Basta offendere la croce sulle cime

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«Ciascuno sale in montagna per ragioni diverse, ma le croci vanno rispettate». Simone Moro, alpinista fra i più famosi al mondo, interviene nell’annoso dibattito sull’opportunità o meno delle croci di vetta che numerose punteggiano le Alpi e non solo. Simboli amati ma anche detestati, che di tanto in tanto finiscono per essere oggetto di vandalismo.

L’ultimo episodio, con la croce divelta e la statua della Madonna decapitata, risale a poco più di venti giorni fa sulla Grigna meridionale, una delle cime più note della Lombardia, molto amata anche dal famoso gruppo alpinistico dei Ragni di Lecco. Esclusa la causa intemperie – «Il vento non provoca simili scempi», ha commentato il presidente del Cai di Ballabio, Giuseppe Orlandi – le polemiche si sono subito accese. Le croci in vetta hanno un valore cristiano, storico e culturale oppure rovinano il paesaggio e impongono una sensibilità religiosa sul territorio di uno Stato laico? «Invadente e opprimente il voler “etichettare” la bellezza e la spiritualità della montagna con la religione», «Deturpano il territorio, bisogna toglierle», ma anche «Segno divino? Segno dei tempi? Probabilmente, segno d’idiozia», i commenti su forum e social network.

«Sono credente e non mi vergogno affatto a dirlo. Concordo sul non posizionare nuove croci in montagna, ce ne sono già tante, ma certo non sento di dover fare una battaglia per togliere quelle che ci sono», riprende l’alpinista, che il 27 ottobre festeggia 50 anni coronati da imprese come la prima assoluta in invernale sul Nanga Parbat (8.126 metri) dello scorso anno. «Non le sento come una violazione dell’ambiente, anzi. Mi fa riflettere papa Francesco, che ha aperto Porte sante dove non ce lo si sarebbe aspettato. Chiamiamo Dio in maniera diversa ma il desiderio è lo stesso, anche per chi non crede: è la necessità di assoluto, di sentire che c’è qualcosa di più grande».

Fra chi pensa che in cima alle montagne non debba esserci nulla, chi solo ometti di pietra come segnavia, chi simboli di qualsiasi fede, il dibattito sui simboli in quota di tanto in tanto si riaccende. O prende fuoco come nel 2005, quando quattro alpinisti valtellinesi portarono una statua di Buddha – del peso di 20 chilogrammi – in cima al pizzo Badile (3.300 metri). La statua rimase lì due anni, poi fu ritrovata a pezzi sulle cenge sottostanti.

«Chiarisco che non sono un “ciucia candele”, un bigotto, e non mi interessa la fede d’apparenza. Però le cime che oggi salgo hanno, al 50 per cento, anche le bandierine tibetane e nessuno si offende. Se vuoi fare una foto senza la croce, basta non inquadrarla», dice ancora Simone Moro. «Quasi ogni giorno raggiungo di corsa la croce sul Canto Alto, monte poco distante da Bergamo. È alta 33 metri e l’hanno portata su a spalla: certo la sua presenza non mi dà fastidio, anzi mi piace ricordare lo sforzo di chi l’ha costruita».

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