Commento al Vangelo del 14 Dicembre 2025 – Sussidio Avvento CEI

Domenica 1 Dicembre 2024 I DOMENICA DI AVVENTO - ANNO C
Commento al brano del Vangelo di: Lc 21,25-28.34-36

Data:

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CHIAMATI ALLA GIOIA

(Is 35,1-6.8.10; Gc 5,7-10; Mt 11,2-11)

In questa terza domenica di Avvento la liturgia, nell’avvicinarci alla Solennità del Natale, ci invita a fare un nuovo passo: siamo stati chiamati a un incontro e abbiamo contemplato i tratti stupendi di Colui che andiamo ad incontrare, per questo siamo ora invitati ad aprirci alla gioia. È infatti questo l’atteggiamento profondo che ci viene domandato di assumere, perché sappiamo che Colui che deve venire e che ci ama, è ormai prossimo.

Brano del Vangelo: Mt 11,2-11

Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?
Dal Vangelo secondo Matteo
 
In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

Parola del Signore.

Il deserto può fiorire

Si comincia dal deserto, dal luogo più arido che si conosca (Is 35,1); si comincia da ciò che ha meno possibilità di fiorire (la terra arida, la steppa) e si “ordina”, si “comanda” che proprio questi luoghi entrino nella gioia. Una serie di inviti pressanti, di verbi esortativi/desiderativi, tutti orientati ad esprimere questo sentimento: «si rallegrino», «esulti», «fiorisca», «canti con gioia e con giubilo».

Perché una terra desolata, deserta dovrebbe rallegrarsi e fiorire? E come sarà possibile che questo accada? Pensando alla situazione storica a cui probabilmente questo testo fa riferimento, perché Israele, che è finito in esilio ed è stato ridotto a nulla, dovrebbe gioire? La risposta non risiede nelle logiche umane, ma dev’essere cercata ad un livello ulteriore, nel modo in cui il Dio di Israele conduce la storia, con quel suo “vizio” di cambiare le cose, anche quelle che sembrano impossibili da cambiare (al punto che può far passare dalla morte alla vita). Il Dio di Israele non ha paura del deserto, di nessun deserto, nemmeno dei nostri, delle nostre zone d’ombra, delle nostre aridità, delle nostre invincibili durezze… Anche lì qualcosa di bello e di nuovo può fiorire.

E così il profeta annuncia che il deserto sarà glorioso, cioè bello, come il Libano e come il Carmelo, come la fertile pianura di Sharon. Tutto questo appare assurdo a chi conosce un po’ la geografia della Terra Santa! Non si può immaginare che il deserto di Giuda divenga simile all’Ermon! Eppure il Signore annuncia una condizione nuova, piena di vita, anche per chi non ci poteva sperare.

I credenti sono chiamati ad essere dei testimoni, a vedere con i loro occhi («essi vedranno»; v. 2) non solo «la gloria» (cioè la bellezza) che è data a chi ne era privo, ma a riconoscere in tutto questo la manifestazione della gloria del Signore stesso. Israele deve rallegrarsi, i cristiani devono rallegrarsi (ricordiamo Paolo: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti»; Fil 4,4) in ogni tempo della storia e della vita, non perché sono ingenui, né perché non vedono i problemi reali del mondo, ma perché riconoscono che il Signore si fa vicino. Se il primo “compito” che ci è assegnato consiste nell’entrare nella gioia, il secondo sarà dare coraggio agli altri, sostenere quelli che vacillano perché sono smarriti. L’incoraggiamento deve poter toccare le mani (il fare), le ginocchia (cioè le gambe e quindi il camminare) e il cuore (luogo delle decisioni). Possiamo fare tutto questo non perché noi siamo invincibili (non lo siamo affatto!), ma perché riceviamo forza dal Signore e allora possiamo annunciare a chi è in difficoltà: «Coraggio, non temete! (…) Egli viene a salvarvi» (v. 4).

Intravvediamo in questo breve passo isaiano una stupenda sintesi della nostra vocazione. Ci viene detto che, nel mondo, il credente ha come compito quello di essere un diffusore dei doni di Dio: riceve forza del Signore e la ridona a chi non ce l’ha; riceve amore da Lui e lo trasmette a chi si sente solo, abbandonato; vede che Dio è presente e lo annuncia a chi ancora non lo vede. Dio viene a salvare e la sua presenza cambia la storia dei poveri: ciechi, sordi, zoppi e muti. Due volte, al v. 5, ricorre il verbo «aprire» perché Dio apre tutto quello che chiude, che blocca la nostra vita. E poi ancora, i verbi

«saltare» e «gridare» che dicono l’esplosione di una gioia incontenibile. L’immagine che veicola questa trasformazione è quella dell’acqua che scaturisce nel deserto e con la sua forza porta vita e risana (cfr. Ez 47,1-12; Ap 22,1-2). Impossibile non pensare a come questa profezia si sia compiuta in Gesù, con il suo passare in mezzo alla gente per guarire, incoraggiare, rimettere in piedi tutti coloro che ne avevano bisogno. Il suo amore è quell’acqua che ha portato e continua a portare vita nel deserto di questo mondo assetato.

L’ultima notazione del profeta si concentra su una strada: in questo deserto che fiorisce, spunta un tracciato con un nome molto solenne: «via santa». Su di essa possono tornare a casa, a Sion, quelli che erano lontani (gli esiliati) e che ora vengono chiamati «i riscattati dal Signore». La lettura di Isaia chiude con una serie di sostantivi che, come all’inizio, indicano la gioia, ma aggiunge anche un movimento significativo di allontanamento: la tristezza e il pianto sono sconfitte e devono ormai darsi alla fuga. Il tempo della prova è alle spalle e Dio promette una gioia destinata a durare per sempre. Possiamo fidarci di questo Dio e delle sue promesse?

Il tempo di Dio

La seconda lettura (Gc 5,7-10) ci invita a misurarci con la dimensione del tempo e con la necessità della pazienza. Non sempre la venuta del Signore “accade” quando noi la vorremmo; non sempre i tempi di Dio sono identici a quelli che noi desideriamo o pensiamo. Giacomo chiede quindi ai suoi ascoltatori di diventare simili all’agricoltore che sa bene di non poter “produrre” la pioggia (dovrà riceverla), e di non poter affrettare la maturazione dei frutti del suo terreno. Ci sono processi che devono essere rispettati nel loro svolgersi e che noi possiamo assecondare, questo sì, ma mai forzare. C’è dunque una pazienza da vivere che riguarda il tempo e un’altra che, invece, inerisce alle persone, ai fratelli con cui condividiamo la vita e che siamo chiamati a non giudicare perché il giudizio compete ad un Altro.

Sei tu?

In questo contesto di attesa e di pazienza si inserisce perfettamente anche la domanda del Bat-

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tista che ascoltiamo nel Vangelo odierno (Mt 11,2-11): «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Il Signore Gesù ha dato inizio al suo ministero pubblico e, nel contempo, Giovanni è stato arrestato. Dal carcere, forse presagendo di non avere davanti a sé una lunga vita (cfr. Mt 14,312) vuole sapere se il tempo dell’attesa per Israele può essere considerato concluso. Ha sentito parlare di ciò che il Nazareno opera in mezzo alla gente ma, come spesso accade anche a noi, ha bisogno di una parola chiarificatrice. Gesù, in questo caso, non si sottrae alla domanda, perché riconosce la rettitudine dell’interlocutore, a differenza delle molte situazioni in cui gli interrogativi erano pensati come un tranello (cfr. ad es. Mt 19,3; 22,35). Nello stesso tempo non dà una risposta che liberi dalla fatica della ricerca e dell’adesione personale, ma offre elementi perché sia lo stesso Giovanni a comprendere e a “decidere” se dare o meno credito a questo strano predicatore.

Gli elementi che Gesù offre sono tratti, per lo più, da una serie di profezie di Isaia (cfr. ad es. Is 26,19; 29,28-29; 35,5-6; 42,7.18; 61,1), tra cui anche il testo della prima lettura di questa domenica. Il Signore mette di fronte agli occhi del Battista, realizzato nella sua persona, il compimento di ciò che Israele attendeva: guarigione, resurrezione dai morti e annuncio della buona notizia. E aggiunge:

«Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». Questa beatitudine attira l’attenzione del lettore. Non basta vedere, a quanto pare, perché molti hanno visto le stesse opere realizzate dalle sue mani ma, come ci attestano i Vangeli, non tutti hanno creduto e, anzi, molti si sono posti decisamente contro di Lui. Una beatitudine viene dunque dedicata a chi sceglie una particolare posizione di fronte a Gesù, cioè quella dell’accoglienza incondizionata della sua persona. Al Battista, come ad ognuno di noi, è donata la responsabilità di scegliere se entrare o meno in questa gioia.

Una volta partiti i messaggeri, la prospettiva viene ribaltata: non più qualcuno che vuole sapere di Gesù, ma Gesù stesso che consegna un identikit del Battista. Egli è sostanzialmente definito come un profeta e, più precisamente, come il messaggero inviato davanti al Signore (Ml 3,1), colui che è stato chiamato ad una missione unica nel corso della storia. Da un lato, umanamente parlando, nessuno potrà mai svolgere compito più importante (precedere il Messia), ma dall’altro, una volta inaugurato il Regno dei cieli, tutti coloro che gli appartengono godono di una posizione migliore di Giovanni, perché sono discepoli ricolmi dei doni del Maestro. Come potremo dunque proprio noi sottrarci all’invito alla gioia che Isaia ci ha rivolto?

Commento al Vangelo tratto dal sussidio CEI Avvento/Natale 2025, scarica il file PDF completo.

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