Il nostro sguardo a giudizio
La pagina evangelica che chiude lโannata liturgica A รจ costituita dallo straordinario affresco del giudizio universale che Matteo dipinge con la sua penna (Mt 25,31-46). Non si tratta di una parabola ma di una grandiosa visione giudiziale. Al centro vi รจ il Figlio dellโuomo descritto come giudice escatologico che siede sul seggio del giudizio di fronte a cui si presentano โtutte le gentiโ (Mt 25,32), ovvero la totalitร dei popoli della terra: Israele e le genti. Costruita riprendendo immagini dal Primo Testamento (Dn 7,13-14; Zc 14,5), la scena รจ escatologica: il Figlio dellโuomo (v. 31), assistito dai suoi angeli (v. 31), il re (vv. 34.40), opererร il giudizio mediante una separazione. Cosรฌ come altre volte il giudizio finale รจ espresso dallโimmagine della separazione del grano dalla zizzania (Mt 13,24-30.36-43) e dei pesci buoni da quelli cattivi (Mt 13,47-50). Si tratta di una visione in cui il Cristo appare come re e come Giudice di tutta lโumanitร . E il giudizio universale sarร anche un giudizio personalissimo, di ciascuno. Al neutro plurale pร nta tร รฉthne, del v. 32 corrisponde nello stesso versetto il plurale maschile โliโ separerร . Separerร , come specifica il testo, โgli uni dagli altriโ (v. 32). E forse, separa allโinterno stesso di ciascun uomo, se รจ vero, come annota Ambrogio, che โil medesimo uomo รจ in parte salvato e in parte condannatoโ (In Ps. CXVIII Exp., 57). Lโuniversalitร e totalitร non รจ solo nel senso dellโestensione, ma anche della profonditร che raggiunge il cuore umano: si tratta del giudizio di tutti gli uomini, ma anche di tutto lโuomo.
Colpisce poi che la grandiosa visione che abbraccia lโintera umanitร si accompagni allo sguardo posato su ciascuno e, in particolare, su quelle persone che normalmente sono le piรน invisibili: poveri, malati, carcerati, affamati, assetati, stranieri, ignudi โฆ Non a caso il nostro testo li chiama โminimiโ (vv. 40.45). La logica รจ quella del tutto nel frammento. La caritร verso il bisognoso, il gesto di condivisione che รจ cosรฌ semplice, umano, quotidiano, alla portata di tutti, credenti e non credenti, diviene ciรฒ su cui si esercita il giudizio finale. Lโesempio di Martino di Tours, secondo la narrazione agiografica di Sulpicio Severo, รจ emblematico. Dopo aver diviso con la spada il suo mantello per coprire la nuditร di un povero mendicante alle porte di Amiens, in un rigido inverno, Martino ebbe la visione in sogno di Cristo che gli diceva: โMartino, tu mi hai rivestito con il tuo mantelloโ. Cristo รจ identificato con il povero, come nella nostra pagina evangelica. Un gesto cosรฌ elementarmente umano, cosรฌ poco sensazionale e prodigioso viene narrato come un grande miracolo e indirizza il giudizio escatologico. Venanzio Fortunato commenta la medesima scena con queste parole: โFra entrambi i poveri รจ diviso il calore e il freddo, il freddo e il caldo diventano oggetto di scambio, lโuno riceve una parte del tepore, lโaltro prende una parte del freddo: una stessa povertร รจ condivisa da due personeโ.
La pagina di Matteo ci pone di fronte allo sguardo di Cristo che vede ciรฒ che gli umani non vedono o faticano a vedere. E questo sguardo non solo dร rilievo agli invisibili della storia, che sono spesso anche i senza voce, ma spiazza anche i destinatari del giudizio che restano tutti sorpresi nel ricevere la rivelazione di ciรฒ che hanno o non hanno fatto. Sia i benedetti che i maledetti dicono: โQuando mai ti abbiamo visto affamato o malato e abbiamo fatto o non abbiamo fatto?โ (vv. 37.38.39.44). E cosรฌ lo sguardo del Giudice escatologico interpella anche noi sullo sguardo e sul giudizio che portiamo sugli altri. Il giudizio del Figlio dellโuomo giudica il tipo di sguardo che abbiamo sul povero e sul bisognoso. Giudica il nostro giudicare lโaltro per cui il carcerato รจ uno che ha ricevuto ciรฒ che si merita, lo straniero รจ uno che disturba la nostra tranquillitร , il malato รจ uno che sconta i suoi peccati, il povero uno che potrebbe lavorare di piรน โฆ Il giudizio divino giudica il nostro chiudere le viscere a chi รจ nel bisogno (cf. 1Gv 3,17). Giudica il nostro sguardo che vede nellโaltro un colpevole e non una vittima. Lo sguardo che Gesรน ha sempre avuto nei suoi incontri con tante persone nel corso sua vita ha sempre visto la sofferenza degli umani ben piรน e ben prima che il loro peccato.
Lโuniversalitร del giudizio emerge anche dal fatto che si fonda sulla valutazione di gesti umani, umanissimi, fatti (o non fatti) da credenti e da non credenti. I semplici gesti di aiuto, caritร e vicinanza espressi in Mt 25,31-46 (dar da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete, vestire chi รจ nudo, visitare chi รจ in carcere e chi รจ malato, vestire chi รจ nudo, accogliere chi รจ straniero) costituiscono una sorta di grammatica elementare dellโumana relazione con lโaltro. Una grammatica senza la quale non si potrร mai comporre una frase veramente cristiana. Il volto supplice dellโaltro mi interpella: lโuomo รจ colui che risponde di un altro uomo.
Se il giudizio si fonda sulla tradizione ben nota al mondo giudaico delle โopere di misericordiaโ (tradizione che vi vedeva una imitatio Dei, un fare agli altri ciรฒ che Dio stesso ha fatto per lโuomo), qui la novitร consiste nel fatto che il Giudice si identifica con i destinatari delle azioni misericordiose: โTutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli piรน piccoli, lโavete fatto a meโ (v. 40). Se tutti sono spiazzati e sorpresi dalle parole del Giudice escatologico (vv. 39.44: โQuando mai ti abbiamo visto โฆ?โ), noi dobbiamo rilevare che ben diversa รจ la sorpresa dei benedetti e quella dei maledetti: cโรจ una ignoranza benedetta del bene che si compie e cโรจ una ignoranza nefasta del male che si compie (o del bene che non si compie). E in effetti questa pagina evangelica pone lโaccento su quella dimensione del nostro peccare che รจ la piรน diffusa: lโomissione. Chi mai, infatti, puรฒ sfuggire allโomissione? Chi mai puรฒ dire in assoluta certezza di aver fatto davvero tutto ciรฒ che era in suo potere di fronte a una determinata situazione di bisogno? Nรฉ vale il dire di non aver visto: i nostri occhi si chiudono di fronte a visioni di sofferenti e i nostri orecchi si chiudono di fronte a chi cerca di dire il proprio dolore. Temiamo il contagio. Da dove dunque attingere la forza per reggere il peso del bisogno altrui e non lasciarcene schiacciare, come pure puรฒ avvenire? Perchรฉ cโรจ anche un aiutare senza discernimento e un amare senza intelligenza. Unโindicazione viene da abba Antonio: โChi pecca contro il prossimo, pecca contro se stesso; chi fa torto al suo prossimo, pecca contro se stesso; chi fa del bene al suo prossimo, fa del bene a se stesso e chi sa amare se stesso, ama anche gli altriโ. E lโAntico Testamento: โA partire da te intendi i desideri del tuo prossimoโ (Sir 31,15). Il nostro desiderio ci puรฒ istruire su come fare il bene agli altri: il desiderio di bene che noi vorremmo ricevere e conoscere, ci puรฒ dire qualcosa sugli altri e sul loro bisogno. Gesรน dice: โTutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, voi fatelo a loroโ (Mt 7,12). E amando lโaltro amerรฒ anche il Signore. Quanti racconti nella letteratura monastica (ma anche nella letteratura tout court, come nello splendido racconto di Tolstoj dal titolo Dove cโรจ lโamore, cโรจ Dio) in cui facendo il bene in maniera semplice e quotidiana a un misero, dando da bere a una persona assetata, dando riparo a una persona smarrita, portando sulle spalle un anziano, si scopre di aver fatto questo a Cristo stesso. Non perchรฉ quella persona non fosse un vecchio o un assetato o uno che ha perso la strada, ma perchรฉ Dio รจ in quellโamore, in quella uscita da sรฉ in totale gratuitร . โL’amore per Dio, scrive Gustavo Gutierrez, non puรฒ far altro che esprimersi nell’amore per il prossimoโ.
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Negli esempi di aiuto e prossimitร enumerati nel testo evangelico vi รจ un aspetto spesso trascurato nella riflessione: lโattitudine di lasciarsi aiutare, di lasciarsi avvicinare, toccare, curare, servire. La capacitร e lโumiltร di lasciarsi amare fattivamente. Una capacitร che rivela una dimensione di povertร piรน radicale della malattia o della fame o della nuditร e che si chiama umiltร . Lโumiltร che puรฒ nascere dalle umiliazioni operate dalla vita o procurate dagli uomini. E lasciarsi amare fattivamente significa lasciarsi toccare, affidare il proprio corpo malato o affamato o nudo alle cure di un altro. Del resto, la caritร รจ attenzione e sollecitudine per il corpo dellโaltro. E poichรฉ il corpo รจ la realtร umana piรน spirituale, รจ attraverso il contatto con il corpo ferito, mancante, sofferente, bisognoso, che noi ricreiamo le condizioni di dignitร dellโuomo ferito, offeso e ingiuriato dalla vita. Nello stesso tempo, noi affermiamo la nostra personale dignitร umana prendendoci cura di lui. Ma anche chi si lascia avvicinare cosรฌ intimamente da esporsi nel proprio bisogno allโattiva caritร delle mani e del cuore di altri, osando la propria povertร , attua unโapertura essenziale allโaltro e allโessere amato. E cosรฌ avviene uno scambio di doni, un incontro tra due povertร , la reciprocitร di un movimento di amore che, questo sรฌ, รจ effettivamente un miracolo. Un miracolo che puรฒ accadere quotidianamente.
A cura di: Luciano Manicardi
Fonte: Monastero di Bose
