LA GENEALOGIA
con cui Matteo
inizia il vangelo,
più teologica che storica,
ha un solo obiettivo:
fare memoria della fedeltà di Dio per il suo popolo.
Dal primo cercatore di Dio,
Abramo, fino a Gesù,
Dio desidera intrecciare
un rapporto con l’umanità.
E quell’elenco ci apre allo stupore:
nomi noti di fianco
a perfetti sconosciuti,
grandi santi accanto a filibustieri,
ebrei e stranieri
nella stessa lista…
Dio non fa preferenze,
non sceglie i bravi ragazzi,
si allea con le persone concrete,
si rende presente
nelle loro storie
più o meno edificanti…
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Ripensiamo, oggi,
alla nostra piccola storia,
a come tutto ci abbia portato
a conoscere il Signore!
Non solo una lista di nomi.
I primi diciassette versetti
del Vangelo di Matteo
contengono una lunga
lista di nomi.
Vogliono raccontare
una genealogia
che inizia da Abramo,
nostro padre nella fede,
e giunge fino a Cristo,
della stirpe di Davide.
É difficile per chi non è assuefatto al linguaggio biblico comprendere che dentro ogni nome è contenuta una storia, apparentemente slegata l’una dall’altra:
storia di ansie e di dolori,
di santità e di tradimenti,
di attese e di speranze,
che risultano alla fine,
in una visione teologica
della storia,
tutte incollate ad un approdo,
ad un tempo,
ad un evento e soprattutto
ad una persona,
alla persona del Cristo.
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I disegni di Dio
hanno i propri percorsi,
si insinuano nelle vicende
degli uomini, sembra
talvolta ne risultino
sconvolti e distorti,
ma alla fine la conclusione
nella fede è sempre la stessa:
“quello che il Signore vuole,
Egli lo compie in cielo
e sulla terra”.
Dio è Signore della storia
e ad ogni Natale
tale realtà rifulge
di particolare evidenza.
Quando le nostre storie
sembrano calare
a precipizio negli abissi del male, dovremmo
ricordarci del Dio che salva,
che interviene,
che redime le nostre vicende,
anche le peggiori.
Nella società patriarcale
dei Giudei,
le genealogie indicavano
solo nomi degli uomini.
Sorprende il fatto che Matteo indichi anche il nome
di cinque donne
tra gli antenati di Gesù:
Tamar, Raab, Ruth, Bezabea
(la moglie di Uria) e Maria.
Perché Matteo sceglie
precisamente
queste quattro donne
per compagne di Maria?
Nessuna regina,
nessuna matriarca,
nessuna delle donne
lottatrici dell’esodo: perché?
È questa la domanda che
il vangelo di Matteo lascia
nella nostra testa.
Nella vita delle quattro donne compagne di Maria
c’è qualcosa di anormale.
Tutte e 4 sono straniere,
concepiscono i loro figli
fuori dei canoni normali
e non soddisfano le esigenze
delle leggi della purezza
del tempo di Gesù.
Tamar, una Cananea, vedova,
si veste da prostituta
per obbligare il patriarca Giuda
ad essere fedele alla legge
e a dargli un figlio (Gen 38,1-30).
Raab, una Cananea di Gerico,
era una prostituta che
aiutò gli Israeliti ad entrare
nella Terra Promessa (Gs 2,1-21).
Ruth, una Moabita, vedova, povera, scelse di rimanere
accanto a Noemi e di aderire
al Popolo di Dio (Rt 1, 16-18).
Prese l’iniziativa di imitare Tamar
e di andare a passare la notte nell’aia, insieme a Booz, obbligandolo ad osservare
la legge e a dargli un figlio.
Dalla relazione tra i due
nasce Obed,
antenato del re Davide
(Rt 3,1-15; 4,13-17).
Bezabea, una Hittita,
moglie di Uria, fu sedotta,
violentata e messa incinta
dal re Davide,
che oltre a questo, ordinò di uccidere il marito della donna (2Sam 11,1-27).
Il modo di agire
di queste quattro donne
non concordava
con le norme tradizionali.
Intanto, furono queste
le iniziative poco convenzionali
che dettero continuità
alla stirpe di Gesù e
portarono a tutto il popolo
la salvezza di Dio.
Tutto ciò ci fa pensare
e ci interpella
quando diamo troppo valore
alla rigidità delle norme.
Il calcolo di 14 generazioni
(Mt 1,17)
ha un significato simbolico.
Tre è il numero della divinità.
Quattordici è il doppio di sette.
Sette è il numero perfetto.
Per mezzo di questo simbolismo
Matteo esprime la convinzione dei primi cristiani secondo cui Gesù apparve nel tempo stabilito da Dio.
Con il suo arrivo la storia raggiunge la sua pienezza.
Per gentile concessione di p. Ermes, fonte.
