più profonda esperienza della regalità messianica di Cristo, per poterla riconoscere anche nel nostro oggi. È importante che nella celebrazione vengano messe in luce entrambe le dimensioni che le sono proprie (cf Paschalis Sollemnitatis 28)1.

L’esemplarità della passione di Cristo (cf Colletta), culmine di una vita interamente donata, amando no alla ne, non resta esterna ed esteriore al nostro personale cammino di sequela, come se il movimento di imitazione avesse nella nostra volontà di adesione il suo fulcro e la sua forza. Infatti, come ci ricorda l’orazione sulle offerte, non per i nostri meriti, ma per la misericordia del Padre, la passione del suo Figlio ha la forza di affrettare per noi il giorno del suo perdono. La morte e la risurrezione di Colui che ha preso su di sé il peso del nostro peccato, lavando le nostre colpe e ottenendo la nostra salvezza (cf Prefazio), assumendo il calice che non poteva evitare (cf Antifona alla comunione), è così posta di fronte a noi come fondamento della nostra speranza (cf Orazione dopo la comunione). “Di fronte a noi” alla maniera della liturgia, dove il mistero può starci “davanti”, solo se noi gli e ci permettiamo di immergerci in esso.

La celebrazione può iniziare con una delle tre modalità previste dal Messale Romano (cf MR, p. 114, n. 1): con il rito di benedizione dei rami di palma o di ulivo e solenne processione, nella Messa con maggior af usso di fedeli; con l’ingresso solenne; in ne con l’ingresso semplice. L’ingresso solenne può essere ripetuto anche in altre Messe con grande concorso di popolo, ma senza ripetere la processione.

È opportuno che l’itinerario quaresimale si concluda con una celebrazione penitenziale per prepararsi a una più intensa celebrazione del mistero pasquale. Questa celebrazione si faccia prima del Triduo pasquale e non preceda immediatamente la messa vespertina nella Cena del Signore (cf Paschalis Sollemnitatis 37).

1 Occorre sapienza pastorale nell’armonizzare la compresenza, diventata ormai tradizionale in tante diocesi e parrocchie, della Giornata mondiale della gioventù, vissuta a livello diocesano. La gioia della convocazione giovanile non attiri l’attenzione su di sé, a prescindere dal carattere proprio della celebrazione, deformandone il senso, ma si ponga piuttosto a servizio del suo svolgimento, in atteggiamento di festa, nella prima parte del rito, ma anche di reverente silenzio e contemplazione di fronte all’annuncio della Passione. L’importanza simbolica della croce della GMG invita a lasciarsi interamente immergere nel dramma del mistero che viene celebrato.

Commento

Con la Domenica delle Palme e della Passione del Signore entriamo nella grande settimana, la settimana santa, il tempo della Pasqua di morte e risurrezione di Gesù. La Chiesa ci invita oggi ad ascoltare per prima cosa il racconto dell’ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme nella versione dell’evangelista Luca, e poi, dello stesso autore, la narrazione degli eventi della Passione e morte di Gesù.

Se volessimo cercare in questi due differenti brani dello stesso Vangelo un elemento comune, lo potremmo trovare nel tema della regalità di Gesù. In Lc 19,38, infatti, le folle che acclamano l’arrivo di Gesù nella Città Santa, dicono: “Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore…”. Gesù è esplicitamente riconosciuto come il re che deve venire, colui che viene a inaugurare il regno di Dio sulla terra. E questa è anche la coscienza chiara che Gesù ha della sua missione. Nell’ultima cena, ad esempio, egli dice ai discepoli che ha desiderato mangiare la Pasqua con loro e bere con loro il frutto della vite, prima della sua passione, perché non lo farà più, nché non verrà il regno di Dio (cf Lc 22,15-18). Dunque Gesù sente la vicinanza del regno di Dio, ma sa anche che questo regno si compirà tramite un passaggio traumatico e doloroso attraverso la morte da parte sua. E questo perché la sua regalità non è dello stesso tipo di quella dei re delle nazioni: Gesù sta in mezzo a noi “come colui che serve” (Lc 22,27). Il regno che Gesù è venuto a inaugurare è preparato per i suoi discepoli, che condivideranno con lui il trono del giudizio nel tempo messianico (cf Lc 22,29-30).

Anche i suoi accusatori riconoscono che la morte a cui vogliono condannare Gesù, è la pena per il suo essersi proclamato Cristo re (cf Lc 22,67) e questa è l’imputazione che portano a Pilato perché esegua la condanna (cf Lc 23,2). Pilato riconosce l’innocenza di Gesù e l’infondatezza delle accuse a suo carico (cf Lc 23,4.15.22), nonostante Gesù non abbia nascosto (sia al Sinedrio, sia a Pilato) che quanto riportato dai suoi accusatori è vero: egli è il Cristo re, il Figlio dell’uomo che siederà alla destra della potenza di Dio, essendo Suo Figlio (cf Lc 22, 69-70; 23,3)!

Quando ormai Gesù è croci sso, quando tutto sembra dichiarare la scon tta delle sue pretese di essere il Messia e Salvatore, ecco che di nuovo l’evangelista insiste nel presentarci Gesù quale re: i capi, e così i soldati e uno dei due concroci ssi con lui, deridono Gesù proprio per questa sua assurda pretesa (cf Lc 35-37.39), e il cartello con la motivazione della sua condanna a morte sottolinea ancora il punto: “Costui è il re dei Giudei” (Lc 23,38). Eppure, il buon ladrone, fa appello proprio alla regalità di Gesù in quel momento di apparente disfatta, chiedendo di essere ricordato nel suo regno (cf Lc 23,42). Persino al momento della sepoltura di Gesù, quando ogni luce di speranza sembra de nitivamente spenta, l’evangelista ricorda che Giuseppe di Arimatea chiese di deporre il corpo di Gesù dalla croce, perché “aspettava il regno di Dio” (Lc 23,51).

Cosa c’è di vero in queste aspettative delle folle osannanti Gesù nel suo ingresso a Gerusalemme, nelle accuse e nella derisione dei capi, nella richiesta del ladrone e nel gesto di carità di Giuseppe? Come riconoscere oggi in Gesù morto sulla croce il re Messia, il Salvatore del mondo, il Figlio di Dio? La prima lettura, dal profeta Isaia, ci ha detto che tutto questo strazio del giusto servo del Signore era previsto, faceva parte dei piani di Dio, proprio perché così si compisse la redenzione del mondo (cf Is 50,6-7). E anche Paolo ci ha detto, scrivendo ai Filippesi, che la Passione e morte di Gesù corrisponde alla sua volontà di svuotamento, di umiliazione e di annientamento, perché nell’obbedienza del Figlio di Dio, nell’accettazione della morte e di una morte di croce, il Padre esaltasse Gesù e gli desse il nome che è al di sopra di ogni altro nome (cf Fil 2,6-9).

Gesù non muore da scon tto: Luca racchiude la morte di Gesù tra due invocazioni al Padre: “Padre, perdona…; Padre, nelle tue mani…” (Lc 23,34.46). Gesù ha donato la sua vita, perché lo ha voluto: per questo “camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme” (Lc 19,28), nel pieno controllo di quanto sta per succedere; per questo nell’ultima cena offre il pane e il vino come il suo corpo, “che è dato per voi”, e il suo sangue, “che è versato per voi” (Lc 22,19-20), come colui che è venuto per servire i fratelli e approntare per loro un regno (cf Lc 22,27). Davvero allora Gesù regna dalla croce (regnavit a ligno Deus, come recita l’inno del Vexilla Regis, che si canta in questa settimana di Passione): regna nel dono totale di sé al Padre e ai fratelli, regna nel servizio d’amore che ci ha offerto, regna per farci partecipi della sua regalità, nella misura in cui ne imitiamo l’offerta della vita e facciamo della nostra esistenza un dono d’amore al Padre e ai fratelli.

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