Card. Gianfranco Ravasi – Chiamata e risposta

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«Ci sono persone che parlano un momento prima di pensare». Questa battuta fulminante – ininterrottamente confermata a livello politico ma anche nella quotidianità di tutti noi – è nell’opera intitolata Caratteri di uno scrittore moralista francese del Seicento, Jean de la Bruyère. L’abbiamo citata perché vorremmo dare rilievo ora a una parola comune che spesso è usata senza pensarci troppo: è il verbo “chiamare”. Un termine inflazionato da quando esistono i cellulari: le “chiamate” sono quasi continue, anche per comunicare banalità o semplicemente la vacuità.

In realtà questo vocabolo alla sua base ha un valore rilevante ed è per questo che costella le pagine della Bibbia nelle due lingue usate, l’ebraico e il greco. Un certo valore ha anche la statistica (e con essa vogliamo pure insegnare ai nostri lettori due parole delle lingue bibliche): “chiamare” in ebraico si dice qara’ e risuona 876 volte nell’Antico Testamento, mentre in greco è kaléo che nel Nuovo Testamento è presente 148 volte.

Una curiosità: qara’ significa anche “proclamare”, cioè “chiamare” l’attenzione in modo forte e incisivo; ebbene, gli Ebrei definiscono la Bibbia miqra’, cioè “proclamazione, lettura” solenne della Parola di Dio (vocabolo che deriva da qara’), e il libro sacro musulmano è Qur’an, “Corano”, che contiene la stessa radice verbale appartenente pure all’arabo e che ha un identico significato. La Parola divina, quindi, “chiama” interpellando orecchie e cuori.

Abbiamo voluto fare questa lunga divagazione da vocabolario per ritornare sul tema che sarà il filo conduttore della nostra rubrica, cioè la «vocazione». Come sappiamo, sarà anche una componente fondamentale del soggetto che verrà trattato nel Sinodo dei vescovi del prossimo anno, ossia «il discernimento vocazionale» dei giovani. Ebbene, la vocazione è una «chiamata» che parte da una «voce», ed è per questo che abbiamo voluto sottolineare quei due verbi biblici. Cerchiamo ora di illustrare sinteticamente la struttura di questa esperienza umana, esistenziale e spirituale.

Come per ogni «chiamata» anche banale, in azione ci sono due soggetti e quindi due verbi; c’è chi chiama e c’è chi risponde (anche il negarsi è una forma di risposta). Nella visione religiosa colui che per primo fa udire la sua voce è Dio. La sua chiamata primordiale è all’essere e all’esistere. Basti solo leggere le prime righe della Genesi: «Dio disse: Sia la luce! E la luce fu» (1,3). Ed ecco fiorire tutto il creato. Poi «Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine… E Dio creò l’uomo a sua immagine» (1,26-27). Per la creatura umana, però, c’è un’altra chiamata oltre all’esistere, ed è quella che riguarda il suo progetto di vita, una «vocazione» diversa per la storia di ciascuno di noi.

A questo punto deve scattare la nostra risposta che – a differenza di quella delle altre creature che obbediscono a leggi fisiche obbligatorie – dev’essere libera e, perciò, può comprendere anche il rifiuto. Scopriremo, così, che anche figure bibliche altissime come Mosè o Geremia furono tentate di adottare il rigetto della loro vocazione, respingendo al mittente divino la chiamata. Altri, invece, come Abramo, non ebbero la minima esitazione e imboccarono la via anche ardua che il Signore indicava loro.

Fonte: Famiglia Cristiana