p. Fernando Armellini – Commento al Vangelo del 21 Dicembre 2025

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Padre Fernando Armellini, biblista Dehoniano, commenta il Vangelo di domenica 21 dicembre 2025.
Se sei interessato a tutti i sui commenti al Vangelo, puoi leggerli qui.

IV Avvento: Gesù, il “Dio con noi”

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Il figlio della vergine Maria ha un doppio nome: quello usato dai suoi contemporanei – Gesù, colui che libera dai peccati – e quello che gli attribuisce l’evangelista Matteo – Emmanuele, Dio con noi.

La prima grande eresia venne introdotta da un brillante dialettico del IV secolo, Apollinare di Laodicea: sosteneva che Gesù aveva sì un corpo umano, ma non un’anima come la nostra. Temeva che, accordandogli una piena umanità, ne uscisse offuscata la sua divinità. Gli faceva un grave torto: lo allontanava dal nostro mondo, dalla nostra condizione; gli sottraeva il secondo nome, quello di Emmanuele.

Nell’espressione di Giovanni la Parola si è fatta carne (Gv 1,14), il termine carne non indica solo la corporeità, ma tutto l’essere umano inteso nel suo aspetto di debolezza, di fragilità, di limiti che derivano dal fatto di essere creatura.

In Maria, l’Unigenito del Padre non si è soltanto rivestito di muscoli, ma si è inserito pienamente nella nostra condizione umana.

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Ha provato i nostri sentimenti, le nostre emozioni, le nostre passioni; ha sperimentato le gioie degli affetti e la delusione dei tradimenti; ha condiviso le nostre ansie, i nostri dolori e le nostre umiliazioni, la nostra ignoranza, la nostra soddisfazione nell’apprendere e anche la nostra paura di fronte alla morte.

Non si è unito a un “vero corpo”, ma è divenuto “realmente uomo”, in tutto come noi, tranne che nel peccato. Per questo è Emmanuele, Dio con noi.

Per interiorizzare il messaggio, ripeteremo:
“Sei venuto tra noi, Signore, per rimanere sempre con noi”

Vangelo (Mt 1,18-24)

18 Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. 20 Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. 21 Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”.
22 Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 23 “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele”, che significa Dio con noi. 24 Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

“Ecco come avvenne la nascita di Gesù”. Così inizia il brano evangelico di oggi, ma invece di parlare della nascita, racconta l’annuncio a Giuseppe della maternità verginale della sua sposa.

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Luca, a differenza di Matteo, narra l’annuncio dell’arcangelo Gabriele a Maria e ricorda solo marginalmente Giuseppe.

La tentazione di fondere i due racconti, come se fossero reportage di due giornalisti, è grande, ma è pericolosa: ci colloca inevitabilmente di fronte a interrogativi cui è arduo, se non impossibile, dare una risposta, come tra poco vedremo.

Sia Luca, sia Matteo fanno riferimento a fatti reali, anche se difficilmente definibili nei dettagli, ma non scrivono pagine di cronaca, fanno teologia: presentano Gesù come, dopo la Pasqua e alla luce dello Spirito, le comunità cristiane della fine del I secolo sono giunte a conoscerlo.

Vediamo come Matteo struttura il suo racconto e quale messaggio vuole dare.

Al tempo di Gesù il matrimonio avveniva in due tappe. La prima consisteva nel contratto stipulato fra i due sposi davanti ai genitori e a due testimoni; dopo questa firma, il ragazzo e la ragazza erano marito e moglie, ma non andavano a convivere, lasciavano trascorrere ancora un anno, durante il quale non si potevano incontrare.

Questo intervallo serviva alle due famiglie per una migliore conoscenza e ai due sposi per maturare: ci si sposava infatti molto giovani, 12-13 anni la ragazza, 15-16 il ragazzo. Questa doveva essere l’età di Maria e Giuseppe.

Passato l’anno di attesa, veniva organizzata una festa, la sposa era condotta alla casa del marito e i due iniziavano la vita in comune.

Fu durante questo intervallo che ebbe luogo l’annunciazione a Maria e la sua gravidanza per opera di spirito santo.

Matteo mette in risalto questo fatto fin dall’inizio del suo racconto, per evitare che si insinui il dubbio che Gesù sia stato generato per l’intervento di un uomo.

Lo spirito, in questo racconto, non rappresenta l’elemento maschile (ruah- spirito in ebraico è femminile), indica una forza, un soffio divino creatore. “Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra” – dice il salmista (Sal 104,30) che pensa probabilmente allo spirito di Dio che aleggiava sulle acque all’inizio del mondo (Gn 1,2).

Il concepimento verginale, che è ricordato esplicitamente anche da Luca (Lc 1,26-39), non ha lo scopo di sottolineare la superiorità morale di Maria, né, ancor meno, costituisce un deprezzamento della sessualità. È introdotto per “rivelare” una verità fondamentale per il credente: Gesù non è unicamente uomo, egli viene dall’alto, è lo stesso Signore che ha assunto forma umana. Per farci comprendere questa verità, affermano concordi Matteo e Luca, Dio è ricorso a un atto creativo.

Ciò che è successo in seguito non è facile da stabilire e solleva parecchi interrogativi. Appare incredibile che Giuseppe, nonostante la sua rettitudine, pensi di prendere provvedimenti drastici nei confronti di Maria, senza neppure averla consultata. Come poteva sospettare che gli fosse stata infedele? In che senso Giuseppe era “giusto”: forse perché voleva separarsi da Maria? Non c’era alcuna legge che obbligasse a divorziare dalla moglie infedele. Del resto non sarebbe stato un bel gesto quello che Giuseppe stava per fare, anche se veniva compiuto “in segreto”. Come mai Maria non ha detto nulla a Giuseppe dell’annuncio che aveva avuto dall’arcangelo Gabriele? Oppure, se glielo ha detto, perché Giuseppe non le ha creduto?

A queste domande qualcuno risponde: Maria deve aver detto al suo sposo che il figlio che aspettava veniva da Dio; non avrebbe avuto alcun motivo di mantenere il segreto su un fatto che egli era in diritto di sapere. Il dubbio di Giuseppe allora non verterebbe sulla fedeltà o infedeltà della sposa, ma sul suo ruolo in questo avvenimento straordinario. Come avrebbe potuto dare il nome a un figlio non suo? Non sarebbe stata un’intromissione indebita nel progetto di Dio? Non sapendo come comportarsi, aveva pensato di tirarsi in disparte e attendere che Dio gli facesse conoscere la sua volontà.

Mentre egli andava meditando queste cose, il Signore gli rivelò il suo progetto e la missione alla quale lo chiamava: doveva dare il nome a Gesù; così il figlio di Maria sarebbe entrato di diritto nella sua famiglia, sarebbe divenuto discendente di Davide “secondo la carne”, come ha detto Paolo nella seconda lettura.

Questa spiegazione è interessante e contiene elementi sicuramente accettabili – come, per esempio, il fatto che Giuseppe sia chiamato “giusto”, perché aveva deciso di farsi da parte per non frapporre ostacoli al piano di Dio che non riusciva a capire – ma ha il limite di essere una supposizione alla quale il testo evangelico dà solo un fragile fondamento.

È meglio non tentare di trovare nel vangelo risposte a interrogativi, che noi legittimamente ci poniamo, ma che a Matteo non interessavano.

Egli non era preoccupato di darci informazioni o di soddisfare le nostre curiosità. L’unica cosa che gli premeva era che ci rendessimo conto che il figlio di Maria era l’erede del trono di Davide, promesso dai profeti.

La conclusione del racconto è solenne. Tutto il brano sembra sia stato scritto per dimostrare l’adempimento di ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi” (vv. 22-23).

Abbiamo già visto qual era il significato letterale di questa profezia: l’annuncio della nascita del figlio di Acaz, Ezechia. Egli fu realmente un “Emmanuele”, cioè un segno che Dio proteggeva il suo popolo e la dinastia di Davide, ma non rispose a tutte le attese che erano state riposte in lui e nemmeno realizzò le promesse di felicità, di benessere e di pace descritte da Isaia. Non fu “un prodigio di consigliere, un guerriero invincibile, un padre per sempre, un principe della pace…” (Is 9,5-6).

Ecco cosa intende dire Matteo: è Gesù colui che ha adempiuto queste profezie, è lui il figlio della vergine annunciato dal profeta. Egli è realmente l’“Emmanuele” il “Dio con noi”. A lui sarà dato un regno eterno e in lui si compiranno tutte le speranze di Israele.

Siamo all’inizio del vangelo di Matteo. Il tema dell’“Emmanuele” torna anche alla fine del libro. Nell’ultimo capitolo si dice che, dopo la risurrezione, Gesù si manifestò ai suoi discepoli sul monte della Galilea, li inviò nel mondo intero a far discepole tutte le nazioni e aggiunse: “Ecco, io sono con voi (…Ecco io sono l’“Emmanuele”) tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Il richiamo al “Dio con noi” apre e chiude tutta l’opera di Matteo perché – ci dice l’evangelista – in Gesù, Dio si è messo, e rimane per sempre, a fianco dell’uomo.

In questa conclusione del brano ritorna il tema della “vergine”. Abbiamo già spiegato il significato del concepimento verginale di Maria. Vogliamo ricordare altre implicazioni bibliche di questo termine.

Per noi “vergine” significa “ammirevole, degna di stima”. Nella Bibbia invece ha un diverso significato. La verginità di una donna era apprezzata prima del matrimonio, ma colei che rimaneva vergine per tutta la vita mostrava solo l’incapacità di attirare su di sé lo sguardo di un uomo. Degna di lode in Israele era la donna sposata che aveva figli; la vergine era considerata un albero senza frutti, meritevole di commiserazione (Is 56,3-6).

Questo termine ricorre spesso nella Bibbia, in senso figurato, per indicare una condizione spregevole. L’espressione vergine Sion non vuol dire: “Gerusalemme pura, immacolata, senza macchia”, ma “povera, disprezzata, priva di vita” (Ger 31,4; 14,13). La terra d’Israele annientata dagli assiri è paragonata da Amos alla vergine che non ha potuto realizzare il suo sogno di essere madre: “ È caduta, non si alzerà più, la vergine d’Israele; è stesa al suolo, nessuno la fa rialzare” (Am 5,2). Anche Babilonia, la sanguinaria, viene maledetta dal profeta: “Sarai ridotta in polvere, vergine Babilonia” (Is 47,1).

E Maria?… Parla di sé come se fosse la “vergine Sion”, disprezzata e senza valore (“…ha guardato la bassezza, la povertà della sua serva”) e riconosce che tutto quanto è avvenuto in lei è opera del “Potente” che ha fatto in lei grandi cose (Lc 1,48-49).

Maria vergine è la prova della grandezza e della forza dell’amore di Dio, il solo che dall’utero sterile sa trarre la vita.

Quando celebriamo la “verginità” di Maria, ci rallegriamo perché verifichiamo in lei ciò che il Signore sa fare con i “vergini”, con chi non ha valore, con chi può presentargli solo la propria indigenza e la propria semplicità. Da Maria il Signore ha tratto un capolavoro. Un artista come lui sa fare solo capolavori, indipendentemente dalla pochezza e dalla povertà del materiale che ha a disposizione. Ogni uomo è destinato a divenire un suo capolavoro.

In questo tempo di Avvento, Maria vergine invita a contemplare ciò che il Signore ha compiuto in lei e a credere nella vittoria della vita, anche dove si vedono solo segni di morte.

Il termine vergine nella Bibbia assume anche un altro significato metaforico: indica la persona che ama con cuore indiviso.

L’infedeltà di Israele è paragonata a una prostituzione (Ger 5,7); la sua contaminazione con gli idoli è considerata un adulterio, una divisione del cuore fra il Signore, l’unico sposo, e gli idoli delle nazioni, i suoi amanti (Os 2).

La verginità è il simbolo dell’amore totale per il Signore.

È in questo senso che Paolo impiega il termine quando scrive ai corinti: “Io provo per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo” (2 Cor 11,2).

Maria ha certamente realizzato alla perfezione anche questo ideale di verginità.

È, per ogni cristiano, il modello sommo di amore totale e indiviso a Dio.

Nel sito Settimana News sono presenti anche i commenti alla prima e seconda lettura.

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