Gesรน, la porta aperta sulla vita
La quarta domenica di Pasqua contempla il Risorto quale pastore della chiesa. Il pastore indica al gregge la via da percorrere e il Cristo-Pastore indica alla chiesa la via che essa deve seguire. La pagina evangelica dellโannata A (Gv 10,1-10) รจ tratta dal capitolo decimo del vangelo secondo Giovanni, ma non contiene ancora lโesplicita affermazione di Cristo quale โpastoreโ (รจ solo al v. 11 che si incontra lโautorivelazione โIo sono il buon pastoreโ), insiste invece sullโimmagine della porta (โIo sono la portaโ: v. 9). Ovvero, la pagina evangelica dichiara che Cristo รจ la porta attraverso cui deve passare il cammino del discepolo: si tratta di un cammino spirituale di ascolto, sequela e conoscenza del Signore (vv. 3-4).
Lโimmagine della porta ha una forte valenza simbolica e antropologica che forse, in giorni di confinamento domestico a causa del coronavirus, cogliamo con maggiore forza. Quando gli stipiti della porta di casa diventano come novelle colonne dโErcole che รจ quasi tabรน valicare, ecco che la normalitร ripetitiva dellโuscire di casa e del rientrarvi a piacimento viene posta in discussione e ci conduce a riflettere su quegli atti di entrare e uscire che lโabitudine ci ha resi scontati. La mobilitร della porta rende il limite del riparo costruito dallโuomo, sia esso casa o qualunque altro edificio, un limite che non imprigiona ma che รจ a servizio della libertร sia quando protegge lโintimitร della persona allโinterno sia quando la apre alle relazioni allโesterno. Immagine di chiusura e apertura, di intimitร e di relazione, di protezione e di esposizione (di inspirazione e di espirazione), la potenza antropologica del simbolo della porta viene applicata dal quarto evangelista a Cristo stesso. Infatti, attraverso la porta che รจ Cristo stesso, si entra e si esce (v. 9). Entrare e uscire รจ tipica formula polare semitica che indica una totalitร , tutta la vita umana riassunta nei due atti fondamentali di entrare e uscire: dalla nascita, lโuscita dal seno materno, allโuscire ed entrare in casa e negli spazi della vita, fino allโuscita definitiva con la morte. Il simbolo della porta applicato a Cristo indica dunque il compito del cristiano di vivere ricominciando sempre la sequela di Cristo, ovvero passare attraverso la porta che รจ Cristo. La vita in abbondanza portata da Gesรน (v. 10) รจ questa nostra unica vita innestata in Cristo e in lui risignificata.
Come la porta segna un dentro e un fuori, opera dunque un discrimen, essa, applicata a Cristo attua anche un giudizio: โChi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da unโaltra parte, รจ un ladro e un briganteโ (v. 1). Il pastore del gregge entra nellโovile attraverso la porta, non ha certo bisogno di entrate secondarie, di sotterfugi: egli entra per la via diretta e visibile, non per vie nascoste. Chi entra, o forse meglio, penetra, allโinterno per altre vie, รจ un malfattore che viene non per pascere, ma per rubare e sottrarre, per portare morte e non vita. Lโimmagine pastorale diviene cristologica giร nel v. 10 dove Gesรน afferma di sรฉ di essere venuto per dare la vita in abbondanza. Ma se il pastore Gesรน รจ venuto perchรฉ gli uomini abbiano la vita in abbondanza, ladri e briganti invece vengono per โrubare, sacrificare (la Bibbia CEI traduce โuccidereโ) e far perireโ (Gv 10,10). Di costoro Gesรน dice che โsono venuti prima di meโ, ma questo non va inteso in senso cronologico, quasi che si riferisse ai personaggi della prima alleanza. Ignazio di Antiochia ha compreso bene: โCristo รจ la porta del Padre, attraverso la quale entrano Abramo, Isacco e Giacobbe, i profeti, gli apostoli e la chiesaโ (Ai Filadelfesi IX,1). Si tratta invece dei falsi messia che si presentano agli uomini avanzando la pretesa di essere dei salvatori: quandโanche venissero dopo (cronologicamente) rispetto a Gesรน, essi rientrerebbero nel novero degli usurpatori qui intravisti. Il criterio discriminante che dice lโautenticitร della missione รจ nel sottrarre per sรฉ o nel donare, nel portare morte o nel portare vita, nel servire la vita di ogni singola pecora (il pastore chiama ogni pecora โper nomeโ, con attenzione profonda alla singolaritร di ciascuno), di ogni individuo, o nel servirsene e nellโusare per sรฉ, nellโabusare, nello sfruttare le persone per i propri fini. In particolare viene condannato il sacrificare: ovvero, il togliere vita in nome di Dio, il servirsi delle persone per scopi religiosi fino ad annientarle, lโusare il nome di Dio e la religione per fare violenza, il togliere la libertร alle persone dando forma nuova agli antichi sacrifici umani.
Il testo evangelico parla di unโuscita, di un esodo che il Cristo pastore fa fare alle sue pecore, a coloro che sono suoi: vv. 3-4. Il vocabolo usato da Giovanni per indicare lโovile, il recinto delle pecore (10,1) non รจ il termine usuale per indicare questa realtร , ma il termine aulรฉ, che indica il vestibolo del tempio (cf. Es 27,9; 2Cr 6,13; 11,16; Ap 11,2), lโatrio del tempio. Anzi, in v. 4 si parla di cacciare fuori, ekballein, con il verbo usato anche in Gv 2,13-22 quando si tratta della cacciata dal tempio delle pecore e degli animali per i sacrifici. Come detto, al v. 10 si parla di โsacrificareโ, e i sacrifici si fanno al tempio. E come qui vengono denunciati ladri e briganti, altre volte, riprendendo il profeta Geremia che denunciava che il tempio era diventato spelonca di briganti, di ladri, di lestaรฌ (Ger 7,11), Gesรน aveva pronunciato parole simili sul tempio e su coloro che lo avevano ridotto a luogo di commercio e di compravendita, di affari economici (Mc 11,17). Insomma Giovanni vuole dire che non รจ il tempio ma il corpo di Gesรน, la vita di Gesรน culminata nella sua morte e resurrezione, che dร accesso alla comunione con Dio, รจ la porta che immette nella vita con il Padre. Questo il senso giร delle parole profetiche di Gv 2,19-22, quando Gesรน parlava del tempio del suo corpo. Lโesodo infatti non รจ solo un movimento negativo, di uscita, di presa di distanza, bensรฌ anche di ingresso, รจ un movimento esistenziale totale. Ormai tutta la vita, colta come sequela di Gesรน Cristo, รจ un movimento di esodo, di liberazione e salvezza. Si tratta di passare attraverso la porta che รจ Cristo stesso: allora uno โentrerร e uscirร โ, cioรจ vivrร pienamente la sua vita umana in Cristo, trovando nutrimento in Cristo. Se poi Cristo รจ la โportaโ che conduce alla salvezza (Gv 10,9) e se la porta fa parte dellโedificio a cui permette lโaccesso, Gesรน รจ al tempo stesso il mediatore della salvezza e la salvezza stessa. Gesรน รจ la Via verso il Padre, ma รจ anche la Vita (Gv 14,6): in Gesรน troviamo la vita del Padre.
La figura del pastore domina i vv. 2-4 ed รจ di fatto presente anche nel v. 5, che definisce lโestraneo in maniera puramente negativa negando riguardo a lui ciรฒ che prima รจ stato affermato del pastore (se โil pastore cammina davanti alle sue pecore ed esse lo seguono perchรฉ conoscono la sua voceโ, invece le pecore โnon seguiranno un estraneo, ma fuggiranno via da lui perchรฉ non conoscono la voce di un estraneoโ). Emerge la forte densitร teologica del linguaggio: i temi della voce del pastore, delle pecore che lo seguono e che conoscono la sua voce, sono troppo evocatori nel IV vangelo per essere semplicemente i tratti descrittivi di una parabola, in cui i vari elementi del discorso (recinto, porta, pecore, custode, pastore, ladro, ecc.) rinviano a una scena di vita pastorale quotidiana nel mondo palestinese. In realtร nel testo giovanneo i riferimenti agli usi consueti nella vita pastorale palestinese sono trasformati e applicati a un altro contesto piรน densamente teologico e rivelativo. Il passaggio diviene esplicito a partire dal v. 7 (e fino al v. 18) in cui Gesรน parla alla prima persona, a differenza del discorso enigmatico dei vv. 1-5 in cui il discorso รจ alla terza persona.
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Se la nostra pagina evangelica contiene un giudizio, in realtร presenta anche una dimensione di consolazione per la comunitร cristiana. Perchรฉ? Perchรฉ si afferma che, se anche vi sono falsi pastori, lupi vestiti da agnelli, falsi maestri e falsi dottori (il NT รจ pieno di questi pseudo: persone con responsabilitร ecclesiale ma senza mandato, persone con ruoli di autoritร che svolgono il ministero come esercizio di potere e non come servizio, o che cercano di spadroneggiare sulle coscienze altrui in forza della posizione che rivestono), e se vi sono, come dice Giovanni, salariati, banditi e ladri, cโรจ perรฒ anche un sensus fidei fidelium, un senso delle pecore che sanno fiutare e discernere il vero dal falso pastore: โUn estraneo le pecore non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perchรฉ non conoscono la voce degli estraneiโ (v. 5) . Non esiste solo lโodore delle pecore, come ripete papa Francesco, ma esiste anche il fiuto delle pecore, la capacitร di ascoltare la voce del Signore, di discernere la voce del vangelo nelle parole e nella testimonianza di chi se ne fa servo. Un antico testo cristiano afferma che criterio di discernimento del vero dal falso profeta รจ che abbia โi modi del Signoreโ (Didachรฉ 11,8). Avere i modi del Signore significa conoscere e far proprie le modalitร con cui, secondo i vangeli, Gesรน, il Signore, vive: lโacquisizione del discernimento รจ data dalla conoscenza e dallโassunzione dei modi del Signore grazie allโassiduitร con il vangelo.
A cura di Luciano Manicardi – Fonte
