I sazi e gli affamati
Questa domenica presenta il testo delle beatitudini nella versione propria del terzo vangelo, testo che si differenzia da quello piรน noto presente nel primo vangelo per il numero di โbeatitudiniโ (quattro contro le otto di Matteo) e per la presenza di quattro โguaiโ che formano una precisa contrapposizione con le beatitudini. Se a essere dichiarati โbeatiโ sono poveri, affamati, piangenti e perseguitati, i guai si indirizzano a ricchi, sazi, ridenti e a coloro che sono lodati. Inoltre, se le beatitudini di Matteo sono inserite nel cosiddetto discorso della montagna (cf. Mt 5,1), quelle di Luca sono pronunciate in un luogo pianeggiante (cf. Lc 6,17).
ร subito dopo aver costituito il gruppo dei Dodici (Lc 6,12-16) che Gesรน pronuncia queste parole che dunque assumono un valore particolarmente significativo nei confronti del gruppo e della vita di quei Dodici โai quali diede il nome di apostoliโ (Lc 6,13). E certo, i Dodici sono destinatari immediati e privilegiati di queste parole (โAlzati gli occhi verso i suoi discepoli, dicevaโ: Lc 6,20); tuttavia, รจ una folla numerosa che ascolta questo discorso, folla formata da ebrei e anche da persone provenienti da zone non ebraiche, come le cittร fenicie di Tiro e di Sidone (Lc 6,17). ร evidente che Luca non intende solo mostrare che la fama di Gesรน si รจ estesa al di fuori dei confini di Israele, ma vuole anche prefigurare lโestensione post-pasquale al mondo non ebraico dei gentili del messaggio di salvezza di Gesรน. Inoltre, poste immediatamente dopo lโannotazione che la folla โcercava di toccarlo, perchรฉ da lui usciva una forza che guariva tuttiโ (Lc 6,19), le parole di Gesรน che propongono beatitudini e guai, intendono far uscire la fede di chi lo segue e lo cerca dalla dimensione magica e interessata.
Riportano le folle sulla terra, e dunque sul piano delle scelte e delle responsabilitร , dei sรฌ e dei no da dire, dunque degli inevitabili conflitti. Colpisce poi che questo parlare in pubblico di Gesรน โ tratto caratterizzante la sua attivitร kerygmatica e pedagogica โ non ha il tono di una conferenza ma di una testimonianza e trasmissione di vita. Come giร evidenziato nellโepisodio dellโomelia di Gesรน nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,22-30), la parola e la persona di Gesรน chiedono unโopzione, uno schierarsi, uno scegliere: e lโadesione a Gesรน il Messia suscita una divisione tra gli uditori svelando i pensieri del cuore (cf. Lc 2,34-35). Possiamo dire che la pagina evangelica che mette a diretto confronto, in un brutale vis-ร -vis poveri e ricchi, affamati e sazi, afflitti e gaudenti, perseguitati e gente ammirata, lodata e stimata, implica una necessaria scelta di campo, unโopzione che in definitiva รจ tra lโautosufficienza e la fiducia nel Signore, ovvero tra lโidolatria e la fede.
Le parole di Gesรน sono comprensibili alla luce del fatto che in Gesรน vi รจ lโavvento del regno di Dio tra gli uomini. โBeatitudiniโ e โguaiโ sono lo sguardo di Dio su situazioni umane contraddittorie: questo sguardo รจ paradossale e vede ciรฒ che lโuomo non vede, sconvolgendo i parametri umani di valutazione. Ovviamente le beatitudini non predicano la felicitร del povero in quanto povero, ma annunciano che nel Cristo che ha abitato la povertร e la situazione di bisogno, queste situazioni non hanno lโultima parola, non hanno la forza di ostruire il futuro e di uccidere la speranza, ma vengono risignificate e diventano esperienza del Regno e apertura a esso. La beatitudine non consiste nella povertร o nel patire la fame e la persecuzione, ma nellโessere raggiunti dallโazione di Dio in Gesรน, il Messia che secondo la profezia di Is 61,1ss รจ venuto a portare ai poveri la buona notizia (cf. Lc 4,18-19). Lo sfondo veterotestamentario di queste parole non รจ tanto sapienziale, quanto profetico. A questo proposito, รจ utile ricordare che lโespressione โguaiโ, tratta dal linguaggio profetico (Is 1,4; 5,8-24; 30,1; 33,1; ecc.), non indica una maledizione, ma รจ minaccia di un giudizio che puรฒ ancora essere evitato grazie alla conversione. Potremmo forse rendere lโespressione con โsventurati voi, o forse con lโespressione โahimรจโ. Si tratta di un grido di lamento, di dolore che invita a un cambiamento, a una conversione aprendo cosรฌ uno spiraglio di speranza, di vita e di futuro.
Una differenza tra le due categorie destinatarie delle beatitudini e dei โguaiโ รจ il rapporto con il presente. Per i ricchi, sazi e gaudenti il presente รจ chiuso in se stesso, pieno, bastante a se stesso e, non conoscendo nรฉ mancanze, nรฉ vuoti, non suscita neppure attese o desideri: la situazione di benessere fa cadere in quella forma di idolatria che รจ lโautosufficienza del presente. Vi รจ contiguitร tra ciรฒ che รจ pieno e ciรฒ che รจ chiuso. Ci si potrebbe interrogare non solo a livello personale, ma anche sociale: una societร che non sopporti vuoti e rimuova mancanze e sofferenze e persegua saturazione soffre di un troppo pieno che uccide il desiderio e lโanelito allโoltre, alla trascendenza. ร una societร che tende allโobesitร . E ne consegue ottusitร . ร significativo lโuso del verbo empรญmplemi per indicare i โsaziโ (Lc 6,25: qui saturati estis). Il verbo indica coloro che si sono rimpinzati di cibo, sono sazi, ma anche appagati, riempiti, soddisfatti. Non a caso lโazione di Dio celebrata nel Magnificat canta il Dio che โha saziato (riempito) di beni gli affamatiโ (Lc 1,53), mentre โha rimandato vuoti i ricchiโ (Lc 1,53). A fronte di chi รจ nel troppo pieno, abbiamo chi si trova nel vuoto. Per chi conosce pianto, povertร , fame, il presente รจ segnato da una mancanza, da un vuoto, e, paradossalmente, diviene un presente aperto perchรฉ abitato dal desiderio, dallโattesa, dalla passione per il cambiamento. In particolare, se il povero sviluppa il senso dellโaffidamento e della fiducia, non cosรฌ chi รจ ricco e sazio, che si chiude in se stesso.
Non รจ poi fuori luogo notare come vi sia una sorta di logica interna e di concatenazione tra le varie situazioni esistenziali elencate da Gesรน: il povero รจ colui che รจ sprovvisto del necessario e anzitutto, manca del pane quotidiano, del cibo, e questo lo pone in situazione di lamento e pianto. Il povero รจ anzitutto il mendicante che spesso รจ anche oggetto di disprezzo. Al contrario, il ricco รจ colui che puรฒ premettersi di banchettare ogni giorno lautamente, come avviene nella parabola di Lc 16,19-31 dove il ricco, sazio e gaudente, si contrappone a Lazzaro, povero, affamato, nudo, senza casa, ma dove, nella prospettiva escatologica della parabola, i destini dei due sono completamente ribaltati. Questa parabola รจ un bel commento narrativo al discorso di Gesรน che alterna beatitudini e guai.
Lโultima beatitudine (cf. Lc 6,22-23) e lโultimo โguaiโ (cf. Lc 6,26) si discostano dagli altri tre e presentano una forma particolare. Lo sguardo divino discerne come atteggiamento profetico quello di chi, โa causa del Figlio dellโuomoโ, conosce e sopporta insulti, calunnie, odio. E discerne come menzognero lโatteggiamento di chi si compiace del fatto che โtutti parlino bene di luiโ. Chi cerca di compiacere gli altri, di essere sempre lodato, di incontrare lโapprezzamento altrui, dimostra di non avere come referente il Cristo e lo scomodo Vangelo, ma di cercare il consenso umano. La capacitร profetica dei cristiani e delle chiese sta nella capacitร di fuggire lโomologazione, la ripetitivitร delle abitudini, nellโosare le parole audaci del Vangelo, quelle parole di cui neppure loro, i cristiani e le chiese, sono padroni, ma ne sono i primi destinatari. La profezia chiede la scelta radicale tra Parola di Dio (da obbedire, che scomoda, mette in discussione e in crisi, chiama a conversione) e parole umane (di conferma e di lode). A questo proposito si esprime molto bene lโesegeta Santi Grasso quando scrive: โIl โguaiโ si rivolge a tutti coloro che godono di grande stima (v. 26) Nella storia biblica la fama e il consenso popolare sono ricercati dai โfalsi profetiโ. Essi parlano non a nome di Dio, ma per opportunismo, al fine di guadagnarsi lโapprovazione dellโuditorioโ.
Possiamo dire che vi รจ una gioia, una beatitudine per chi osa la libertร della fede. Questo richiede coraggio, il rischio della solitudine, del cantare fuori dal coro, ma dona la gioia impagabile di essere se stessi davanti a Dio, agli uomini e alla propria coscienza, obbedienti fino in fondo alla vocazione personalissima che il Signore ha accordato a ogni volto. Dona la gioia di rischiare tra gli uomini la propria interpretazione e comprensione del Vangelo. Ben sapendo che al credente non รจ chiesto di non sbagliare, ma di osare il Vangelo โ con intelligenza e discernimento โ pagandone il prezzo in prima persona.
Vi รจ un narcisismo ecclesiale, per cui si sta attenti al giudizio degli uomini e si mendica la loro approvazione, che รจ una sorta di anestesia che vuole preservare dalla sofferenza e dal senso di fallimento che deriverebbe dallโessere criticati, corretti, rimproverati. Mentre il Signore dice: โIo rimprovero e castigo quanti amoโ (Ap 3,19). Ma si sa, la mondanitร ecclesiale non differisce certo dalla mondanitร del mondo.
A cura di: Luciano Manicardi
Per gentile concessione del Monastero di Bose



