Il potere della parola
Nella contemplazione dell’incarnazione nel tempo di Natale, oggi la liturgia, proponendo come vangelo il prologo di Giovanni, ci fa sostare sul mistero della parola. โIn principio era la parola, โฆ tutto รจ stato fatto per mezzo di essaโ (Gv 1,1.3). La parola รจ luogo di apparizione dello spazio; il mondo esiste perchรฉ parlato. โLa parola si รจ fatta carneโ (Gv 1,14). Se la nostra carne, dice la Genesi, viene dallโadamah, dalla terra, in essa, e dunque dentro di noi, vi รจ la parola, carne del nostro spirito, che in veritร ci chiama, chiama noi stessi e vorrebbe agire per noi come memoria della nostra origine ogni volta che parliamo. Ma spesso noi ce ne ergiamo a padroni e la usiamo, la riduciamo a strumento e poniamo noi stessi allโorigine di tutto. E normalmente la usiamo per usare gli altri. Lโabuso sugli altri si accompagna sempre, inevitabilmente, ineluttabilmente, allโabuso della parola. Invisibile eppure realissima, presente in noi e davanti a noi, tesa tra noi e gli altri come un ponte, in veritร essa continua ancora oggi a essere allโin-principio di tutto. Di ogni creazione buona e bella, ma anche di ogni ritorno al caos e alla tenebra. โLa parola era luce e vitaโ (cf. Gv 1,4). Ecco la parola che si รจ resa visibile e che ha assunto il volto di Gesรน di Nazaret: โIo sono la luce del mondoโ (Gv 8,12); โIo sono la vitaโ (Gv 14,6), dirร Gesรน. E allora la contemplazione della parola non puรฒ limitarsi ad affermare che Gesรน รจ la parola fatta carne, ma deve completarsi con lโascolto della pratica di parola di Gesรน di Nazaret. Deve cioรจ completarsi con lโannotazione stupita dei soldati che si rifiutarono di arrestare Gesรน affermando: โNessun uomo ha mai parlato cosรฌโ (Gv 7,46). Mettersi alla sequela di Gesรน significa rinascere dellโalto, e chi nasce deve imparare a parlare. Perchรฉ nella parola รจ la possibilitร di dare vita, ma anche morte, di chiarificare, ma anche di gettare nel caos, nell’indistinto, in essa รจ il potere di dare vita creando fiducia, ma anche di far sprofondare nello smarrimento seminando sfiducia, in essa รจ il potere di creare comunione e relazione o di distruggere la comunione e minare la relazione. Lโautore della lettera di Giacomo era scioccato dalla constatazione del potere malefico del parlare e dalla doppiezza umana: โcon la bocca benediciamo il Signore e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dioโ. Il Cristo che nellโincarnazione ci insegna a vivere (cf. Tt 2,12), ci insegna anche a parlare. O meglio, ci chiede lโumiltร di imparare a parlare. Di imparare a bene-dire, a fare del nostro dire una fonte di luce e di vita. A fare del nostro dire la fonte del bene dellโaltro, del suo bene, non sempre e solo della nostra gratificazione. Perchรฉ dire รจ sempre anche dare e la Scrittura ci ricorda che le parole sono gesti, azioni. Il che significa che ogni nostra parola, per essere dono, per essere luminosa e vitale, deve essere anche ascolto. E la parola deve essere ascolto nel momento stesso in cui รจ pronunciata. La vera parola ascolta parlando e il vero ascolto parla ascoltando. Rispettando cioรจ radicalmente lโaltro a cui si parla, la parola che viene pronunciata, noi stessi che la pronunciamo e il Signore che ha manifestato se stesso con la parola. Altrimenti si cade nella violenza. Ed รจ violenta ogni azione e ogni parola in cui agiamo e parliamo come se fossimo soli ad agire e a parlare: come se il resto dellโuniverso fosse lร soltanto per ricevere la nostra azione e la nostra parola. Cioรจ per subirla. Gesรน, parola fatta carne, ha posto la propria carne, la propria vita a servizio della parola, e ne ha pagato il prezzo. Al termine della sua vita egli potrร dire: โIo ho parlato al mondo apertamente, con parresรญaโ (Gv 18,20), ma lโaudacia della veritร e il rifiuto della menzogna lo porteranno a divenire martire della parola. Ma anche sulla croce, โsulla sua bocca non fu trovato ingannoโ (1Pt 2,22). A fronte di chi uccide con le parole, vi รจ chi muore per lโadesione rigorosa alla parola. Ma anche allora, alla fine, la parola รจ allโin-principio, e la sua luce e la sua vita diventano resurrezione.
Il Dio biblico รจ โColui che parlaโ e parlando chiama lโuomo a farsi suo rispondente, lo chiama allโalleanza, a entrare in relazione con lui. Il Dio che parla istituisce lโuomo come libertร dialogante con lui. Di fronte a questo Dio lโuomo รจ situato nella postura di โcolui che ascoltaโ. Lโorigine della vita spirituale del cristiano รจ in questo atto basilare e sempre da rinnovare che รจ lโascolto della parola di Dio, cioรจ della sua volontร , del suo cuore. Proprio come, allโinizio della vita umana, la percezione del battito del cuore materno รจ per il feto il momento sconvolgente in cui esso viene strappato al silenzio primordiale per essere consegnato al silenzio alternato con rumori e suoni. โร lโudito il primo cordone ombelicale comunicativo della nostra esistenza; grazie allโudito ci separiamo dalla fusione indistinta con la carne del mondo e insieme ci teniamo pur sempre agganciati a essaโ (Carlo Sini).
โLa parola si รจ fatta carne โฆ e noi abbiamo contemplato la sua gloriaโ (Gv 1,14). Lโopacitร della carne รจ la condizione necessaria per โvedere la gloria di Dioโ O forse, la luce della carne umana โ svelata pienamente da Gesรน di Nazaret โ รจ la condizione per accedere al mistero di Dio. Lo stesso Lรณgos, โparolaโ, che rivela Dio, non รจ parola monolitica che si impone con il suo peso schiacciante e la sua autoritร auto-evidente, ma parola dialogica che invita e offre, che apre una via, che indica, che fa segno. Se il Lรณgos era in Dio e presso Dio, in legame eterno e vitale con Dio, tuttโuno con lui, allora Dio รจ dialogico in se stesso: rivelandosi, egli chiama lโuomo al dialogo. Svelandosi come parola, suscita, invece di annichilire, la parola dellโuomo. Dio abbisogna della parola umana. Il corpo e la parola di Gesรน sono i luoghi privilegiati della manifestazione di Dio. Il corpo e la parola umani sono i luoghi in cui lโuomo risponde alla comunicazione di Dio.
Il Dio che parla รจ il Dio che interviene nel mondo, che crea non solo il mondo, ma la storia. Il vocabolo ebraico dabar, โparolaโ, indica anche la storia, i fatti e gli eventi che compongono la storia. Il nome ebraico del libro delle Cronache รจ dibrรช ha-jamim, letteralmente, โfatti dei giorniโ. Il Dio che parla รจ il Dio che โparla il Figlioโ. E il Figlio, parola definitiva e sintetica del Padre, parola visibile, dice il Padre, conduce a lui, svela Colui che nessuno ha mai visto (cf. Gv 1,18) e apre la via verso di lui: โNessuno viene al Padre se non per mezzo di meโ (Gv 14,6). Il prologo giovanneo fa anche emergere un paradosso riguardante la parola. Esso infatti afferma che la parola onnipotente (cf. Sap 18,15), per mezzo della quale โtutto รจ stato fattoโ (Gv 1,3), in realtร non annienta la tenebra, non la elimina, ma vi scende e vi convive: non diviene luce abbagliante, anzi, rischia di essere spenta da chi non la accoglie (cf. Gv 1,5.10-11). Questa parola caratterizza lโagire divino nella creazione e nella storia come agire mite, come agire che non elimina il negativo e il lato tenebroso dellโesistenza e della storia, ma che accetta di abitarvi: la sua forza รจ nel non farsi sopraffare (โle tenebre non lโhanno vintaโ: Gv 1,5), nel continuare a brillare e a indicare la strada anche in mezzo alle tenebre. Lโincarnazione indica che la via di Dio รจ la mitezza. Ovvero il porre dei limiti alla propria forza, al proprio agire e al proprio parlare, per consentire allโalteritร di essere e di manifestarsi in piena libertร .
Se Dio crea mediante la parola, questo significa che la creazione ha una sua leggibilitร e intelligibilitร ; e se Dio guida la storia mediante la parola, questo significa che la storia ha una direzione, un senso, un tรฉlos. Questa intelligibilitร , questa direzione e questo senso sono dati in Cristo: โtutte le cose sono state create per mezzo del Figlio e in vista di luiโ (cf. Col 1,16). Ma si tratta di una intelligibilitร , di una direzione e di un senso non a basso prezzo o ingenuamente ottimistici, perchรฉ includono il negativo del mondo e della storia che Cristo assume e attraversa con la passione e la morte di croce. Il Cristo che รจ la parola di Dio รจ sรฌ potente ed efficace, ma รจ anche parola non compresa, che parla un linguaggio che molti non comprendono (cf. Gv 8,43): lโefficacia e la potenza del Lรณgos si manifesteranno sulla croce, e saranno lโefficacia e la potenza paradossali dellโamore.
La parola ha posto la sua dimora โin mezzo a noiโ (Gv 1,14). Lโincarnazione รจ avvenuta in Israele, ma poichรฉ la parola โillumina ogni uomoโ (Gv 1,9), possiamo pensare che questo versetto abbia unโestensione universale e indichi lโumanitร in generale. Per illuminare ogni uomo il Lรณgos, che รจ luce vera (cf. Gv 1,9), diviene scintilla di luce in ogni uomo, nellโumano che รจ in ogni uomo. Lโumanitร creata a immagine di Dio porta in sรฉ questa scintilla divina, questo seme divino (Gaudium et spes 3), memoria del Lรณgos in cui tutti sono stati creati e profezia di una fraternitร universale. Accanto ai semina Verbi, i semi del Lรณgos diffusi nelle culture e religioni degli uomini (Ad gentes 11), e ancor prima e piรน radicalmente, troviamo le scintille del Lรณgos presenti in ogni singolo uomo. E che coincidono con lโumano presente nellโuomo, umano che รจ dono di Dio manifestato in pienezza in Cristo, il Figlio unigenito.
A cura di: Luciano Manicardi
Per gentile concessione del Monastero di Bose



