CEI – Commento al Giovedì Santo, 6 Aprile 2023

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Il Giovedì Santo, pur non facendo strettamente parte del Triduo Pasquale, ne è l’apertura solenne, momento sacramentale della celebrazione della Pasqua storica. Gesù infatti, nell’Ultima Cena con i suoi, consegnando sé stesso nel Pane e nel Vino, vive la sua personale Pasqua sacramentale, prima di donarsi completamente al Padre sulla croce.

Nel lavare i piedi ai discepoli, mostra la verità di ogni partecipazione all’Eucaristia, come assunzione del suo stile di vita, e fonte di autentico rinnovamento della fraternità umana nella costruzione dell’unico corpo ecclesiale intorno all’unica mensa dell’amore offerto ai fratelli.

Nella coscienza di così grande dono ricevuto, l’animo della comunità ecclesiale, «stirpe eletta, regale sacerdozio, gente santa, popolo che egli si è acquistato» (MR p. 358) eleva il suo inno di lode per il dono del sacerdozio ministeriale, partecipazione più intima all’unico sacerdozio di Cristo che nell’Eucaristia riassume pienamente la sua unzione messianica e regale.

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Questa celebrazione è dunque la prima e vera festa dell’Eucaristia come memoriale della Pasqua di Cristo che ricapitola in sé l’antica alleanza e la Pasqua dell’Agnello (cf. Es 12,1-11) introducendo l’umanità al vero banchetto dell’alleanza piena e definitiva.

MONIZIONE INTRODUTTIVA

In questa notte in cui Cristo, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine, siamo convocati dal suo desiderio di vivere la sua Pasqua sacramentale con noi, comunità scaturita dalle sue piaghe. Nei gesti e nelle azioni di Gesù rinnovate in questa celebrazione, contempliamo nella fede il nuovo compiersi di questa storia salvifica. Il

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memoriale del sacrificio di salvezza ci riporta all’oggi liturgico: oggi Cristo si dona, oggi ci lava i piedi, oggi ci ripete «fate questo in memoria di me». Con animo grato e riconoscente, con rinnovato stupore accostiamoci a questa mensa che nutre il nostro cammino di pellegrini e ci fa pregustare i doni rinnovati nel Regno di Dio.

MONIZIONE ALLA LAVANDA DEI PIEDI

Lasciamoci anche noi provocare dal gesto radicale di Cristo, che si fa servo di noi suoi discepoli. Non possiamo aver parte con lui (cf. Gv 13) se non impariamo con lui a servire i nostri fratelli.

INDICAZIONI RITUALI

  • Per le sue caratteristiche di Messa Vespertina, si celebri la Cena del Signore in ore serali, per rispettare la verità del segno (cf. MR p. 137, n. 1).
  • Si curi con particolare solennità l’aspetto festivo dell’altare, vero centro di ogni celebrazione eucaristica e in particolare di questa.
  • Come suggerito dal Messale è opportuno che gli oli benedetti dal vescovo nella Messa Crismale siano presentati e accolti dalla comunità parrocchiale. Questo rito dell’accoglienza degli oli, se non è stato fatto nei giorni precedenti, si compia all’inizio all’inizio della Messa «Cena del Signore». «Il presbitero o i ministri portano le ampolle degli oli benedetti durante la processione d’ingresso e, giunti all’altare, le depongono sulla mensa. Il presbitero che presiede, secondo l’opportunità, le incensa insieme all’altare stesso. Quindi, dopo il saluto, prima di introdurre la liturgia del giorno, dice alcune brevi parole sull’avvenuta benedizione degli oli e sul suo significato, e poi depone le ampolle nel luogo adatto loro riservato» (MR p. 133).
  • «La lavanda dei piedi, che per tradizione viene fatta in questo giorno ad alcune persone scelte, sta a significare il servizio e

la carità di Cristo, che venne “non per essere servito, ma per servire”. È bene che questa tradizione venga conservata e spiegata nel suo significato proprio». (Paschalis Sollemnitatis, n. 51). Dove motivi pastorali consigliano di vivere questo rito, esso non è e non deve diventare il momento più importante della celebrazione; è bene quindi evitare di trasformarlo in una sacra rappresentazione teatrale, conservando quella sobrietà propria della liturgia romana e richiesta da un così forte gesto.

«Coloro che tra il popolo di Dio sono stati scelti per questo rito vengono accompagnati dai ministri alle sedie preparate in un luogo adatto. Il sacerdote (deposta, se necessario, la casula) si porta davanti a ciascuno di essi e, aiutato dai ministri, versa dell’acqua sui loro piedi e li asciuga» (MR p. 138, n. 11). Essendo quindi un rito fortemente simbolico ed evocativo, per il suo corretto svolgimento non sono necessarie 12 persone ma ne basta anche un numero più piccolo.

  • La processione delle offerte per la celebrazione eucaristica è vivamente consigliata, in questo giorno. Per il canto si considerino le proposte del Messale Romano (MR p. 139, n. 14). Si curi che, oltre a portare il necessario per la celebrazione, non manchi un gesto concreto di attenzione ai poveri. Va ricordato che tali offerte vanno disposte fuori dalla mensa eucaristica.
  • Il presidente è invitato in questo particolare giorno a far entrare la comunità nello spirito della Preghiera Eucaristica, da proporre in alcune in canto (Prefazio, Racconto Istituzionale, Acclamazione al Mistero della Fede, Dossologia). Come formulario anaforico si prediliga il Canone Romano (pp. 142- 148). L’acclamazione al mistero della fede potrà essere «Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice».
  • Per gli infermi che ricevono la Comunione in casa, è opportuno che l’Eucaristia, presa dalla mensa dell’altare al momento della Comunione, sia portata a loro dai diaconi o accoliti o ministri straordinari, perché possano così unirsi in maniera più intensa alla Chiesa che celebra (cf. MR p. 148, n. 33).
  • Particolare attenzione viene data oggi al luogo dove si ripone la Santa Eucaristia. A questo proposito, è sempre bene richiamare alcune preziose indicazioni: «Il Sacramento venga custodito in un tabernacolo chiuso. Non si può mai fare l’esposizione con l’ostensorio. Il tabernacolo o custodia non deve avere la forma di un sepolcro. Si eviti il termine stesso di “sepolcro”: infatti la cappella della reposizione viene allestita non per rappresentare “la sepoltura del Signore”, ma per custodire il pane eucaristico per la comunione, che verrà distribuita il venerdì nella passione del Signore. Si invitino i fedeli a trattenersi in chiesa, dopo la messa nella cena del Signore, per un congruo spazio di tempo nella notte, per la dovuta adorazione al santissimo sacramento solennemente lì custodito in questo giorno. Durante l’adorazione eucaristica protratta può essere letta qualche parte del Vangelo secondo Giovanni» (Paschalis Sollemnitatis, nn. 55- 56).
  • Per lo svolgimento della processione al luogo della reposizione, si segua quanto indicato dal Messale Romano a p. 149, nn. 36- 43.

GIOVEDÌ SANTO MESSA DELLA CENA DEL SIGNORE

La Messa della Cena del Signore apre la celebrazione del Triduo Pasquale. Non è semplicemente il primo momento, è prendere parte alla scelta del Crocifisso Risorto di generare, nel suo legame agapico con i discepoli, una relazione sacramentale: più forte della morte, più forte del peccato. Il rendersi sacramento di carità del Figlio è il mistero a cui prendiamo parte. Non si tratta allora semplicemente di ripercorrere i momenti della permanenza di Gesù a Gerusalemme, fino alla sua Pasqua, quanto di prendere parte alla sua scelta di fare della memoria di lui una esperienza sacramentale, ovvero la possibilità di una contemporaneità spirituale e di fede con il Risorto e le sue vicende evangeliche.

Il Messia Crocifisso Risorto conosce bene la struttura di popolo, che è la memoria, come relazione con Dio. E pone in essa la sua presenza.

I vangeli ci raccontano di quando Gesù, insegnando il Regno di Dio e il farne parte, si è reso presenza (non solo simbolica – spirituale) nei poveri e negli ultimi, nei carcerati e nei rifiutati, nelle vittime e nei deboli, aggiungendo che ogni volta che avessimo dato loro anche solo un bicchiere d’acqua in verità lo avremmo dato a lui.

I poveri, memoria e presenza di lui nella storia come tempo favorevole di carità. Lo stesso ha fatto poi con i bambini e con i discepoli. Ha posto in loro la sua presenza. Il buon ladrone, ultimo discepolo, quasi restituendogli allo stesso modo le sue parole, gli ha chiesto, nella condizione di con-crocifisso, di ricordarsi di lui nel suo regno. Ed è a lui che Gesù propone per la prima volta in una relazione nuova, pasquale, di sequela, non più “dietro a me”, ma «con me».

Lo stesso ha fatto il Maestro con la Parola, in cui ci ha chiesto di rimanere in lui con il pane e il vino, perché resi sacramento della sua presenza e del suo amore. A questo legame di parola, di pane e di vino, Gesù pone la promessa del per sempre. La scelta di Gesù di rendersi sacramento, presenza, tra di noi e di poter vivere ancora e per sempre di lui, fino alla fine della storia, è il cuore della celebrazione di oggi.

Il Vangelo ci pone nella scelta gesuana del gesto della lavanda dei piedi, memoria per noi del lavacro del battesimo e segno del suo amore totale di carità per i suoi discepoli.

Il primo momento di sintonia spirituale con il Maestro, è guardare con stupore come nel legame di libera obbedienza al Padre egli scelga di porvi “i suoi” come amati, sino alla fine. “Padre mio” e “suoi discepoli” diventano le due relazioni a cui il Figlio guarda allo stesso modo come amati sino alla fine.

Lo stupore qui fa esperienza del vero amore del Figlio per il Padre e per i discepoli, ovvero dello Spirito Santo, del nexus amoris. È in questo legame di Spirito che il Figlio può rendere il suo tempo, che è preghiera, sacramento. È grazie allo Spirito che il suo amare diventa sacramento. Ovvero diventa dono, grazia e santità.

La ritualità agapica della carità, descritta e donata dalla scena della lavanda dei piedi, ci fa pensare alla lavanda di lacrime a casa di Simone il lebroso, che una donna ha fatto a Gesù (Mt 26,6-13; Mc 14,3-9), e alla lavanda di profumo fatta a casa di Lazzaro, dalla sorella Maria. Donne lodate direttamente da Gesù per la santità del loro gesto, di fronte all’ipocrisia della tavola di Simone o alla malafede dei discepoli a Betania. Qui stavolta è Gesù stesso che si pone a lavare i piedi ai suoi discepoli.

I verbi che descrivono i gesti raccontano la kenosi del Figlio, narrano la sua umiltà, la sua nudità di carità. Adamo alle origini si vergognò della sua nudità a causa di un conoscere per i peccati, qui il Figlio restituisce alla spogliazione delle vesti la nudità a causa dell’amore, nudità che si compirà sul legno della croce. L’uomo è riscattato nella santità agapica della sua carne nuda.

La assemblea che vede e vive i gesti della lavanda sperimenta le misure dell’amore di Dio per noi. È un gesto che genera stupore e gratitudine. È l’umiltà di Dio. È la nudità di Dio. Infine, il Vangelo si chiude con una delle esperienze più belle e generative della testimonianza: il valore dell’esempio. È l’esempio che ci permette e ci spinge a fare allo stesso modo, a vivere come lui, e non solo in lui, ad essere altri Cristo. Per questo si è reso sacramento, perché la grazia ci permettesse di essere come lui, di diventare sua memoria. Egli, per sempre, dimorerà in ciò che diciamo e facciamo in memoria di lui, e la renderà sua presenza viva e contemporanea tra di noi.

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