Carlo Miglietta – Commento alle letture di lunedì 8 Dicembre 2025

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Maria, la bellissima per grazia

La prima Lettura ci ricorda che il peccato è una realtà drammatica: allontanandosi da Dio, l’uomo perde la sua familiarità con Lui (Gn 3,8-10), ma anche la sua armonia con la natura (Gn 3,17-19), il suo equilibrio di coppia (Gn 3,16), l’immortalità (Gn 3,22).

Notiamo subito però che, dopo il primo peccato, il serpente (Gen 3,14) ed il suolo (3,17) vengono maledetti, ma non l’uomo. Anzi, mentre sentenzia il castigo del peccato, Dio subito preannuncia la salvezza: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gn 3,14-15).

Nella promessa che “la stirpe” della donna “schiaccerà la testa” al serpente i Padri della Chiesa hanno sempre letto il “Protovangelo”, il primo annuncio messianico: un discendente di Eva porterà la vittoria definitiva sul male. 

Il racconto lucano dell’annunciazione (Lc 1,26-38) è un “midrash”, cioè una riflessione sapienziale che affonda le sue radici in vari modelli anticotestamentari (i racconti di vocazione, il genere apocalittico di Daniele ai capp. 8-10, il tema della Nube – Spirito – Presenza di Dio, gli annunci profetici della salvezza alla figlia di Sion…). 

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Maria è l’incarnazione dell’Israele antico che deve “rallegrarsi” (il “Chàire” greco deve tradursi non tanto come un saluto, “Ave”, ma come “Gaude!”, “Gioisci!”), perché è giunto il Messia. Ella è la “kecharitòmene”, non la “piena di grazia” (sarebbe stato: “plerès charitòs”, come in At 6,8, riferito a Stefano), ma la “graziata”, resa favorevole ed amabile, oggetto della misericordia di Dio, salvata per amore. Maria è Israele scelto per benevolenza (Os 11,1.3-4), l’eletto reso bello per dono divino (Ez 16,8-14; Os 2,21-22). Questa bellezza di cui è colmata per grazia ci richiama la figura di Eva, la prima delle “madri” di Israele, che i rabbini, parafrasando Gen 2,22, descrivevano come splendida, agghindata di meraviglie da Dio per essere presentata ad Adamo. Questa bellezza, perduta con il peccato, era rimasta riflessa in Sara la bellissima, in Abisag la Sulamita di Davide (1 Re 1,4), nella madre dei Maccabei, ma ritorna pienamente nell’Israele fedele che nel giardino del Sinai accoglie nell’obbedienza la Torah: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo” (Es 19,8): in tale occasione il popolo che, secondo la tradizione ebraica, era di minorati fisici, perché oppressi dalla schiavitù, diventa la Sposa bella e senza macchia del Cantico dei Cantici, baciata da Dio con il dono della Legge (Ct 1,2). 

Maria, dirà Giustino già nel II secolo, è la nuova Eva, che con il suo: “Avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38) è fatta bellissima: e ai piedi dell’albero della Croce che dà vita, sarà costituita “madre” dei discepoli da suo Figlio. Ma è anche il nuovo Israele, baciato dai baci di Dio, la Sposa del Cantico, lei che a Cana ripeterà il “sì” dell’Israele obbediente: “Fate quello che lui vi dirà” (Gv 2,5). Ed è figura della Chiesa, che nasce dall’obbedienza, è fatta bella dalla sequela, è la Sposa di Cristo, coperta dall’“ombra – nube – Presenza” stessa di Dio; modello di ogni credente, lei che, madre del “Servo di IHWH” (Is 53,5) si fa anch’essa “serva del Signore” (Lc 1,38), per seguirlo sulla via della Croce e del martirio (Lc 2,35). 

Il commento alle letture della domenica a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.

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