Obbedienza alla Parola
In questa domenica dopo Natale la liturgia ci invita a sostare su Gesù attorniato dai suoi primi custodi: Maria, la giovane donna di Nazaret che lo aveva accolto nel proprio grembo, e Giuseppe, l’uomo giusto discendente di Davide, che di quel bambino è stato il primo custode. Funzioni diverse, ma ambedue svolte in obbedienza a una parola rivolta loro da Dio attraverso i suoi messaggeri.
Una famiglia un po’ speciale quella di Gesù, di cui facciamo memoria in questa domenica. Maria e Giuseppe sono madre e padre in forza di una parola da essi ricevuta e accolta, in tempi e modi diversi. Non che il legame di sangue con Maria non sia ritenuto importante, ma non è quello il punto essenziale, come Gesù stesso dirà poco oltre, in Luca per ben due volte. A chi infatti gli riferiva che “sua madre e i suoi fratelli” desideravano vederlo, Gesù ribatte: “Mia madre e i miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21); e poco oltre, a chi lodava il grembo che lo aveva portato e il seno che lo aveva allattato, dice: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Lc 11,28).
L’obbedienza alla Parola: ecco ciò che conta per Gesù e ciò che è primario in tutte le vicende che si intrecciano attorno ai primi istanti della vita del Figlio di Dio, Parola fatta carne. La Parola di Dio, quando è obbedita, crea non solo un legame solido di chi la accoglie con il Padre che l’ha inviata, ma anche tra gli esseri umani che se ne fanno discepoli. E così nelle scene evangeliche che seguono la nascita di Gesù a Betlemme, i vari personaggi che vi si incontrano hanno in comune questo tratto: l’obbedienza a una parola che li conduce al bambino e intanto ne intreccia le esistenze.
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Così era stato per i pastori, giunti alla stalla perché avevano dato credito alle parole di un angelo (v. 10) e lì avevano incontrato “Maria e Giuseppe e il bambino” (v. 16). Anche Maria e Giuseppe vivono il loro particolarissimo rapporto di coppia in forza di una parola rivolta a ciascuno, e si recano al tempio in obbedienza alla Legge, per presentare il loro primogenito: “Come prescrive la legge del Signore” (v. 24).
La loro genitorialità cresce e si articola intorno a quello che la Legge del Signore chiede loro. Conducono così Gesù al tempio dove incontrano Simeone ed Anna, altri due piccoli d’Israele che sono lì in obbedienza allo spirito profetico che li abita (v. 26 e 36). L’obbedienza alla “Legge del Signore” è infine menzionata nell’ultimo segmento del racconto, dove si parla del ritorno a Nazaret che avviene “quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la Legge del Signore” (v. 39).
Se dunque la notte di Natale abbiamo contemplato la Parola fatta carne, il Salvatore, in questa prima domenica, l’evangelo ci invita a volgere lo sguardo verso gli altri volti che si muovono e s’incontrano attorno a lui. Esso ci invita a cogliere ciò che rende possibile il loro convergere verso quel bambino e degli uni verso gli altri, e dunque ciò che forma quella particolarissima famiglia credente. Ebbene l’ordito della tela che si va componendo attorno al Bambino è l’accoglienza obbediente di ciò che egli è innanzitutto: Parola rivolta a ciascuno, che conduce a lui e che crea comunione.
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Questo ci ricorda come ogni relazione passa per l’obbedienza alla Parola e come ogni tradimento di relazione è effetto di un allontanamento dalla Parola. In questo ci sono di insegnamento Maria e Giuseppe, specialissima coppia di sposi, che vivono la loro vocazione sponsale in forza dell’obbedienza a una parola loro rivolta. Vivranno in forza della medesima obbedienza anche la loro genitorialità nei confronti di Gesù, custodendone la crescita nel rispetto del mistero di cui era abitato e che, in quei primi anni a Nazaret, vedevano prendere forma il lui che “cresceva e si fortificava, pieno di sapienza e grazia” (v. 40).
Così è anche per Simeone e Anna che, nell’accoglienza di quel bambino, sentono compiersi la loro attesa, che è quella di un intero popolo: la “consolazione d’Israele”, attesa da Simeone (v. 25) e la “redenzione di Gerusalemme” attesa da Anna (v. 38); e compiersi la loro stessa esistenza, che giunge a pienezza, nell’offerta grata che Simeone ne fa, prendendo “tra le braccia” il piccolo Gesù e cantando il suo congedo dalla vita terrena (v. 28).
Tutto, in queste scene, sa di legami pacificati, con se stessi e con gli altri. Legami resi solidi e pacificati dal comune riferimento alla Parola, promessa nelle antiche Scritture e ora adempiuta nel bambino di Betlemme. È lì che tutto si compone ed è lì che tutto rinasce. Non la carne e il sangue, ma la comune obbedienza alla Parola rendono possibile la comunione, ovunque e in ogni genere di relazione.