La cupidigia, che grande male! Volersi appropiare della vita, delle relazioni, della bellezza, delle cose, di Dio stesso. La vita non è mai una questione di possesso, tanto meno di potere e vittoria. La vita è vissuta veramente da chi sa amare, da chi sa spendersi per l’altro, da chi sa svuotarsi per fare spazio. Spesso pensiamo di essere per- sone che già fanno tutto questo ma cadiamo in semplificazioni!
Ad esempio, è molto comune incontrare gente che vive per lavorare e guadagnare e pensa che i figli sono felici perché non gli manca nulla. Ma di quale nulla parliamo? Per nostra natura, amiamo, cantiamo, danziamo, raccontiamo storie, abbracciamo, ridiamo, celebriamo. Non possiamo illuderci di nutrire davvero qualcuno sol- tanto con ciò che riempie lo stomaco o copre il corpo. Il vero nutrimento passa dal tempo condiviso, dalla qualità delle relazioni: parlare con sincerità, ballare insieme, raccontarsi, cantare, pregare, ridere, piangere, ascoltarsi! Il dono che facciamo ha bisogno anche del donatore, perché noi abbiamo bisogno di amare ed essere
amati, non di essere riempiti e posseduti. Possiamo vivere anche di sacrifici e praticare lo stesso la cupidigia, testimoniando concreta-mente che la cosa più importante sono le cose materiali. La cupidi- gia, se coltivata, distorce il valore delle cose e sviluppa in noi la sete di possedere sempre di più. Nelle relazioni può insinuarsi sotto forma di controllo: si pretende che l’altro segua il percorso che noi riteniamo corretto, come se fosse una risorsa da plasmare, far crescere e, in qualche modo, capitalizzare.
Invece di accogliere l’altro nella sua libertà, lo si trasforma in un progetto da gestire, perdendo di vista il rispetto e la reciprocità. Il possesso delle persone può tramutarsi in vere e proprie prigionie esistenziali che rendono gli altri dipendenti da noi, per i soldi, per uscire, il pensiero stesso dell’altro deve essere controllato. Quante relazioni tossiche se ci guardiamo intorno! Ciò suggerisce che la cupidigia è un peccato più frequente di quello che pensiamo, che si insinua nel nostro cuore!
Questo possedere con avidità, come è noto, riguarda anche il rapporto con i beni. Gesù ci dice chiaramente che chi ha un raccolto abbondante deve condividere, non pensare a fare granai per sé e caso mai solo per i familiari! Carissimi, non pensiamo ai miliardari ma a noi stessi che accumuliamo in casa oggetti inutili, non ci sentiamo mai abbastanza ricchi, che dobbiamo avere il frigorifero sempre pieno, che abbiamo vestiti per dieci persone. Il desiderio di migliorare la nostra vita è qualcosa di buono ma ha bisogno di es- sere orientato verso beni durevoli, verso il vero bene dell’uomo che non è accumulare, comandare, ma ha a che fare con la capacità di amare e di intessere relazioni che hanno il sapore del dono, non quello dello scambio.
«La vita non consiste nell’avere la propria parte di eredità, ma di avere parte all’eredità […] Lo spirito del Vangelo rivoluziona il nostro modo di relazionarci reciprocamente: siamo tentati dal fare le cose tra di noi – dividendo – mentre il Signore ci invita a riconsiderare tutto ciò che avviene tra noi – a livello orizzontale – a partire dalla direzione di fondo che è assolutamente verticale: verso Dio! Allora la domanda dello stolto rimane valida e intrigante, perché tradisce il nostro desiderio di ammassare per sentirci al sicuro: «Che
farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti?» (12,17). Lasciamoci interiormente lavorare e profonda- mente interrogare dall’esortazione evangelica: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede» (Lc 12,15) perché dipende da ciò che condivide» (Michael Davide Semeraro).
Per gentile concessione dei Missionari della Via. Commento tratto dall’app.
