Alberto Maggi – Commento al Vangelo di domenica 25 Aprile 2021

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Commento video al Vangelo di domenica 25 Aprile 2021 a cura di p. Alberto Maggi OSM

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IL BUON PASTORE DÀ LA PROPRIA VITA PER LE PECORE

Nel libro del profeta Ezechiele, nel capitolo 34, c’è un rimprovero da parte del Signore contro i pastori del suo popolo, perché? Perché non lo fanno per amore, lo fanno per il proprio interesse, non proteggono le pecore, ma addirittura le sfruttano. Allora il Signore li minaccia, “Io vi toglierò il gregge, ne prenderò io stesso la cura”. È quello a cui si riferisce Gesù in questo brano che la liturgia ci presenta oggi; è il capitolo decimo, dal versetto undicesimo, del vangelo di Giovanni. Gesù afferma “Io sono il buon pastore”, “Io sono” è il nome divino, quindi Gesù rivendica la pienezza della condizione divina; “il buon pastore”, il termine “buono” non si riferisce alla bontà di Gesù per il quale l’evangelista adopererà un altro vocabolo, ma alla sua eccellenza, alla qualità. Quindi significa “il pastore vero”. Gesù afferma di essere lui il pastore annunciato da Dio nel libro del profeta Ezechiele e quindi questo annuncio non è che era tanto atteso, era temuto perché gli altri pastori capiscono che per loro è la fine.

E Gesù ha il distintivo per riconoscere chi è il vero pastore, perché lui “dà la vita per le proprie pecore”. Questo dono della vita non nasce da un pericolo delle pecore, ma lo precede; questa è la caratteristica di Gesù con i suoi.

E poi Gesù passa ai mercenari che non sono dei cattivi pastori, non lo sono per niente, sono dei mercenari, sono quelli che lo fanno per interesse. Quindi Gesù contrappone il vero pastore che si distingue per la generosità, gli altri che invece si distinguono per la loro convenienza; tutto quello che fanno è per la loro convenienza.

Io sono il buon pastore” – torna a ripetere Gesù – “conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”, è una dinamica di amore ricevuto e amore comunicato che rende possibile nelle “pecore”, che naturalmente sono un’immagine del popolo, la stessa trasmissione della vita divina che c’è tra Gesù e il Padre. Infatti continua Gesù “Come il Padre conosce me, io conosco il Padre e io do la mia vita per le pecore”. Di nuovo Gesù afferma che lui dà la vita, di nuovo Gesù afferma che il dono generoso della sua vita non dipende da un pericolo dei suoi, ma addirittura lo precede. Questa è la costante della presenza del Signore all’interno.

Poi Gesù fa un annuncio “Ho altre pecore che non provengono da questo recinto”. Già in precedenza Gesù aveva detto che la sua funzione di pastore era quella di far uscire le pecore dal recinto, ma non poi per richiuderle, per liberarle. Il recinto, se da una parte proteggere, però dall’altra ti toglie la libertà; allora con Gesù tutto questo è finito, è finita l’epoca dei recinti, per quanto sacri possano essere. Dice allora Gesù che “Altre pecore che non provengono da questo recinto, anche quelle io devo guidare”. Il verbo “dovere” indica un imperativo della volontà divina, “ascolteranno la sua voce”, perché ascoltano la sua voce? Perché nella voce di Gesù ogni uomo sente la risposta al proprio desiderio di pienezza di vita.

E diventeranno”, qui letteralmente l’evangelista scrive “un gregge, un pastore”, non c’è la congiunzione “un gregge e un pastore”; la presenza del gregge comporta quella di un pastore. La comunità di Gesù, con la presenza di Gesù, è l’unico vero santuario dal quale si irradia, si manifesta il suo amore, la sua misericordia, la sua compassione, e prende il posto del tempio. Ma qual è la differenza? Mentre al tempio erano le persone che dovevano andare, qui c’è un gregge, un pastore, quindi c’è una dinamica di movimento che va verso le persone, verso tutti quanti hanno bisogno di questo amore, di questa compassione e di questa comprensione. Questo è il distintivo di Gesù quale pastore vero della sua comunità.