Card. Gianfranco Ravasi – Non una testa piena ma ben fatta

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Siamo alle soglie dell’apertura dell’anno scolastico. Nella nostra traiettoria sulla vocazione c’è spazio per una sosta di rifl‹essione su un tema connesso intimamente con la scelta di vita, cioè l’educazione. Citiamo due ˜figure distanti tra loro millenni, ma che coincidono su un punto. Da un lato, il celebre fi˜losofo greco Platone che dichiarava: «L’impronta iniziale che uno riceve nell’educazione segna tutta la sua condotta successiva». D’altro lato, il nostro Massimo d’Azeglio che nel 1867 scriveva: «Tutti siamo di una stoffa nella quale la prima piega non scompare mai più».

È la conferma del rilievo oggettivo che ha la formazione iniziale nella famiglia, nella scuola, nella comunità ecclesiale. Ai nostri giorni accade spesso che alla bulimia tecnologico-informatica corrisponda un’anoressia di contenuti. Un altro grande pensatore, il francese Montaigne, nel Seicento, osservava che «la preoccupazione e l’investimento degli educatori non deve mirare solo ad arredare la testa di conoscenze, bensì a sviluppare la capacità di giudizio e la virtù», così da avere «piuttosto che una testa piena, una testa ben fatta».

È noto che nella Bibbia – sia pure coi condizionamenti di quei tempi – è la sapienza a offrire una serie di insegnamenti e di esempi: così il libro dei Proverbi è spesso modellato sul dialogo tra padre/maestro e ˜figlio/discepolo, con l’impegno di intrecciare intelligenza e saggezza, conoscenza e morale, pedagogia e religione. Una funzione rilevante nella vocazione personale è esercitata proprio dalla guida spirituale. Un importante esegeta, Walter Zimmermann, affermava che «ogni educazione di cui parla la Bibbia è, in ultima analisi, una chiamata all’ascolto di Dio, un Dio che si è reso udibile all’uomo» e spesso attraverso un educatore.

La chiamata passa spesso attraverso la voce di una persona saggia e fraterna: pensiamo al sacerdote Eli nei confronti del giovane Samuele ( 1Samuele 3) o ad Anania dopo la conversione di Paolo (Atti 9,10-19). Anzi, Dio stesso si presenta talora come un soggetto educante, un tema tipico del libro del Deuteronomio e dei profeti. Anche qui solo un paio di esempi: «Riconosci in cuor tuo che, come un padre corregge il ˜figlio, così il Signore, tuo Dio, corregge te» (Deuteronomio 8,5); «Invano ho colpito i vostri fi˜gli ma non hanno imparato la lezione… Lasciati correggere, o Gerusalemme, perché io non mi allontani da te» (Geremia 2,30; 6,8).

Per il discernimento vocazionale è, dunque, importante l’ascolto del Maestro divino e del maestro umano. Solo così, «non saremo più fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quell’astuzia che trascina all’errore. Agendo, invece, secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo» (Efesini 4,14-15). Anche il ragazzo Gesù ha vissuto questa esperienza: «Cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Luca 2,52).

Concludiamo con una testimonianza classica, quella del commediografo latino Terenzio (II sec. a.C.): «È meglio educare facendo leva sulla comprensione piuttosto che sul timore del castigo. Il dovere di un padre è abituare il fi˜glio ad agire bene e a trovare la sua strada, più che per obbligo degli altri. In ciò differisce il padre dal padrone».

Articolo pubblicato su Famiglia Cristiana